Tullio Serafin: Il custode del bel canto

Tullio Serafin: Il custode del bel canto
Tullio Serafin

Essendomi occupata di uno dei più grandi direttori della storia della musica internazionale e apprestandomi, finalmente, alla pubblicazione di quanto scritto, nella mia mente è sorto in un preciso momento un interrogativo: a chi affidare la prefazione del mio libro? Uno il nome che subito si è materializzato nei miei pensieri, infiniti i motivi che hanno contribuito a farmi pensare proprio a lui.

Il concretizzarsi nella mia mente di quel nome è stato così istantaneo che mi chiedo se tutto ciò possa essere casuale o se non sia, piuttosto, frutto di un chiaro disegno che, fin dall’inizio di questa mia avventura, era già scritto a inchiostro indelebile. La materia trattata – ossia la vita, la carriera e l’animo di un grande concertatore – mi ha senza dubbio indirizzata verso la scelta, o meglio in direzione di quello che allora sembrava solo il vago desiderio di una giovane musicologa che, tra fatiche e tante attese, si sentiva ormai vicina alla bramata pubblicazione del suo lavoro. 

Ne parlai alle persone più vicine, facendo ipotesi su come poter raggiungere “il prescelto”, nessun piano concreto ma tutti mi incoraggiavano a tentare, dicendomi che quella era davvero la persona giusta cui affidare l’incipit di un libro su Tullio Serafin. Consono lo stile a quello del maestro protagonista di quest’opera, un vero umile pur nella sua grandezza; all’unisono con Serafin la spontaneità e la capacità di mettere a proprio agio l’interlocutore; sconvolgente la somiglianza con certe descrizioni che di Serafin ha fatto chi lo ha intervistato negli ultimi anni di carriera e, anche e soprattutto, quelle comuni origini venete, polesane per la precisione, che tanto, ogni giorno di più, mi fanno sentire orgogliosa di essere nata in questa terra, ieri come oggi non facile da abitare ma fonte di ispirazione infinita per chi la ama davvero. Tra i pochissimi ai quali ho sempre confidato ogni piccolo passo verso la pubblicazione del mio libro, qualcuno ha fortunatamente più tenacia di me ed è grazie a lui se posso dire che la mia premessa oggi si concretizza con il contributo del grande Nello Santi. Un segno di continuità, tra un’epoca fatta di grandi passioni e rappresentazioni passate alla storia, quella che visse Serafin, e un’altra, quella vissuta dal maestro Santi, che ci ha mostrato, ancora una volta, quali vette supreme sia capace di raggiungere l’arte di un direttore d’orchestra, di quelli veri e capaci di stupire per la loro limpida e assoluta grandezza. 

E così oggi, insieme ad Andrea Castello, presidente dell’Associazione culturale “Concetto Armonico” e mio caro amico, sono a Zurigo, all’Opernhaus, dove Nello Santi ci ha donato un po’ del suo tempo, insieme ad alcuni preziosi ricordi di vita. «Ho incontrato Serafin nel luglio del ’53 – racconta il maestro Santi – ero a Verona il giorno in cui hanno ricordato il primo anno di anniversario della morte di Evita Peron, c’erano tutti – Del Monaco, Tebaldi, Serafin e altri – nella chiesa di San Nicolò, dove si svolse una cerimonia di commemorazione. Serafin me lo presentò Giovanni Inghilleri, il mio primo Iago nel ’52, mi ricevette all’Hotel Accademia dove risiedeva, ricordo una persona cordialissima, fiera delle sue origini venete, di Rottanova precisamente, mi diede alcuni consigli per la carriera che, allora giovane direttore, mi apprestavo a iniziare».

