È la potenza espressiva di ogni singola vocalità a delineare i caratteri in un’opera dalla deflagrante popolarità quale è «Andrea Chénier» ed impostare un allestimento non tenendo conto di questo fattore centrale può rivelarsi un temibile passo falso per qualsiasi teatro.
Così è successo infatti al virtuoso Comunale di Modena in questo suo nuovo allestimento dell’opera in coproduzione con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatro Regio di Parma e Opéra di Toulon.
Che cosa non ha funzionato?
Principalmente, a parte pochissime eccezioni, la scelta di un cast in possesso di vocalità importanti ma non uguale espressività ed una regia principalmente risolta sotto il profilo scenografico (come spesso è prassi) che non evidenziava le peculiarità del dramma. Valutare solo la popolarità di una partitura può essere un elemento positivo, se sviluppato con rispetto, ma fatale se non considerato nella sua completezza. Il quadro potente creato da Giordano può funzionare infatti solo se ci si crede davvero e completamente e lo si sottolinea con giusta intensità.
Il regista Nicola Berloffa, in collaborazione con le belle scenografie di Justin Arienti, sembra partire dalla storia per raccontare un dramma di sentimenti potenti, ma essa è relegata a patinata ed oleografica cornice e, sotto questo profilo, lo spettacolo potrebbe anche funzionare se non tradisse uno scarso approfondimento registico che lascia gli artisti in balia di se stessi a seguire la loro personale visione del proprio carattere, il più delle volte sommariamente delineato.
Così lo spazio claustrofobico creato in palcoscenico non viene supportato da un uguale lavoro con gli interpreti perdendo significante drammaturgica.
Martin Muehle è un tenore dal timbro molto interessante, ben proiettato e sicuro in tutta la tessitura ma un canto sostanzialmente sfogato ed impostato sul volume e non sull’intensità espressiva non può certo giovare ad un personaggio così sfrontatamente emozionale come Chenier, in cui la parola si risolve completamente nella potenza teatrale. Il carattere risulta così appena sbozzato ed esclusivamente sotto il profilo vocale.
Ugualmente il Carlo Gérard di Claudio Sgura è privo di espressività e viene risolto attraverso una vocalità tecnicamente non ineccepibile ma che, attraverso un maggior approfondimento del personaggio, potrebbe crescere in teatralità acquistando maggior vigore e potenza drammatica.
Un po’ sacrificata in questo ruolo la professionalità di Saioa Hernández riesce, con un uso attento delle proprie potenzialità timbriche, a toccare le corde di un personaggio di donna fuori dagli schemi che trova nel delirio espressivo la sua chiave di volta e che solo grazie alla ricerca di un amore salvifico può trovare la sua completezza. Ottimo Alfonso Zambuto quale “Incredibile”.
Completavano il cast Nozomi Kato (Bersi), Shay Bloch (Contessa di Coigny), Antonella Colaianni (Madelon), Stefano Marchisio (Roucher), Alex Martini (Pietro Fléville / Fouquier Tinville),
Fellipe Oliveira (Il sanculotto Mathieu), Roberto Carli ( L’Abate), Stefano Cescatti (Schmidt) e Luca Marcheselli (Il Maestro di Casa / Dumas).
Il M* Aldo Sisillo, alla guida dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, pur con qualche scollamento di troppo con il palcoscenico, dirigeva con misura così come professionale e misurato appariva il Coro del Comunale diretto dal M° Stefano Colò.
Una sala gremita in ogni ordine di posti ed una calorosa accoglienza da parte del pubblico siglavano con un bel successo questa nuova produzione modenese.
Silvia Campana