Difficile parlare de Le nozze di Figaro andate in scena al Teatro alla Scala di Milano. Poche volte la direzione musicale a la regia si sono talmente compenetrate da raggiungere un risultato così basso, da non potersi credere che questa sia una nuova produzione del massimo teatro italiano.
La regia affidata Franz Wake-Walker è parsa frenetica, una specie di corsa all’impazzata verso il nulla assoluto, con punte volgarissime e momenti imbarazzanti. Tutto questo fa capire che il giovane regista inglese nulla ha capito né dei versi di Da Ponte né della musica di Mozart. È riuscito così a trasformare quella che viene definita “l’opera perfetta”, in una farsa da quattro soldi, che ha avuto l’apice nel finale del secondo atto con l’arrivo sulla scena del finto suggeritore con una maschera di scimmia.
La cosa fa ancor più specie se si pensa che questa “genialata” dovrebbe prendere il posto di una produzione che definire storica è poco, quella firmata dal genio di Giorgio Strehler, che può benissimo essere considerata una delle più belle messe in scena che ci siano mai state a livello mondiale.
A questa inutile confusione sul palco si è unita la confusione in buca, in quanto la direzione Franz Welser-Möst lungi dal possedere la limpidezza mozartiana si è caratterizzato per un impasto di suoni spesso discordanti fra loro uniti al una lentezza di fondo, che prendeva qualche improvvisa accelerata nei momenti meno adatti.
Il cast che in questo guazzabuglio si è arrangiato come ha potuto, si è dimostrato di buon livello, se si escludono la pessima Marianne Crebassa cha ha dato vita a Cherubino e l’ancor peggiore Kresimir Spicer nel doppio ruolo di Don Basilio e Don Curzio (scelta questa incomprensibile per un tale teatro, dotato anche di una prestigiosa accademia).
Golda Schultz, è sembrata persa nel ruolo di Susanna, personaggio che domina la scena. La voce è di ottima qualità ma, si è capito da come ha buttato via i recitativi, non è riuscita ad entrare all’interno del personaggio, motore della vicenda. Certo non è stata per nulla aiutata, visto che nell’aria “Deh vieni non tardar” il direttore ha preso un’accelerata delle sue, facendo diventare il recitativo quasi uno scioglilingua, mentre il regista la faceva accomodare all’interno di un lampadario. Il risultato è stato il trasformare quello che è il momento magico dell’opera in una scena ridicola.
Accanto a lei Markus Werba, nel ruolo di Figaro, è stato trasformato in una specie di regista di questa farsa, nella farsa (cosa che avrebbe dovuto essere l’idea geniale del regista). Preso dal demone del movimento perpetuo, non ha un momento di stop per tutti i quattro atti. Ha raggiunto la volgarità assoluta quando nel “Se vuol ballare” simula una masturbazione in faccia al conte, (seduto ad ascoltarlo durante l’aria, altrimenti il pubblico non avrebbe mai capito a chi era riferita l’invettiva!), per poi rifarla in faccia alla contessa nella ripresa del secondo atto.
Diana Damrau è parsa spaesata nel ruolo della contessa, trasformata in una specie di gallina isterica, non riuscendo a farci sentire le sue celebri doti vocali.
Carlos Álvarez è stato il migliore del cast, in quanto il ruolo del conte, a parte due finte mancanze di memoria in due frasi, fatte per giustificare la presenza in scena del finto suggeritore, è stato quello meno distrutto dal regista.
Una Marcellina di lusso è stata Anna Maria Chiuri, voce wagneriana prestata ad un personaggio di fianco inspiegabilmente privato dell’aria.
Bella prova quella di Andrea Concetti, costretto agli straordinari visto il doppio ruolo di Don Bartolo ed Antonio, altro mistero di questa messa in scena.
Alla fine i fischi che si sono avuti nelle varie recite, esclusa quella fuori abbonamento, in cui il teatro è pieno di turisti a cui poco importa cosa avviene sul palco, sono stati tutti meritati.
Dopo l’allestimento del 2013 de La Traviata di Dmitri Tcherniakov, piaciuto tanto, anche alla direzione del teatro, che per le recite in programma nel 2017 ritirerà fuori l’edizione storica firmata da Liliana Cavani, (cosa che io previdi nella recensione che feci di quella prima), aspettiamo di vedere cosa ne sarà di questo nuovo allestimento scaligero: si avrà il coraggio di ripresentarlo o si riprenderà in futuro la produzione firmata da Giorgio Strehler?
Questo toto-opera potrebbe essere simpatico, se non fosse che si parla di fondi pubblici, perché le fondazioni lirico sinfoniche non sono teatri privati ma teatri pubblici finanziati con le tasse pagate dai contribuenti. Ogni allestimento sbagliato che viene dimenticato in un magazzino sono soldi di tutti noi buttati nella spazzatura. È questa è una cosa di cui si parla troppo poco e di cui non ci si dovrebbe mai dimenticare.
Domenico Gatto