
Che spettacolo divertente , piacevole quanto artisticamente assai ben delineato ha presentato la rassegna «Noli Festival», giunta quest’anno alla sua settima edizione, quale evento inaugurale. Niente paillettes, lustrini o abiti lunghi ma, quale ‘dress code’ quasi obbligato, pantalone lungo e scarpa chiusa ( meglio ginnastica che le più ‘glamour’ hanno declinato con lustrini in tinta ) con annessi una felpa o, meglio ancora, un bel giaccone imbottito. Non stiamo parlando delle Dolomiti ma dell’altopiano delle Manie, bellissimo angolo dell’entroterra ligure ( mai sufficientemente conosciuto ) sopra Noli, nel finalese, in cui alle trattorie si affiancano agriturismi, davvero autentici, in cui godere un po’ di fresco sorseggiando un buon bicchiere di Pigato.
E proprio in uno di questi agriturismi ( il noto «da Ferrin» ) la direzione artistica di Linda Campanella e del consorte Matteo Peirone , artisti che hanno creato e che accrescono ogni anno il loro Festival con idee graziose tenendone sempre ben presente ed anzi accrescendone anno dopo anno la qualità artistica, ha deciso di allestire una singolare produzione del donizettiano «L’elisir d’amore».
La regia, curata dai due artisti, sfruttava con grande intelligenza lo spazio agreste (fasce ed alberi di ulivo) quale quinta naturale ad uno spettacolo ambientato proprio dove la partitura donizettiano avrebbe scelto il suo luogo d’origine. Certo il forte rischio era quello di scadere nel didascalico o nel banale, precipitando nell’oleografia o , ancor peggio , nel kitsch ma la semplicità e la misura l’hanno fatta da padrone , sortendo un risultato complessivo artisticamente avvincente, simpatico ed armonioso.
Nonostante la bassa temperatura e la forte umidità abbia giocato qualche scherzo, Oreste Cosimo tratteggiava un Nemorino complessivamente convincente. Il timbro del giovane si mostrava bello e ricco di armonici e ben si confaceva al non facile ruolo donizettiano che, anche scenicamente, risolveva con efficacia. Linda Campanella tratteggiava una brillante Adina, tanto sicura e svettante nelle agilità quanto fresca e disinvolta nel fraseggio mostrando, ancora una volta, quanto la professionalità faccia sempre la differenza in teatro , sia dal punto di vista prettamente musicale che complessivamente artistico .
Irresistibile il baritono Michele Govi nel ruolo di Belcore ( trasformato dalla regia in un ‘ esilarante vigile urbano ) che combinava una giusta timbrica con una trascinante ‘ verve ‘ così come Matteo Peirone che delineava il suo furfantesco Dulcamara con la consueta abilità musicale ed espressiva che gli è propria e che lo rende sempre felicemente vittorioso su ogni carattere, con teatrale prepotenza .
A tutto questo si aggiunga il Cupido narrante interpretato dall’attore Tony Marzolla ( molto abile ma , a mio parere , un po’ troppo elaborato nei suoi lunghi interventi che rischiavano di bloccare il fluire dell’azione ) le ‘Dulcamara Girl’ , che distribuivano ‘elisir’
al pubblico ed un ottimo rinfresco ( con prezzo a parte in ingresso ) con specialità liguri creato , durante l’intervallo, in concomitanza alla festa per i preparativi alle nozze di Adina e Belcore, ed ecco perfettamente confezionata una produzione agile , svelta ed intelligente alla quale , una divertita Renata Scotto , sempre attenta a ció che accade nella sua regione, assisteva con la consueta semplice giovialità .
Ottimo il lavoro di riduzione di Andrea Albertini al pianoforte che, insieme a Arianna Menesini al violoncello e Giuseppe Canone (polistrumentista) , costituiva l’orchestra di questa gaia ed assai riuscita ‘pièce’.
Aia gremita e pubblico felice e festante per un’operazione che meriterebbe di girare per l’Italia alla ricerca di altri luoghi giusti in cui rivivere , e noi , davvero di cuore , glielo auguriamo .
Silvia Campana