Questo allestimento di due atti unici così dissimili tra loro è stato fatto dal Teatro San Carlo in coproduzione con la Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino e Fondazione Teatro Regio di Torino, dove fu proposto l’anno scorso.
Goyescas, la più famosa opera di Enrique Granados, nasce prima come suite per pianoforte in occasione dei festeggiamenti del centocinquantesimo anniversario della nascita di Francisco Goya. La suite è ispirata ai temi cari a Goya: la Madrid dei majos e delle majas, giovani madrileni gaudenti, le danze e le musiche popolari. Granados trasformò poi la composizione strumentale in un’opera, in “pitture sonore” in cui si narra una vicenda d’amore, di gelosia e di morte, che debuttò al Metropolitan di New York nel 1916.
A una festa popolare a Madrid, il torero Paquiro invita a ballare la bella Rosario, che è la donna di Fernando. L’invito ingelosisce sia Fernando che la fidanzata di Paquiro, Pepa. Rosario non accetta l’invito, ma Fernando si ritiene comunque offeso e sfida Paquiro a un duello in cui verrà ucciso.
L’opera presenta un’orchestrazione suggestiva, e gli spunti popolari sono ineriti in una tessutura orchestrale raffinata.
Nell’allestimento del San Carlo gli interpreti erano Giuseppina Punti nel ruolo di Rosario, Andeka Gorrotxategui in quello di Fernando, César San Martin nei panni del torero Paquiro e Giovanna Lanza che ha interpretato l’altra donna, Pepa.
Quanto a Suor Angelica, Giacomo Puccini ne parlò come di un’opera “claustrale o monacale”, tutto mistiscismo e spiritualità, proprio agli antipodi della carnale vitalità di Goyescas. Anche quest’opera ebbe il suo debutto al Metropolitan di New York, nel 1918. Inclusa nel trittico, insieme a Il Tabarro e Gianni Schicchi, Suor Angelica era, tra le tre, la preferita dallo stesso Puccini.
Mentre in Goyescas, il regista Andrea de Rosa sceglie un’ambientazione abbastanza tradizionale, ispirandosi dal punto di vista figurativo alle tele di Goya, con Suor Angelica si assume delle libertà rispetto al libretto, collocando l’azione non in un convento ma in un ospedale psichiatrico in cui suore assistono i malati, che sono presentati dietro un’inferriata che divide in larghezza e in altezza il palco dalla platea.
All’inizio non è chiaro se Angelica sia una delle suore o una delle degenti, poiché non veste il velo. Dopo aver appreso della morte di suo figlio dalla Zia Principessa, ha una crollo nervoso che definitivamente la fa entrare nel novero dei malati in cura.
Nel ruolo del titolo, al San Carlo, c’era Maria Josè Siri mentre la Zia Principessa è stata interpretata da Luciana D’Intino. Nel ruolo della Suora Zelatrice c’era Elena Zilio, mentre in quello della Badessa, Annunziata Vestri.
Il direttore Donato Renzetti ha guidato l’orchestra sancarliana risolvendo le difficoltà delle due partiture: in Goyescas non cadendo nell’errore di sovrastimare il lato folkloristico, ma dando invece spazio alla drammaticità dello spartito. Nell’atto unico pucciniano, Renzetti è bravo nel passare dal lirismo patetico della prima parte alla eccitazione isterica che vive del personaggio nel finale, fino al tragico esito.
Qui il regista ha deciso di mantenere tutto sul piano dell’indagine psicosociale, evitando letture spiritualistiche o mistiche e ancorando il tutto a una molto terrena patologia psicotica, sostituendo la visione o allucinazione in cui Angelica vede (crede di vedere) il figlio morto, con un bambolotto di pezza.
Lorenzo Fiorito