L’evento più atteso dell’anno in Italia non ha deluso le aspettative. L’unica recita di Aida che Antonio Pappano ha diretto a Santa Cecilia, a conclusione delle sedute di registrazione per una nuova versione in CD, ha garantito un trionfo assoluto al maestro anglo-italiano ed al mezzosoprano Ekaterina Semenchuck.
Antonio Pappano e Santa Cecilia sono ormai un binomio indivisibile. Il Maestro e l’orchestra sono un tutt’uno. Questa è una delle caratteristiche del direttore, cui riesce sempre dare compattezza a tutta la compagine orchestrale. A ciò va sommata la entusiastica partecipazione di Pappano nel dirigere: si vede che si diverte nel suo instancabile lavoro e questa sensazione si trasmette e contagia il pubblico.
Pur con un cast stellare come quello che si è radunato a Santa Cecilia, il protagonista assoluto rimane sempre lui. Questa Aida era attesa soprattutto per la direzione, prova ne sia che l’ovazione più grande della serata è esplosa nel corso secondo atto al termine della scena del trionfo, in assenza dei solisti. L’applauso fragoroso e prolungato è stato tutto per lui, per l’orchestra ed il coro che Antonio Pappano è riuscito a rendere nel tempo i complessi migliori al mondo, con una ricchezza di suono identificabile con uno stile prettamente italiano.
Si possono scritturare i cantanti più famosi e imposti sia dalle case discografiche che dai media, ma nessuno potrà attirare pubblico e la stampa quanto lo straordinario maestro, figlio di lavoratori immigrati dalla provincia di Benevento, che è riuscito con lo studio e la caparbietà a conquistare le vette artistiche più alte.
Antonio Pappano ha fatto poi valere un’altra sua peculiarità: quella di essere un supporto ideale alle ragioni del canto. Pure in questo caso, laddove gran parte del cast era tutt’altro che verdiano, è stato bravissimo a dosare sempre l’orchestra in modo da sostenere ogni cantante, offrendogli su un vassoio d’argento l’occasione di offrire il meglio di sé stesso.
Può risultare sorprendente che, con Antonio Pappano, la trionfatrice della serata sia stata Ekaterina Semenchuck, mezzosoprano che canta regolarmente il ruolo di Amneris nei grandi teatri di tutto il mondo e tra tutti l’unica cantante veramente verdiana. Il volume della sua voce, ricca di armonici, è risultato essere il doppio di quello degli illustri colleghi, che copriva sistematicamente senza forzare. A ciò si unisce l’ottima tecnica, la capacità di modulare la voce, la notevole padronanza nelle note gravi, facili e timbrate come gli acuti. Insomma la consapevolezza di avere in voce totalmente il personaggio. Il pubblico ha apprezzato queste sue qualità e le ha tributato un’ovazione grandissima a conclusione della scena del quarto atto che si conclude con la famigerata frase: “Anatema su voi!”. In conclusione la Semenchuck è stata la più applaudita tra gli interpreti nelle uscite singole a fine concerto.
Nel ruolo di Aida Anja Harteros ha iniziato in modo egregio. Convincente già dall’ingresso, il suo “Ritorna vincitor” è stato coinvolgente. Pure il secondo atto è filato via liscio, seppure un buon tempone alla fine del duetto con Amneris si è sentito in dovere di gridare “Brava Caterina”, evidentemente escludendone la povera Anja. Nel terzo atto, però, sono cominciati i problemi. Il Do acuto, che avrebbe dovuto smorzare alla fine di “Cieli azzurri”, è stata una nota pressoché inascoltabile. Infine nel quarto atto la Harteros è parsa veramente affaticata e alla fine ha subito alcune contestazioni da parte del pubblico. Bisogna comunque riconoscere che il soprano tedesco cercando di eseguire pianissimo, filati e messe in voce, ha cercato in ogni modo di cantare un ruolo che, purtroppo, non è alla portata della sua vocalità.
Jonas Kaufmann, osannato e seguito ovunque al mondo da fans incondizionali, è perfetto nel ruolo del bel tenebroso, canta con un ammirevole senso musicale, ma non è né sarà mai Radames. Sarebbe comunque interessante sentirlo in teatro, dove potrebbe giovarsi delle indubbie qualità di attore ed interprete, senza la magica bacchetta di Antonio Pappano, che ha contenuto l’orchestra ai limiti dell’evanescenza per non coprirlo mai. E’ pur vero che Verdi prevede tre P per il Si bemolle che conclude “Celeste Aida”, ma il suono linfatico che ha prodotto Kaufmann, oltre ad essere stato tenuto per un attimo fuggente, è parso moscio. I suoi presunti filati, in verità quasi sussurri che forse possono essere adatti al Lied, poco hanno da spartire col canto verdiano che non ammette suoni spoggiati. A suo merito va detto che nel canto spianato ed a piena voce ha evitato l’abituale suono ingolato in zona centrale. Alla fine ha avuto successo e gli sono state risparmiate le contestazioni che ha avuto la Harteros ma, l’accoglienza è stata di affetto e stima, ben lontana dal trionfo ottenuto dalla Semenchuk, risultando nell’insieme deludente.
Ludovic Tézier è stato un buon Amonasro, ottimo nel fraseggio e nella dizione, favorito dalla bella voce e molto musicale. Così come Erwin Schrott nel ruolo di Ramfis, pur estraneo a questo repertorio, è riuscito a rendere bene e con autorevolezza la parte. Pure il basso Marco Spotti è parso un Re convincente. Paolo Fanale ha garantito una presenza di lusso per la parte del messaggero e Donika Mataj, artista del coro dell’Accademia di Santa Cecilia, ha prestato la voce alla sacerdotessa del Tempio di Vulcano.
Una Aida, dunque, che si è rivelata un trionfo assoluto per Antonio Pappano, Ekaterina Semenchuck e le maestranze dell’Accademia di Santa Cecilia.
Domenico Gatto