Il trionfo del tempo e del disinganno in scena al teatro alla Scala di Milano

Il trionfo del tempo e del disinganno in scena al teatro alla Scala di Milano
Il trionfo del tempo e del disinganno in scena al teatro alla Scala di Milano

Ha senso mettere in scena in una sala grande come quella del teatro alla Scala il capolavoro giovanile di Georg Friedrich Händel Il trionfo del tempo e del disinganno?

Le opere barocche furono concepite per essere messe in scena in teatrini di corte. Gli oratori per la maggior parte furono realizzati per essere eseguiti nei saloni o nei cortili di palazzi nobiliari.

È ovvio che, tolti da quel contesto, possano perdere parte del loro fascino e sembrare cosa troppo piccola per gli spazi dei grandi teatri. Non basta alzare il golfo mistico per ospitare un’orchestra ridotta, costituita anche da strumenti d’epoca per eludere l’effetto della dispersione del suono.

Resta il fatto che il massimo teatro milanese è troppa cosa per custodire questi gioielli, soprattutto perché questa musica resta sempre, almeno in Italia, apprezzata da pochi e non basta vendere i biglietti a poco prezzo per poter riempire una sala che, nei palchi come in platea, era desolatamente semivuota.

Un’operazione del genere avrebbe avuto, probabilmente maggior richiamo, se in cartello ci fosse stato il nome di Cecilia Bartoli, cantante barocchista per eccellenza e per la quale questo allestimento fu pensato. La Bartoli avrebbe sicuramente attratto i tantissimi suoi ammiratori, e non avrebbe corso il rischio, nell’elemento in cui opera con incontrastato successo di vedersi contestata come è successo nella sua ultima apparizione scaligera dove ha avuto il “coraggio” di eseguire il rondò della Cenerentola.

Per il ruolo del Piacere, dopo una non facile scelta, è stata scritturata Lucia Cirillo, che non possiede ovviamente l’allure divistica della sua collega, ma è pure limitata nella vorticosità imposte dalla vocalità barocca. La Cirillo ha cantato con onestà ed in modo pulito la parte, spiccando questo sì per un’ottima dizione, ma ciò non pare sufficiente in un ruolo che deve sedurre e stupire. Va detto che è stata l’unica ad aver avuto un applauso a scena aperta, a conclusione della celebre aria “Lascia la spina”, più per la notorietà dell’aria che per suoi meriti particolari.

Martina Janková, che ha interpretato la Bellezza, possiede l’eleganza vocale che la parte comporta, ma la sua voce appare stridula, flebile e scarsa nella partecipazione emotiva, quasi non fosse del tutto consapevole del significato della parola cantata. Ha finalmente trovato una sua chiave espressiva nel bellissimo finale “Tu del ciel ministro eletto”, dove è parsa più convincente.

Non particolarmente adatto al repertorio barocco è sembrato il pur valido tenore Leonardo Cortellazzi, mentre il mezzosoprano Sara Mingardo, risaputamente specialista del barocco, ha avuto facile la partita staccandosi di una spanna su tutti, sia per il velluto della voce che per l’eleganza nel porgere la frase.

Il trionfo del tempo e del disinganno in scena al teatro alla Scala di Milano
Il trionfo del tempo e del disinganno in scena al teatro alla Scala di Milano

La direzione di Diego Fasolis, che pure sedeva al cembalo, si è distinta per una sostanziale pulizia e precisione, ma anche da lui ci si sarebbe aspettatati una lettura più movimentata ed esuberante nel cogliere le delizie armoniche e musicali dell’oratorio .

La messa in scena di Jurgen Flimm e Gudrun Hartmann (scene di Erich Wonder, costumi di Florence Von Gerkan, luci di Martin Gebhardt ed i movimenti scenici della coreografa Catharina Luhr) affollata di comparse che si muovono all’interno di una ricreata Brasserie parigina, La Coupole degli anni ’20, ha provocato più che altro confusione, apparendo senza una logica drammaturgica anche rispetto alla “non azione” del testo. Offrendo senza soluzione di continuità bambine cartomanti, suore, sfilate di moda, una sposa allegra che gioca con due marinai, anziani ciechi guidati dalle nipotine e, o meraviglia, un vecchio angelo combinato come San Pietro apparso solo negli applausi finali senza che prima se ne avesse visto l’ombra.

Tutto ciò non ha nulla a che vedere con gli elementi filosofici e morali di cui è carico il testo scritto dal Cardinale Benedetto Pamphilij che avrebbero costituito la base per una regia più coerente all’oratorio.

Trionfa invece il solito horror vacui del teatro di regia alla tedesca, in cui per capirci qualcosa di quello che avviene bisogna affidarsi non alla parola cantata, bensì alle note scritte dai registi e relativi drammaturghi, veri nuovi vati della verità dei testi, molto più degli ormai antichi scrittori e compositori, pubblicate sul programma di sala. Ronny Dietrich, responsabile della “drammaturgia” appunto, ci racconta: “il barocco reagiva a tale stallo con la fuga nella malinconia; noi, oggi, la chiameremo depressione”.

Si sa bene che se vi fu un periodo in cui nelle classi elevate non esisteva la depressione era quello dei primi del 1700 quando, ormai erano passati più di 100 anni dalla riforma e dalle guerre di religione. L’Europa viveva una certa stabilità politica e si pensava che la vita fosse solo piacere. Ancora di più nella Roma barocca, in cui Händel, il “leggiadro giovinetto” giunto dalla Sassonia, compose il suo primo capolavoro. Gli oratori di questo tipo rappresentavano musicalmente quello che era diventato il motivo centrale della controriforma quel Libero Arbitrio che il cattolico Erasmo da Rotterdam contrappose in modo trionfante al Servo Arbitrio di Lutero.

“La funesta separazione di corpo ed anima” di cui Johann Mattheson, non ha niente a che vedere col senso depressivo ma si inserisce in quel filone proprio del cristianesimo in cui già San Francesco di Assisi nel 1200 diceva che bisognava umiliare “fratello corpo” in modo da elevare “sorella anima”, che trova le sue radici nella filosofia platonica che crea un senso di sofferenza per giungere alla vittoria cioè l’elevazione dell’anima, e che Händel ha reso benissimo nel finale dell’oratorio.

Per arrivare alla malinconia e quindi alla depressione ci vorrà prima l’illuminismo e poi la ghigliottina francese che taglierà in due la storia, aprendo le porte al romanticismo epoca di malinconie, depressioni e suicidi. Ma questa è un’altra storia.

Per vedere “Il trionfo del tempo e del disinganno” basta solamente entrare all’interno di quel trionfo di arte barocca che è la splendida Chiesa del Gesù a Roma.

Domenico Gatto

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