Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny conclude la stagione di Roma

Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny conclude la stagione di Roma
Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny conclude la stagione di Roma

Ultimo titolo in programma per la stagione 2014/2015 dell’Opera di Roma è stato il capolavoro di Kurt Weill e Bertolt Brecht Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, nel nuovo allestimento realizzato da Graham Vick in coproduzione col Teatro La Fenice di Venezia ed il Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia.

Torna dopo 10 anni sul palco del Teatro Costanzi, la grande critica sociale di Weill e Brecht, rappresentata a Lipsia nel 1930, considerata musica degenerata dagli ideologi nazisti che bruciarono tutte le partiture, mentre i due autori furono costretti a fuggire in esilio in America dove riuscirono a metterne in scena una nuova versione, più adatta la pubblico di Broadway, che sarà quella che circolerà per il mondo. Solo negli anni ’80 fu ritrovata una copia della versione originale.

Begbick, Trinity Moses e Fatty, inseguiti dalla polizia, fuggono verso la Costa dell’oro. Bloccati da un guasto in una zona desertica, decidono di fondare sul posto una città dell’oro, la chiameranno Mahagonny e sarà un paradiso dove si potrà avere tutto. I tre organizzano un’efficace propaganda ai pregi della vita nella loro città. Come tante altre ragazze, Jenny e le sue sei compagne vi si trasferiscono per allietare la vita dei cercatori che nel frattempo affluiscono numerosi. Tra questi sopraggiungono Jim e i suoi amici, che si sono arricchiti dopo sette anni di duro lavoro in Alaska come tagliaboschi; Mrs. Begbick offre loro le ragazze e Jim sceglie Jenny. Ma presto nella città sopraggiunge la crisi economica. Jim contesta le già liberali leggi di Mahagonny: basta con i divieti, deve esservi permesso proprio tutto, anche soddisfare un desiderio folle come quello di mangiarsi il proprio cappello. Disgustato dalla falsità dell’ordine fondato sul denaro, Jim lo vuole sostituire con il caos di un’anarchia senza freni: mette a nudo l’ipocrisia della comunità portandone la morale alle estreme, paradossali conseguenze. Per denaro, proclama Jim, qualsiasi sopruso e qualsiasi desiderio sarà d’ora in poi lecito: mangiare, bere, prostituirsi, fare a pugni sono i suoi quattro comandamenti fondamentali. Si annuncia intanto l’arrivo di un uragano che pare sul punto di distruggere la città. Il panico e lo sconforto provocati dalla notizia della fine imminente fanno sì che le proposte di Jimmy vengano accettate: al pensiero di una catastrofe sempre in agguato per distruggere ogni cosa, concordano tutti, tanto vale vivere come se si trattasse dell’ultimo giorno della nostra vita.

All’ultimo istante l’uragano cambia miracolosamente percorso: la città è salva. Ma le leggi di Jim sono rimaste in vigore e i suoi amici ne pagano gli effetti catastrofici. Jack si rimpinza di cibo sino a morirne, mentre Joe, sul quale Jim scommette tutti i suoi averi, è sconfitto e perisce in un’impari sfida pugilistica con Trinity Moses. Disperato, Jim invita Jenny e Bill a ubriacarsi. Con un tavolo da biliardo, un’asta e un lenzuolo i tre fingono di trovarsi su una nave che veleggia verso l’Alaska, nel patetico miraggio del ritorno alla vita da tagliaboschi. Ma l’incantesimo svanisce bruscamente: Jim non ha di che pagare il conto delle bottiglie di whisky che si è scolato e nessuno, neppure Jenny, si offre di farlo; viene perciò gettato in prigione.

Ai danni di Jim viene celebrato un processo-farsa: i giudici sono i suoi stessi accusatori, Mrs. Begbick e Trinity Moses. Il crimine commesso da Jim è il più grave che si possa immaginare per Mahagonny: aver sedotto Jenny e provocato la morte dell’amico Joe sono peccati veniali in confronto a quello, imperdonabile, di trovarsi senza soldi. Solo la morte sulla sedia elettrica può lavare una simile vergogna, stabilisce la sentenza. Mentre la condanna viene eseguita, un incendio divora Mahagonny; in preda a una sorta di follia, gli abitanti sfilano in cortei di protesta con cartelli che si contraddicono a vicenda, ineggianti gli uni all’ordine gli altri alla libertà: la fine di Jim è anche quella della città.

Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny conclude la stagione di Roma

Critica al capitalismo sfrenato, Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, paradossalmente non sarà mai rappresentata nei paesi del comunismo, poiché come facevano notare gli ideologi marxisti, gli anarchici peggiori raffigurati nell’opera non erano dei borghesi capitalisti ma degli umili operai.

Per questa edizione la direzione è stata affidata John Axelrod, allievo del grande Leonard Bernstein, che, grazie al suo eclettismo, ha spaziato nella sua carriera dal rock alla musica classica, è riuscito in pieno a cogliere tutte le varianti della partitura, soprattutto quelle situazioni da cabaret che si trovano all’interno dello spartito.

La regia di Graham Vick, si inquadra in quello che è il suo stile e che per chi ha già visto molte sue messe in scena appare ripetitivo, a cominciare dall’uso degli attori mimi in scena, cosa che già aveva fatto nel Rheingold qualche anno fa a Palermo. Certo vista qui l’atemporalità dell’Opera risulta tutto più giustificabile, partendo dall’ambientazione contemporanea con molti riferimenti alla realtà, in primis il cartello autostradale che dà subito una forte connotazione geografica visto che vi si legge Catania – Siracusa, ponendo quindi la sua Mahagonny in Sicilia, terra di approdo dei nuovi migranti. Momento culminante di quest’attualizzazione è il processo farsa di Jim che viene effettuato in diretta televisiva, cosa che dovrebbe essere originale ma che per un pubblico ormai abituato a trasmissioni tipo: “Forum” o “A torto o ragione” appare normale. Interessante il fatto che alla fine Jim condannato a morte venga vestito di arancione come le vittime dell’Isis, ma ci si domanda, i migranti che arrivano in Sicilia non sono quelli che fuggono dall’Isis? Questo per sottolineare che se si vuole fare dell’attualizzazione o del sensazionalismo bisogna anche avere una coerenza, o Vick ci vuole dire che l’Isis è in Italia? Così come il concetto che il potere è in mano ai vecchi e che i giovani ne sono esclusi, in questo momento in Italia appare un po’ forzato, visto che ci troviamo con un governo fatto da giovani rampati che fanno un po’ rimpiangere quelli del passato composti da vecchi politici. Ciò non toglie che lo spettacolo sia visivamente gradevole e di grande impatto e che vi sia dietro un lavoro registico straordinario, soprattutto nell’uso delle masse che Vick riesce a far muovere in modo eccellente riuscendo a dare una caratterizzazione ad ognuno di essi, cosa che dovrebbe essere guardata attentamente da molti giovani registi che quando si trovano di fronte ad un coro non hanno la minima idea di come farlo muovere.

Il cast risulta essere molto amalgamato e di alto livello: il mezzosoprano Iris Vermillion rende benissimo il torbido personaggio di Leokadja Begbick grazie ad una voce scura capace di far apparire i tratti oscuri del peronaggio.

Measha Brueggergosman, è perfetta per la parte di Jenny, una vera subrette come il personaggio richiede, è stata molto suggestiva nell’interpretazione di “Oh! Moon of Alabama” l’aria più celebre dell’opera.

Di pari molto centrato nella parte di Jim Mahoney è Brenden Gunnell. Energico ed isterico al punto giusto.

Molto centrati nelle parti anche il Trinity Moses di Willard White ed il Fatty, il contabile di Dietmar Kerschbaum.

Belle prove di Eric Greene, Christopher Lemmings, Neal Davies e Christopher Lemmings rispettivamente nei ruoli di Bill, Jack O’Brien, Joe, Tobby Higgins.

Completavano il cast le sei ragazze di Mahagonny: Chiara Pieretti, Marika Spadafino, Carolina Varela, Giovanna Ferraresso, Michela Nardella e Silvia Pasini.

Domenico Gatto