Artaserse
Autore: johan adolf hasse
direttore corrado rovaris
Regia: gabriele lavia,
Cast:Maria Grazia Schiavo, Franco Fagioli, Sonia Prina
Orchestra Internazionale d’Italia,
Compagnia/Produzione: fondazione festival della valle d’Itria
la riproposta l’Artaserse di Hasse nella sua prima versione, quella andata in scena a Venezia nel 1730 è una scelta che rende merito ad Alberto Triola Direttore artistico del Festival della Valle dell’Itria 2012.

Artaserse, dramma per musica in tre atti, vide la luce a Venezia al Teatro San Giovanni Crisostomo appunto nel febbraio del 1730 con le musiche del compositore tedesco Johann Adolf Hasse (1699 – 1783) su un testo del Metastasio.
Hasse , all’epoca Maestro di Cappella del Conservatorio degli Incurabili di Venezia è l’autore, oltre che dell’Artaserse di un più noto e ancora oggi eseguito Miserere.
La trama, semplice, è tipica dell’opera barocca: i quattro personaggi principali, Artaserse, re di Persia, Mandane, sua sorella, Artabano, generale traditore e Arbace figlio di quest’ultimo e amico di Artaserse, vivono il dramma della morte di Serse e Dario ad opera di Artabano che, scoperto, riceve il perdono di Artaserse. Nel mezzo l’accusa dell’innocente Arbace e la rivelazione della triste verità. Un classico del genere e dell’epoca, che vide alla prima veneziana succedersi i cantanti più in voga del momento: Farinelli nel ruolo di Arbace, la Cuzzoni in Mandane e il castrato Nicolino come Artabano. Fu un successo per Hasse che, in seguito, ripropose altre due versione dell’opera, nel 1740 e nel 1760. Pertanto la versione riproposta a Martina Franca è l’originale veneziana, in prima esecuzione in tempi moderni (le altre versioni hanno avuto più fortuna, anche recente), anche se – come afferma il curatore Marco Beghelli – non si può sapere con certezza quale sia stata la partitura andata in scena al debutto.

Il Maestro Corrado Rovaris ha diretto l’Ensemble Barocco dell’Orchestra internazionale d’Italia in modo lineare e senza eccessi riuscendo a non sovrastare in alcun momento né i cantanti né il suono del basso continuo.
Da segnalare nel cast Maria Grazia Schiavo che ha interpretato con voce e presenza di straordinarie qualità la Principessa Mandane, personaggio complesso, a tratti contraddittorio, diviso fra passione e giustizia.
Fin dalle prime battute il soprano napoletano ha dimostrato sicurezza e grande limpidezza vocale nonché una straordinaria chiarezza nell’articolazione del testo del Metastasio . Una dote oggi rara in ambito operistico e, in particolare, nel repertorio barocco. La Schiavo è in grado di riuscire a comunicare ogni singola parola e l’intero verso del libretto, sia nei recitativi che nelle arie, anche nei momenti in cui mette in mostra la propria agilità vocale. A questo vanno aggiunti un timbro vocale limpido e sicuro che non la porta mai né a strafare né a forzare, sia nella zona grave che nella zona acuta, ed una presenza scenica, forte e sicura, senza aver sbavature dall’inizio alla fine dell’opera. Si nota in queste sue capacità sicuramente la mano del grande Roberto de Simone con cui la Schiavo ha mosso i primi passi in ambito professionistico.
All’interno di una perfomance complessivamente eccellente i momenti più alti in cui l’interprete ha potuto dare il meglio di se sono stati sicuramente l’aria del secondo atto: “Va’ tra le selve ircane” e quella del terzo atto “Mi credi spietata”.
L’altro momento musicalmente notevole nella messa in scena dell’opera di Hasse, è stata la sequenza musicale composta dal lungo recitativo, “Eccomi alfine” seguito dall’aria “Pallido il sole” a conclusione del secondo atto eseguita da Sonia Prina, che ha interpretato la parte “en travesti” dell’anima nera dell’opera: Artabano, con sicurezza e con la capacità di mettere in risalto i conflitti emotivi che agitano la mente del prefetto delle armi imperiali. Bella anche la sua interpretazione dell’aria aggiunta “S’impugni la spada” di Vivaldi, operazione questa che rispecchia una consuetudine tipica del ‘700 Epoca in cui nelle opere venivano tolte ed aggiunte arie in base alla vocalità degli interpreti. Consuetudine che ha permesso alla Prina di dare pieno sfoggio della propria vocalità.

Franco Fagioli nel ruolo di Arbace, nonostante una partenza stentata, è risultato credibile, andando in crescendo fino all’aria “Parto qual pastorello” in cui ha dato “letteralmente” sfogo a tutti suoi possibili virtuosismi vocali ( che non sappiamo personalmente se collocare fra un’ipotetica idea del Farinelli e una riproposizione in versione maschile dello stile Horne). Gli va comunque dato atto di aver suscitato ovazioni fra i pubblico.
Ottimo anche l’Artaserse, del tenore Anicio Zorzi Giustiniani, voce rara da trovare nell’ambito dei tenori che cantano repertorio barocco.
Rosa Bove nel ruolo di Semira e Antonio Giovannini nel ruolo di Megabise hanno dato una buona prova.
Davvero impegnativa la staticità della regia di Gabriele Lavia eccessiva per un’opera che dura più di tre ore. Ci saremmo aspettati da uno dei maestri del teatro italiano, famoso per la furia che contraddistingue le sue regie di prosa, più movimento e più azioni sceniche, invece il vero Lavia s’è visto solo nel momento in cui Megabise cerca di forzare l’amore di Semira, o nel momento in cui Artaserse inspiegabilmente si nasconde dietro il trono. La scena monumentale e pressoché fissa quasi fissa ben si accordava con l’idea monolitica di regia.
Ottima l’accoglienza del pubblico, in un palazzo ducale gremito, nonostante fosse l’ultima rappresentazione e la lunghezza dello spettacolo.
Domenico Gatto