Critica de Babylon de Jörg Widmann

 

Alessando Di Gloria

Bayerische Staatsoper, Nationaltheater

Quando un Teatro sceglie di commissionare e rappresentare una nuova opera compie esattamente il proprio dovere. La funzione primaria di queste istituzioni è infatti non solo la salvaguardia del repertorio “classico” ma soprattutto quella di intraprendere un percorso culturale educativo verso il proprio pubblico, accompagnandolo anche alla scoperta di opere meno conosciute e di nuove proposte contemporanee. E’ un concetto basilare: così dovrebbe essere la norma dappertutto, ma purtroppo la realtà dei fatti è molto differente. Non a Monaco di Baviera dove fortunatamente la Bayerische Staatsoper prosegue un percorso ormai decennale di cura e rinnovamento del repertorio con forti stimoli verso il Novecento e il contemporaneo. Dunque, ecco che il primo nuovo allestimento proposto nella stagione in corso, evento sempre festeggiato alla Staatsoper, coincide con la prima assoluta della nuova opera di Jörg Widmann, “Babylon”.

Quarantenne, nato proprio a Monaco, clarinettista, è stato -giustamente- molto supportato dal teatro della sua città dove nella stagione 2003/2004 aveva già rappresentato la sua opera “Das Gesicht im Spiegel” con grande successo. E un trionfo ha ottenuto anche Babylon con quindici minuti di applausi a fronte di qualche sparuto dissenso. Una festa per il compositore di casa, ma grande merito ha avuto Carlus Padrissa alla guida del team della Fura dels Baus realizzando uno spettacolo di grande bellezza e complessità. Bisogna subito riconoscere che senza l’apparato visivo e scenico di cui ha disposto, l’opera dal punto di vista strettamente musicale e concettuale non avrebbe forse ottenuto tanto successo. Resta inteso che l’operazione complessiva è straordinaria: per la cura con cui è stata realizzato lo spettacolo, l’apparato mediatico che lo ha seguito, il programma di sala accuratissimo, il teatro sold out. Sono effetti di un investimento notevole che senza dubbio la Staatsoper ha destinato a questa produzione, meritando un plauso incondizionato e che sia anzi d’esempio a tante altre istituzioni.

L’opera in brevissimo: a Babilonia Tammu (ebreo) e Inanna (babilonese) si amano. A seguito di varie disgrazie naturali Tammu viene destinato al sacrificio. Inanna riesce a strapparlo agli inferi e finalmente insieme volano verso altri mondi. Ma non è così semplice, questa è solo l’ossatura essenziale intorno alla quale si sviluppa quella la vera essenza dell’opera, ovvero la ricerca dell’equilibrio tra terra e universo. Un equilibrio che si dovrà riflettere anche nella società.

Sfondo è naturalmente “una” Babilonia, in un tempo mitico, ricreata dalla Fura attraverso le consuete proiezioni e un insieme di cubi che dapprima formano le rovine di una imprecisata città ove si svolge il prologo, poi saranno montati e smontati per alzare le torri babilonesi così come l’iconografia ce le ha tramandate. Tutto destinato ciclicamente a crollare. Sospeso, una sorta di “cubo di Rubik” i cui tasselli recano sopra i simboli e le lettere di vari alfabeti.

La quantità di aspetti e figure simboliche nell’opera è smisurato ma sarebbe oltremodo lungo elencarli, così come ripercorrere pedissequamente l’azione dell’intera opera che è composta di sette quadri più il prologo e l’epilogo. Tra questi spicca naturalmente l’incontro tra Tammu e Inanna, nodo fondamentale di tutta l’azione, anche se tuttavia il meno riuscito. Bravissimi sia scenicamente che vocalmente Jussi Myllys e Anna Prohaska nei rispettivi ruoli, ma la presentazione dei due personaggi, così come il successivo duetto, risultano molto lunghi e a tratti noiosi. Quello che accade è prevedibilissimo e l’aspetto musicale, che fin’ora aveva piacevolmente condotto l’azione con un climax straordinario nel tema di Babilonia, si riduce a un monotono accompagnamento dei due protagonisti nelle loro perizie vocali. La scrittura del canto per tutti i personaggi è infatti estremamente ardua, soprattutto per Inanna e Anima che si devono confrontare con acuti perigliosi, dissonanze, modulazioni tra il canto e il parlato, uno stile peraltro abbastanza abusato nel corso degli ultimi quarant’anni che qui risulta un po’ fuori contesto.

Di contro ci sono pagine di grande interesse come la litania dell’uomo-scorpione nel prologo o il particolarissimo “linguaggio” della Morte il cui personaggio è reso in maniera davvero straordinaria da Willard White. Nel complesso, la musica composta da Widmann per quest’opera sembra non trovare una posizione chiara: da una parte clangori e arditezze in pieno stile anni ‘70, dall’altra motivi grotteschi di sapore bergiano, e poi ancora melodie “facili” di banalità ricercata.

