Attila di Verdi di scena a Modena

Attila di Verdi di scena a Modena. Rolando Paolo Guerzoni
Attila di Verdi di scena a Modena. Rolando Paolo Guerzoni

Tempi difficili questi per il teatro lirico, che già da tempo non sembra godere di ottima salute, in cui sembrano scontrarsi in singolar tenzone due opposte fazioni l’un contro l’altra armate, quella dei conservatori che, alfieri della didascalia ed armati di sacro libretto, pretenderebbero il totale rispetto delle regole scritte dall’autore e quella dei rivoluzionari (che così tanto ormai più non sono) che, reclamando la totale natura teatrale del melodramma e la sua adesione ai tempi ed ai gusti che la società contemporanea impone, gradirebbero esclusivamente regie prettamente teatrali e dunque drammaturgicamente approfondite, anche se con visioni, a volte, perfettamente a sé stanti.

Com’è facilmente intuibile entrambi gli ‘schieramenti’, che a tratti hanno l’aspetto, e i toni, di vere legioni, sembrano dimenticare alcuni importanti passaggi: gli uni quanto il libretto nascesse quale strumento pratico e dovesse dunque rispondere a coordinate di genere concordate ed accettate dall’autore, a parte alcuni casi (su tutti Verdi) in cui questi vi interveniva direttamente smontandolo totalmente per seguire un proprio sentire personale, atto ad avvicinare, in sempre maggior misura, la drammaturgia alla musica rendendola teatro a tutti gli effetti, gli altri quanto il teatro in musica debba, sempre e comunque, far partire ogni sua interpretazione dalla partitura e dal ‘sentire’ della stessa che spesso ha un’intrinseca ed innegabile attualità di concetto, ma non sempre e non per forza.

“In medio stat virtus” bisognerebbe banalmente sostenere eppure appare sempre più difficile assistere a spettacoli equilibrati o che sappiano ben combinare questi due concetti realizzando un obiettivo che sarebbe eccellente per il teatro e per gli spettatori che, spesso sballottati da questo ‘mare magnum’ di visioni dicotomiche rischia davvero di perdere il proprio filo di Arianna.

In quest’ambito sembrava orientarsi Enrico Stinchelli con la sua regia di “Attila”, nuova produzione del Teatro Comunale di Modena nel corso della corrente Stagione lirica, cercando di realizzare uno spettacolo scenicamente comprensibile utilizzando i mezzi che l’attuale tecnologia ci mette a disposizione ma il risultato, pur virtuoso nelle intenzioni, non raggiungeva l’effetto sperato. 

Certamente “Attila” è partitura del primo Verdi dunque caratterizzata da mirabili melodie ma drammaticamente statica: nessun personaggio viene profondamente caratterizzato ed il libretto è sicuramente uno dei peggiori nella storia del melodramma, dunque puntare ulteriormente proprio su questi aspetti, ingigantendoli, piuttosto che sulle meravigliose intuizione che la musica trasmette ci è sembrato un azzardo.

Attila di Verdi di scena a Modena. Rolando Paolo Guerzoni
Attila di Verdi di scena a Modena. Rolando Paolo Guerzoni

La scena era di fatto molto semplice e giocata in larga parte su di un uso di proiezioni naturalistiche che, indubbiamente d’effetto (la nascita di Venezia dalle acque della laguna al termine del Prologo) venivano altresì potenziate da costumi che sembravano essere un incrocio tra l’Asterix di Goscinny e Uderzo e la celebre serie Tv “The game of Thrones (abbondantemente citata con numerosi rimandi durante lo spettacolo) con un risultato che lasciava poco spazio al teatro e quel poco non sembrava entrare mai in connessione con la partitura se non quando la volontà di colpire l’occhio del pubblico prendeva il sopravvento.

Scelta tanto chiara quanto rispettabile ma, dal mio personale punto di vista, poco condivisibile. 

Discutibile in parte la scelta del cast per un’opera che principalmente sulla vocalità si regge. 

Carlo Colombara, tratteggiava un Attila meditabondo e pensoso, più concentrato sul versante personale che su quello guerriero, dominando con vocalità sempre espressiva e morbida il suo ruolo, musicalmente delineato con precisione e teatrale espressività così come il baritono Vladimir Stoyanov disegnava il ruolo di Ezio con una vocalità sicura che, pur a tratti un po’ fredda sotto il profilo espressivo, convinceva nondimeno per sobria e composta professionalità e precisione.

Caratteristiche entrambi mancanti al soprano Svetlana Kasyan, impegnata nel temibile ruolo di Odabella la quale, dotata di una vocalità tonante ma di qualità non particolarmente preziosa, sembrava non essere a suo agio con la partitura che esige una precisione tecnica e musicale a lei ancora lontana.

Dalla vocalità interessante e dal timbro sicuro il tenore Sergio Escobar si destreggiava al suo meglio nel ruolo di Foresto, ma i numerosi problemi nel passaggio e la sostanziale difficoltà a cantare sul fiato, bloccavano spesso le sue buone intenzioni.

Completavano il cast: Roberto Carli (Uldino) e John Paul Huckle (Leone).

Il M° Aldo Sisillo, alla guida dell’Orchestra dell’Opera Italiana, dirigeva con giusto vigore cercando di ottenere il massimo dai solisti e raggiungendo un risultato, nel suo complesso, rispettosamente equilibrato e professionale così come il Coro del Teatro Comunale diretto dal M° Stefano Colò.

Sala gremitissima ed entusiasta il pubblico in sala, che mostrava di gradire il taglio registico e salutava interpreti e Direttore con numerosi applausi e chiamate.

Silvia Campana