I ricordi e le considerazioni si susseguono e la conversazione scorre, liscia e piacevole, regalando spunti per questa premessa ma soprattutto una lezione di vita, di quelle che rimangono impresse e che vorresti trasmettere a chiunque ti trovi di fronte. «Tullio Serafin – prosegue il maestro – ci ha insegnato che le buone cose si possono fare ovunque: è andato in Arena con un violino e una tromba per sentire l’acustica e ha creato il Festival Areniano. È stato chiamato a Roma, nel ’34, per fare del Teatro dell’Opera “il più grande teatro del mondo” e lui, avvalendosi della collaborazione di alcuni dei più grandi artisti del tempo, portò il teatro romano a dei livelli supremi. Questi risultati sono stati frutto di un metodo di lavoro preciso, che tendeva alla perfezione ed esigeva il massimo impegno da parte di ciascuna persona coinvolta. Mi hanno raccontato che, quando diresse La walkiria nel ’38, durante la scena della spada nell’albero non si è visto nulla perché mancò la luce sulla spada. Il giorno dopo, Serafin andò in teatro e chiese chi fosse in servizio alle luci la sera precedente, lo chiamò nel suo ufficio e gli disse che poteva passare all’economato, licenziato. È così che si fa “il più grande teatro del mondo”, oggi se dessero questo compito, l’unico modo di portarlo a termine sarebbe quello di chiamare un architetto che, materialmente, costruisca il più grande teatro del mondo per dimensioni. Ai nostri giorni manca la sincerità, che si può abbinare con l’umiltà, ognuno crede di essere il migliore di sempre e, con la fortuna che abbiamo ad avere delle registrazioni degli ultimi cinquanta-cento anni che sono dei capolavori, nessuno si mette in ascolto. C’è tutto da imparare da quelle registrazioni, da imparare in ginocchio».

Tullio Serafin: Il custode del bel canto

Il maestro Santi dimostra di avere molto a cuore la preziosità delle registrazioni dei grandi del passato, un argomento sul quale ritorna più volte, precisando i motivi della loro importanza. «Una volta non si poteva tagliare – afferma – quando si aveva fatto l’incisione, quella rimaneva, in quei quattro minuti e mezzo dei 78 giri è contenuta la verità della verità, con errori, cose che non c’entrano e sono lì a testimoniare vita vissuta. Si facevano prima quattromila prove e tutto era perfetto, poi magari la paura aveva la meglio, anche perché in quei tempi si agitavano avendo davanti un microfono. Questa è la verità, una verità scandalosa ma pur sempre verità, se si pensa a quello che sono riusciti a fare con gli strumenti che hanno avuto a disposizione non rimane altro che rimanere in silenzio e ascoltare».

Nell’Olimpo dei grandi direttori, che hanno dato origine a registrazioni memorabili, Nello Santi include a pieno titolo Tullio Serafin. «Diceva Toscanini: “Se dirige ‘il vecchio’ possiamo star tranquilli”, parlando di Serafin, che tra l’alto era più giovane di lui – prosegue il maestro Santi – Serafin interrompeva i cantanti, insegnava loro come fare, faceva ripetere senza timore di baruffe, le discussioni ci devono essere e non si possono fare prove di due settimane per allestire un’opera, Toscanini e Serafin facevano quattro mesi di prove. Quando ero giovane pensavo che fossero troppe le prove da fare, invece sono necessarie perché sennò la gente non si imprime nella testa le pause e i principi interpretativi. Serafin era molto ligio nelle cose, per tutto Bellini è un punto di riferimento e non è un caso che sia stato lui a insegnare alla Callas a cantare, Serafin l’ha scoperta e l’ha fatta emergere. Il mio primo disco l’ho fatto con un’altra interprete scoperta da Serafin, John Sutherland, ma citare questa coppia di nomi illustri è solo ricordare in minima parte quello che egli fece».

Il modo migliore per concludere questa premessa, concretizzatasi nella straordinaria giornata di oggi, che mi ha portata prima a prendere un caffè in compagnia del grande Nello Santi e poi a sentirlo dirigere Andrea Chenier, sono senza dubbio le parole del maestro, non dirette a me, ma ai giovani direttori d’orchestra nonché ai lettori di questo libro. Credo che possano essere, per tutti, un prezioso insegnamento, certamente in grado di dare spunti per il proprio percorso professionale, ma soprattutto portatrici di quel rinnovamento indispensabile all’Arte, che può giungere solo dallo studio del passato, un passato talmente glorioso che custodirlo e valorizzarlo dovrebbe essere la missione primaria per ciascuno di noi.

A voi, quindi, le parole del maestro Nello Santi.

«Ai giovani direttori d’orchestra consiglio di andare con umiltà nei teatri ad ascoltare quello che fanno gli altri, dopo faranno sicuramente meglio. Oggi i maestri sono tutti quanti dei divi, tutti sono convinti di aver trovato la quadratura del cerchio. Non hanno nessuna idea e vogliono che i cantanti solfeggino ma il cantante non deve solfeggiare, deve saper la musica, rispettare il ritmo e soprattutto essere capace di esprimere qualcosa. Questo libro traccia, con interessanti documenti inediti, la figura di Tullio Serafin. Ai lettori mi sento di consigliare di accostarsi ad esso con spirito molto umile e con curiosità, di leggerlo con un’umiltà curiosa di conoscere le cose straordinarie che Serafin è riuscito a fare» 

Nicla Sguotti