Anna Netrebko trionfa nella Giovanna D’Arco a Milano

Anna Netrebko trionfa nella Giovanna D’Arco a Milano
Anna Netrebko trionfa nella Giovanna D’Arco a Milano

La stagione 2015-2016 del Teatro alla Scala si è aperta col trionfo di Anna Netrebko, nei panni della Pulzella d’Orleans. Giovanna D’Arco, opera messa in musica da Verdi nel 1845, non poteva avere interprete più adatta per questo ruolo.

Il soprano russo si conferma interprete eccezionale. La voce è bella, musicale, straordinaria negli armonici, capace di rendere appieno tutte le sfumature del personaggio. i suoi filati, i suoi “pianissimo”, Da brivido in rendono appieno il misticismo della santa e riempiono la sala alla stessa stregua del canto di forza, da vera guerriera. Gli acuti squillanti e luminosi, le agilità scorrono con estrema fluidità.

Di grande impatto la cavatina “Sempre all’alba della sera” in cui rende palpabile lo sgomento della santa, altrettanto ispirato è il canto nell’aria “O fatidica foresta”, struggente il finale.

Una cantante vera, un’artista a tutto tondo e non solo una diva da copertina come ci ha abituato lo star system che impera in questo periodo, che preferisce l’apparenza alla sostanza.

A rovinare sì grande interpretazione ci provano i due registi che hanno banalizzato il tutto trasformando la vicenda della Pulzella in quella di una schizofrenica che soffre di allucinazioni: la soluzione più banale per non sviscerare il contenuto del libretto e soprattutto della partitura, della vicenda di uno dei personaggi più controversi e discussi e della storia. Dopo la Violetta isterica ed alcolizzata del 2013 ecco: non più la Santa vergine guerriera ma una novella “Giovanna la pazza”, (ovviamente niente a che vedere con la figlia di Isabella di Castiglia e madre dell’imperatore Carlo V). Ormai a certi registi non interessa ciò che dice la musica, non interessa l’afflato mistico (tema portante di quest’opera come lo è, in modo diverso, della Traviata), preferiscono appiattire tutto allo stesso modo: non conta se siano sante oppure puttane, facciamole pazze, così non si sbaglia. Questo tipo di progetto registico, inaugurato con ben altri risultati trent’anni fa da registi di straordinaria cultura come erano Patrice Cherau e Luca Ronconi, ha perso da tempo la sua valenza drammatica e, per certi versi, allora rivoluzionaria. Ora sono semplicemente delle ripetizioni, banalizzazioni: la cosa più ovvia che ci si possa aspettare di vedere in teatro. Per la cronaca i nomi dei due geni (poiché per siffatta messa in scena non ne bastava e avanzava uno solo) che hanno firmato la regia sono Patrice Caurier e Moshe Leiser. Quest’ultimo contraddistintosi anche per l’eleganza con cui ha mandato eufemisticamente a quel paese (le parole usate erano ben altre) appena finito lo spettacolo, ma ancora in diretta radiofonica, il maestro Chailly, reo di aver censurato, come giustamente deve fare un direttore d’orchestra, alcune scelte registiche di pessimo gusto e certo non degne di un teatro del livello di quello milanese.

Anna Netrebko trionfa nella Giovanna D’Arco a Milano
Anna Netrebko trionfa nella Giovanna D’Arco a Milano

Accanto alla protagonista, molto applaudito è stato anche Francesco Meli nel ruolo di Carlo VII, sebbene incomprensibilmente ridicolizzato dai registi che lo hanno voluto dipinto tutto d’oro (come fosse un cioccolatino Ferrero-Rocher) e nel finale seduto su una sorta di cavallo a dondolo, pur esso dorato. Meli ha dimostrato di trovarsi a suo agio in questo ruolo, palesando un ottimo fraseggio, convincendo nell’accentare e scandire benissimo, grazie al bel timbro e ad una voce fresca e suadente.

Buona la prova del baritono Devid Cecconi, osteggiato dalla coppia registica che avrebbe voluto relegarlo nella buca dell’orchestra a cantare, tenendo in scena il malato Carlos Alvarez recitante in una sorta di playback, cosa cui si è giustamente opposto il maestro Chailly. Cecconi non si è fatto schiacciare dal debutto in un evento di questo livello, come sarebbe potuto accadere, e ha reso bene il ruolo di Giacomo, padre della Santa. La voce dal bel colore baritonale suona un po’ indietro, al punto da venire coperta nei concertati e sopraffatta nei duetti da quella della Netrebko. Comunque il pubblico ha dimostrato di apprezzarlo, anche in virtù del fatto che ha salvato la recita.

Completavano il cast il Talbot di Dmitry Beloselskiy ed il Delil di Michele Mauro.

Riccardo Chailly, che ha fortemente voluto questo titolo per l’inaugurazione, è stato eccelso nella direzione. Ha diretto in modo entusiasmante e coinvolgente l’altrettanto sensazionale orchestra scaligera, in un repertorio, quello del Verdi giovanile degli “anni di galera”, che il maestro ama particolarmente e che risulta perfetto per il suo temperamento e le sue innegabili qualità. Egli è stato capace di calibrare e coordinare perfettamente la “tinta” che quest’opera possiede, cogliendone sia il lirico misticismo che l’empito guerriero, senza che l’orchestra soverchiasse le voci, ottenendo un equilibro ottimale tra buca e palcoscenico.

Straordinaria la partecipazione del coro, preparato dal maestro Bruno Casoni.

Grandissimo trionfo per tutti, trascinati da un’Anna Netrebko in stato di grazia che si spera di riascoltare al più presto e di nuovo in Scala.

Domenico Gatto

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