Cavalleria Rusticana e Pagliacci a Macerata: odi et amo

Cavalleria Rusticana e Pagliacci a Macerata: odi et amo

Doppio titolo in programma e secondo nuovo allestimento per il Macerata Opera Festival dopo la prima di Rigoletto: il tradizionale dittico Cavalleria Rusticana e Pagliacci.

Per le due opere veriste Madeleine Boyd ha pensato ad una scena fissa costituita essenzialmente da una balconata appoggiata al muro di fondo dell’arena, terminante in una enorme scalinata curvilinea che si duplica nella sua parte terminale; l’ambientazione è liberty, come ben evidenzia la decorazione metallica della balausta. Sotto il piano rialzato della balconata si aprono alcuni spazi, chiusi da cancellate, simili ai tipici ricoveri delle barche che si vedono scavati nella roccia in molte località del centro-sud Italia e che qui sono metafora delle case del villaggio. In Pagliacci lo spazio contornato dalla scalinata, che in Cavalleria rappresenta la piazza, viene occupato dal carrozzone della compagnia teatrale che, una volta aperto, mostra un simpatico palcoscenico corredato da elementi di arredo palesemente finti e cartonati, quasi privi della terza dimensione.

La regia di Alessandro Talevi è piuttosto convenzionale, molto rispettosa del libretto, ben fruibile dal pubblico e tutto sommato piacevole nella sua semplicità. Unica scelta a nostro parere opinabile, e che non ci è parsa a dire il vero così funzionale all’azione, è quella di inscenare una apparizione mariana che sconvolge Santuzza e che ha quasi la funzione di benedirne e consacrarne l’operato. Particolari i costumi di Manuel Pedretti che rimandano solo idealmente alla Sicilia del XIX secolo senza però citarla letteralmente, preferendo fondere in sé vari elementi etnici di eterogenea provenienza.

Cavalleria Rusticana e Pagliacci a Macerata: odi et amo

Anna Pirozzi è in Cavalleria una Santuzza sofferente, «scomunicata» nel senso etimologico del termine, totalmente isolata dal gruppo, in Pagliacci una Nedda sicura delle proprie scelte. Bravissima nel differenziare, sia dal punto di vista attoriale, sia dal punto di vista vocale, le due figure di donna, si muove sul palcoscenico con disinvoltura e lo domina con la sua personalità; la voce è rotonda, ben proiettata, l’acuto svetta sicuro, l’interpretazione ricca di páthos. Rafael Davila, nel doppio ruolo di Turiddu e Canio, mostra qualche segno di cedimento vocale verso fine serata così che il suono finisce per apparire a tratti vagamente singhiozzante: l’emissione è comunque generosa e ben calibrata, l’impasto vocale piacevole. Per quanto concerne Cavalleria, corretto, ma poco incisivo, l’Alfio di Alberto Gazale, molto buone, invece, la dimessa Mamma Lucia di Chiara Fracasso e la sfrontata Lola di Elisabetta Martorana. In Pagliacci Marco Caria, dopo un Prologo davvero eccellente, interpreta un Tonio crudele, non eccessivamente caricato, ma al contempo perfettamente delineato nel suo essere fondamentalmente passivo-aggressivo. Degni di nota anche il Silvio di Giorgio Caoduro e il Beppe di Pietro Adaini.

Christopher Franklin, alla direzione dell’Orchestra Regionale delle Marche, ha dato una lettura altamente drammatica di entrambe le partiture, ricercando colori forti e imprimendo allo spettacolo una notevole energia. Discreta la prestazione del Coro Lirico Marchigiano «V. Bellini» che evidenzia comunque qualche problema di insieme soprattutto per quanto concerne le voci femminili.

Simone Manfredini