Una cifra stilistica programmata dunque, ma a che scopo? A che pubblico si rivolge? Forse a tutti ma allo stesso tempo a nessuno in particolare, e soprattutto non si coglie un vero elemento di novità né strettamente musicale né nell’orchestrazione. Peraltro, a capo della nutrita e sempre ottima Orchestra della Staatsoper, Kent Nagano teneva saldamente in pugno l’opera con risultato eccezionale. Di pari livello anche il Coro, che è spesso protagonista dell’azione, e trova i suoi momenti più belli nel già citato tema che “presenta” Babilonia, e nella scena del fiume Euphrate impersonato da Gabriele Schnaut, forse la migliore di tutta l’opera sia per le splendide proiezioni in scena che musicalmente.

Nel frattempo il “problema” dell’ordine universale: abbiamo visto sette pianeti che annunciano le sventure, il Grande Sacerdote ed Ezechiele a capo dei due popoli contrapposti, le feste pagane, la ricerca della pace religiosa, orge sessuali, rappresentazione dei sessi, la discesa agli inferi. Tutto tra il serio e il semi-serio e con risultati anche molto belli. C’è la morte di Tammu, un momento particolarmente suggestivo e drammatico dove un sipario di fuoco sarà il varco verso il sacrificio, e sempre ci sono richiami e immagini di simboli alfabetici scomposti e in disordine. Quindi tutto quello che accade è naturalmente legato alla soluzione finale.

Così, dopo che Inanna, offrendosi nuda alla Morte, riesce ad ottenere la restituzione di Tammu, si scopre che “a seguito degli eventi” l’ordine delle cose è stato regolato e si è trovato un accordo tra cielo e terra: la settimana, le ore, i minuti, il nome dei giorni, il legame coi sette pianeti. Una navicella spaziale porterà via i due amanti ritrovati. Anima trova finalmente la pace e l’opera si chiude con il crollo dell’ultima torre. Di nuovo, nell’epilogo, le rovine di una città e l’uomo-scorpione che continua a porsi domande esistenziali moltiplicandosi all’infinito.

Lo spettatore intanto? Purtroppo rimane estraneo a tutto. Abbiamo solo potuto osservare e ascoltare quello che accadeva in scena, prendere atto della brillante risoluzione cosmica, godere degli straordinari effetti speciali della Fura, ma trovando difficilmente un punto di contatto, immedesimazione, partecipazione emotiva. Tutto infatti ha un che di prestabilito e le scene si susseguono con inesorabile freddezza. E questo alla fine è il limite più grande di Babylon a prescindere da qualsiasi discussione su aspetti stilistici e musicali.

A fronte delle critiche potrebbe sorgere il dubbio se operazioni di questo tipo valgano l’investimento e la nostra attenzione. La risposta sarà sempre un convinto si! C’è la necessità di nuova musica, di nuove idee e di spettacoli che ci invitino comunque a riflettere e a ragionare su noi stessi e sulle arti.

Babylon va in scena in un giorno molto triste per il mondo della musica che ha perso uno dei suoi più grandi compositori e uomo nobilissimo, Hans Werner Henze. A lui, che tra l’altro è stato maestro di Widmann, è stata dedicata la rappresentazione.

Oper in sieben Bildern

Libretto: Peter Sloterdijk

 

Prima rappresentazione 27.10.2012

 

Die Seele: Claron McFadden

Inanna: Anna Prohaska

Tammu: Jussi Myllys

Der Priesterkönig/Der Tod: Willard White

Der Euphrat: Gabriele Schnaut

Der Skorpionmensch: Kai Wessel

Ezechiel: August Zirner

Septette: Iulia Maria Dan, Golda Schultz, Silvia Hauer,

Tim Kuypers, Tareq Nazmi, Dean Power, Kenneth Robertson

Der Schreiber/Ein Pförtner: Tareq Nazmi

Ein Bote/Das Kind: Solisten des Tölzer Knabenchores

Ein Priester: Joshua Stewart

Ein Pförtner: Tim Kuypers

Sieben Vulven: Frauke Burg, Isabel Becker, Franziska Wallat, Ulrike Wagner

Katalin Cziklin, Jennifer Crohns, Annette Beck-Schäfer

Sieben Phalloi: Jochen Schäfer, Harald Thum, Gintaras Vysniauskas,

Tobias Neumann, Yo Chan Ahn, Klaus Basten, Werner Bind

 

Regia: Carlus Padrissa – La Fura dels Baus

Scene: Roland Olbeter

Costumi: Chu Uroz

Video: welovecode/Tigrelab

Luci: Urs Schönebaum

Drammaturgia: Moritz Gagern, Miron Hakenbeck

 

Direttore: Kent Nagano

Maestro del Coro: Sören Eckhoff

 

Bayerische Staatsorchester

Soloklarinette: Andreas Schablas

Chor der Bayerische Staatsoper

Das Opernballett der Bayerischen Staatsoper

Statisterie der Bayerischen Staatsoper

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

www.bayerische.staatsoper.de