Arena di Verona e Nabucco: connubio perfetto all’insegna della continuità

 

 

Arena di Verona e Nabucco: connubio perfetto all’insegna della continuità
Foto: Fainello / Fondazione Arena di Verona)

Uno scontato successo di pubblico per l’allestimento di Gianfranco De Bosio e Rinaldo Olivieri di Nabucco, una delle opere più amate del Festival dell’Arena di Verona; un allestimento che continua ad avvicinare all’opera lirica anche un pubblico non abituale.

Il Festival dell’Arena di Verona ripropone anche quest’anno uno dei titoli più amati insieme all’immancabile Aida, Nabucco nell’ormai storico allestimento di Rinaldo Olivieri, per la regia di Gianfranco de Bosio. Rivendendo questo spettacolo si evince di come Olivieri sia riuscito a lasciare una pietra miliare nella storia della scenografia italiana. Le sue scene monumentali rappresentano ciò che lo spettatore si aspetta da un’opera monumentale come Nabucco. La grandiosità, la bellezza e la precisione caratterizzano uno stile che purtroppo può considerarsi estinto, sia per i costi ma anche per la capacità storicistica di allestire un simile spettacolo in cui comparse, cantanti e coro si intrecciano in scene monumentali che lasciano sempre senza fiato. La storica regia di de Bosio si inserisce sulla scia della tradizione lirica italiana, in cui nulla è lasciato al caso e la parte visiva assume un connotato fondamentale; indubbiamente fondamentale se si considera che parte del pubblico dell’Arena non è abituale ai teatri lirici, ma si avvicina all’opera grazie ad allestimenti che esprimono il bello visivo senza mutare nulla della volontà dell’autore. Le immense scalinate, le monumentali porte, la torre della città di Babilonia che solo un palcoscenico come l’Arena di Verona può contenere hanno dato vita alla regia di de Bosio, a cui si può – come sempre – imputare una proverbiale staticità, a cui il teatro attuale poco è abituato e che riporta a epoche passate. Ma nessun movimento è mai lasciato al caso, ogni parte viene rappresentata alla perfezione e i protagonisti non rischiano di perdersi in mezzo alla folla di comparse e al numerosissimo coro. La regia di de Bosio e le scene di Olivieri riportano ad un’epoca ormai finita senz’altro del teatro lirico, ma che è sempre piacevole riscoprire ed apprezzare, in cui il tutto è sottomesso alla volontà dell’autore e alla musica.

Il maestro Riccardo Frizza è uno trai più apprezzati giovani direttori del momento; meritatamente quasi osannato dal pubblico, è riuscito a dare un taglio naturale all’opera, con ritmi per nulla sostenuti e di grande respiro, scardinando certi pregiudizi sulle note verdiane che colpiscono spesso il Nabucco. È riuscito con classe e autorità a unire l’Orchestra dell’Arena soprattutto nei punti più ardui, dando all’esecuzione un’armonia difficile da ottenere in Arena. Frizza si è giustamente confermato essere il grande direttore d’orchestra che i principali teatri mondiali gli hanno riconosciuto.

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Il vero protagonista del Nabucco è il coro, in questo caso il Coro dell’Arena di Verona, preparato dal maestro Salvo Sgrò. La precisione del coro scaligero è proverbiale e ne è la prova il solito “Va pensiero…” cantato magnificamente e che il pubblico ha giustamente richiesto – e ottenuto – il bis. Ma non possiamo non ricordare l’eccellenza in “Immenso Jeovah” e “S’appressan gli istanti”.

Un cast calibrato ha creato un ottimo connubio tra palcoscenico e orchestra. Nel ruolo del titolo il baritono Luca Salsi, cantante giovane, ma giustamente apprezzato per la sua voce è stato un Nabucco autorevole; Salsi ha creato un personaggio di alto livello, in cui sono brillate la coloritura e le mezze voci.

Più che discreta Martina Serafin in Abigaille. Il soprano viennese riesce a dare l’intensità drammatica al personaggio, anche se a volte non sembra essere pienamente nella parte. La sua voce limpida e al tempo stesso ben impostata, ha permesso di rendere in pieno l’intensità dovuta. L’ottimo volume poi è stato ben regolato dando l’impressione di una voce importante. Qualche imprecisione dovuta senza dubbio alla difficoltà dell’Arena è scusabile.

Bella e possente la voce del basso americano Raymond Aceto in Zaccaria. La sua autorevolezza è data da un timbro caldo e suadente; la sua presenza scenica è di forte impatto e la voce decisa e sicura convince in pieno.

Più che discreta la lituana Sanja Anastasia, il ruolo di Fenena, già apprezzato lo scorso anno, si ripropone in modo più sicuro.

Il giovane tenore Piero Pretti ha dato vita ad un Ismaele valido e apprezzato, sia per la bella voce che per la presenza scenica.

Bene i comprimari: Alessandro Guerzoni (Gran Sacerdote di Belo), Paolo Antognetti (Abdallo), Maria Letizia Grosselli (Anna).

Grande successo di pubblico.

Mirko Bertolini