A Genova in scena l’Elisir d’amore nella storica produzione firmata da Emanule Luzzati e Filippo Crivelli

A Genova in scena l’Elisir d’amore
A Genova in scena l’Elisir d’amore

Era il maggio 2004 quando Emanuele Luzzati creò, insieme al regista Filippo Crivelli, questo magico Elisir d’amore per la sua amata Genova e lo spettacolo sembra mantenere, a più di dieci anni dalla ‘premiere’, quella miscela di fresca ingenuità e raffinato gioco teatrale che lo caratterizzava.

Luzzati aveva infatti creato uno spazio scenico semplice, giocato sui colori del sole dove il teatro veniva semplicemente evocato attraverso i suoi strumenti di sempre (semplici quinte, teatrini, scatole magiche) che diventavano protagonisti, insieme agli artisti, della pièce.

Così anche oggi la leggera ironia dei tratti luzzatiani si abbina ad una  regia semplice e pulita che gioca sui piccoli sentimenti e sul ricordo (la sedia a dondolo, unica protagonista ad apertura di sipario che diverrà poi culla, alla sua chiusura, ai due giovani innamorati) vissuto, non come strumento di sterile ripiegamento ma piuttosto quale tonificante e sicuro stimolo nell’affrontare un futuro dai profili, ogni giorno, sempre più corrosi.

La campagna indefinita, descritta da Felice Romani, vive infatti di pennellate estive e morbide sfumature, ospitando un gioco scenico sobrio ma ricco di velato umorismo ( i soldatini di latta di Belcore) che, senza pretestuose gag o sterili lazzi, accompagna la trama con l’avvolgente cadenza di una calda lettura famigliare.

Francesco Meli resta, ad oggi, il Nemorino migliore che si possa desiderare e non tanto per la bellezza del timbro, sempre sapientemente cesellato, quanto per l’intelligenza e la raffinatezza dell’interprete che, in questo particolare ruolo, emerge con netta evidenza.

Attento ad ogni singola frase, il suo Nemorino alterna con misura i momenti musicali,  evidenziando, con l’uso della mezzavoce ma anche lunghe pause o ‘filati’, la peculiare scrittura donizettiana che in questo momento sembra  musicalmente voler dire altro, andare altrove e realizzare, nella figura del protagonista, un singolare eroe romantico che, davvero titanicamente, lotta per il suo amore con la sorte e le circostanze. Così la sua stoltezza diviene semplicità ed il suo amore per Adina,  poesia.

Un bel lavoro dunque quello del giovane artista su questo personaggio, che sembra ancora cresciuto dal punto di vista teatrale, acquisendo un’infinità di sfumature e di raffinate chiavi espressive.

Ugualmente ben aderente al suo ruolo l’Adina di Serena Gamberoni, sempre musicalmente precisa, che, con la peculiare vocalità che la caratterizza, ben tratteggiava nel personaggio, quella miscela di garbata e fanciullesca freschezza che ne distingue i tratti.

Ottimamente in linea con i colleghi, sotto il profilo prettamente teatrale, si poneva il Dulcamara di Alfonso Antoniozzi che, finalmente privato di una comicità che non gli appartiene, lascia lazzi e numeri al suo servitore e si pone come un vero venditore moderno che, sapendo ben usare ad effetto la parola (certo con più raffinatezza ed arguzia degli attuali colleghi) in un villaggio di analfabeti, mal si trova quando deve fronteggiarsi con Adina,  che ben la conosce.

Un bel gioco di ruoli dunque, teatralmente convincente e dinamico, dal quale non si sottraeva il Belcore, un po’ sfocato vocalmente ma teatralmente convincente, di Federico Longhi.

Completavano il cast Marta Calcaterra (Giannetta) ed il mimo Luca Alberti.

Il M° Daniel Smith guidava con piglio energico e serrato l’Orchestra del Teatro Carlo Felice, riuscendo ad ottenere, da solisti e coro, compattezza e giusto amalgama musicale.

Teatro Carlo Felice gremito e successo pieno (con bis de “Una furtiva lacrima “) per tutti gli interpreti ed il Direttore.

Silvia Campana