Crítica de Attila de Verdi. Verona

Verona Teatro Filarmonico

7 Febbraio 2013

 

Secondo titolo in programma della stagione lirica 2012/13 al Teatro Filarmonico della Fondazione Arena di Verona. Dopo Macbeth  è la volta di un altro lavoro verdiano, Attila, proposto in un allestimento del 2008 della stessa Fondazione.

Attila nasce nel periodo verdiano detto degli anni di galera e vede la luce nel marzo 1846 a Venezia. La vicenda funziona – grazie anche all’esperto librettista Temistocle Solera – e i personaggi già delineano caratteri che faranno la grandezza di Verdi. Nella cornice storica, con i soliti chiari riferimenti patriottici del primo Verdi, il confronto fra un condottiero feroce ma non privo di nobiltà d’animo, un generale romano pronto al tradimento, un’eroina senza paura che sogna per sé la parte di Giuditta, giustiziera del tiranno, e un cavaliere che lotta per la liberta e si crede continuamente tradito dalla sua bella, si risolve secondo tradizione (arie, cabalette, duetti e terzetti) ma con indubbia evidenza teatrale. Qui, la grande novità è l’attenzione di Verdi per la scena, intesa come nucleo drammatico al quale far aderire le forme abituali, che ne escono in certo modo rivitalizzate, ma soprattutto Attila è un’opera corale, dove nulla è lasciato al caso e ogni personaggio riveste un ruolo essenziale nella vicenda compreso lo stesso coro.
L’allestimento è firmato dal regista Georges Lavaudant, qui ripresa da Stefano Trespidi (il regista del precedente dimenticabilissimo Macbeth) e per scene e costumi da Jean-Pierre Vergier: un’edizione quasi semi-scenica (il genere più indicato in tempi di crisi economica) nella quale tutto è ordinato, semplice, senza scialo di invenzioni o di approfondimenti: una piattezza che sfiora la noia.  La scena è quasi vuota, una landa desolata che si innalza verso il fondo in alcune formazioni rocciose, come quelle che si vedevano nei primitivi film di fantascienza di molti decenni fa, dietro alle quali viene nascosto, immobile, il più delle volte il coro, relegato ad un ruolo secondario. Sul fondale proiezioni varie, che vanno dalle fiamme di Aquileia a cieli tempestosi in improbabili acquerelli di maniera, passando per una veduta della futura Venezia secondo Canaletto (durante l’aria di Foresto … forse una delle poche idee valide) ed un affresco della SS. Trinità che fa da sfondo al vecchio Leone e che poi si trasforma in un sole luminoso, per il resto solo noiosi e statici cieli tempestosi, con nuvole che trascolorano dal blu al rosso.

Tutto è statico, immobile, senza una capacità registica di coinvolgere lo spettatore.

Lo spettacolo, però, troverebbe anche qualche buona soluzione, non fosse per il guazzabuglio dei costumi, incongrui e talora sconcertanti, dominanti dallo pseudo-moderno che si pensa possa riempire il vuoto di idee: Attila è sempre a torso nudo (moda evidentemente irrinunciabile per il re barbaro e apprezzabile qui per il fisico di Roberto Tagliavini) sotto il solito già iper visto cappottone; Foresto veste in doppiopetto; gli esuli hanno cappotti da deportati anni Quaranta con valigia di cartone; le figlie degli Unni indossano abiti da cocktail in sgargianti tinte che sgambettano in improbabili mossette da avanspettacolo. Alla pantomima poi prende parte anche un alquanto illogico (in questo caso è giusto dirlo) centurione romano. Un vero guazzabuglio visivo che ci porta a concludere che l’allestimento è la parte debole di questo Attila. Tutto calato in un costante, impenetrabile grigiore più atto a conciliare la noia che non a renderci partecipi degli eventi. Non si capisce proprio cosa Lavaudant e Vergier abbiano voluto rappresentare: una pochezza sconcertante indubbiamente!

Fortunatamente la parte musicale ha controbilanciato positivamente le carenze dello spettacolo. Il giovanissimo maestro Andrea Battistoni, alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, si disimpegna con abilità e personalità,  concerta con misurata perizia, più attento a mettere in luce gli abbandoni lirici presenti nella partitura verdiana che non a sottolineare i momenti di maggior irruenza sonora.  Battistoni ha inoltre mostrato una buona attenzione agli squarci lirici e alle ragioni del canto, colpendo per energia, totalmente immerso nel dramma. Ha evitato sonorità ingombranti ed ha accompagnato i momenti più intimi con delicatezza ed eleganza. Esecuzione ricca di contrasti, ma sempre nitida e stilisticamente consapevole.

Globalmente valida la compagnia di canto.

Roberto Tagliavini è stato un Attila di spiccata natura verdiana per la qualità del fraseggio, abile e intenso nei sottovoce prescritti,  potente e fluido nel virare senza forzature su toni trascinanti. Tagliavini, al suo debutto nel ruolo, mostra una sensibilità interpretativa ed una padronanza della voce di assoluto rilievo. Notevole poi la sua presenza scenica e il fisico accattivante.

Amarilli Nizza al suo debutto in Odabella, nonostante la ricca carriera. Raffinata musicalmente e scenicamente, si è espressa meglio nelle ampie aperture liriche e sentimentali che non nelle impervie esigenze belcantistiche, mostrando sempre un canto accattivante e di grande nitidezza.       Si è immersa nel personaggio con espressività ed incisività, cantando con rara sensibilità le più violente tensioni dell’eroina con intelligenza vocale.

Giuseppe Gipali in Foresto è stato elegante e con voce morbida, sicuramente non è un ruolo adatto a lui, è stato però capace di amministrare con sagacia un timbro delicato, non corposo ma chiaro.

Roberto Frontali ha dimostrato di essere un Ezio credibile e di grande forza vocale. Molto lanciato e a suo agio nel registro medio, dona molta forza al suo ruolo rilevando una notevole forza drammatica.

Antonello Ceron è un Uldino potente nella voce e deciso nell’accento.

Positiva anche la prova di Seung Pil Choi in Leone.

Discreta la prova del coro dell’Arena preparato dal maestro Armando Tasso; indubbiamente le scelte registiche lo hanno penalizzato enormemente.

Nel complesso uno spettacolo salvato solo dal cast vocale; in un Teatro Filarmonico quasi vuoto (poco più di metà platea e palchi completamente senza pubblico) è stato salutato, alla fine, da alcuni timidi dissensi e da approvazione da parte di un pubblico che oramai pare assuefatto a tutto. Applauditi meritatamente i cantanti, specialmente Tagliavini e Frontali, anche e ripetutamente a scena aperta.

 

Dramma lirica in un prologo e tre atti, libretto di Temistocle Solera, dalla tragedia Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner.
Musica di Giuseppe Verdi

 

Attila, re degli Unni                                   Roberto Tagliavini
Ezio, generale romano                               Roberto Frontali
Odabella figlia del signore d’Aquileja    Amarilli Nizza
Foresto, cavaliere aquilejese                    Giuseppe Gipali
Uldino                                                          Antonello Ceron
Leone                                                           Seung Pil Choi

 

Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Georges Lavaudant
ripresa da Stefano Trespidi
Scene e costumi Jean-Pierre Vergier

 

Allestimento del 2008 della Fondazione Arena di Verona

 

 

 

Mirko Bertolini