Crítica de Il matrimonio segreto de Cimarosa. Ferrara

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Quel matrimonio segreto e riuscito

 

FERRARA. Matrimonio riuscito. Soddisfazione del pubblico dell’opera per il buon esito di “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa, ultimo titolo della stagione lirica del Teatro Comunale (replica…

 

 

FERRARA. Matrimonio riuscito. Soddisfazione del pubblico dell’opera per il buon esito di “Il matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa, ultimo titolo della stagione lirica del Teatro Comunale (replica oggi alle 16). La coproduzione dei teatri di Ferrara, Treviso e Rovigo ha incontrato nella città estense lo stesso caloroso successo riscontrato nella Marca trevigiana nel dicembre dello scorso anno (sarà in scena a Rovigo nel prossimo autunno). La soddisfazione del pubblico è maturata grazie a due fattori fondamentali: i giovani artisti del cast e l’esperienza pluriennale di regista (Italo Nunziata), scenografo e costumista (Pasquale Grossi) e light-designer (Patrick Latronica).

 

I giovani artisti provenivano tutti (salvo il tenore) dal concorso lirico “Toti dal Monte” di Treviso, ma prima di parlare dei cantanti vogliamo parlare del direttore d’orchestra madrileno José Antonio Montaño, poco più che quarantenne, che si sta specializzando con profitto nel repertorio sei-settecentesco: lo si è potuto giudicare per la sua concertazione a Ferrara dove ha condotto l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta ad una prestazione eccellente per trasparenza dei suoni, gradazione delle dinamiche, interazione con le voci; si tratta di un direttore di spiccata musicalità che sa trarre sfumature e timbri baroccheggianti o nello stile galante anche da un ensemble che usa strumenti da orchestra ottocentesca. Il risultato è quello della morbidezza, unita a una gamma di colori che diventa gioia per l’udito ed ebbrezza per lo spirito. Montaño sa concertare e non abbandona neanche per un attimo le voci, imponendo all’orchestra il rispetto dell’equilibrio fra buca e palcoscenico. Aggiungiamo che il risultato eccellente non si sminuisce per qualche impercettibile e immancabile fuori tempo fra musica e canto, aggiustato con prontezza, che l’orecchio critico ha raccolto (nell’opera succede anche alle orchestre e direttori più blasonati).

 

Hanno contribuito al risultato le belle luci di Latronica e i costumi disegnati da Grossi, che ambienta la scena dentro un’abitazione ammobiliata da quattro armadi-librerie che si spostano in continuazione, trascinati da tecnici di palcoscenico: i mobili e le suppellettili dietro gli armadi appaiono e scompaiono, venendo scoperti e ricoperti da teli colorati, così il pubblico intuisce quale sia la stanza dove si svolge l’azione. Preziosa la regia di Nunziata, autore di una messinscena spumeggiante a passo di danza, con gestualità afferente lo stile più bello della commedia dell’arte: qui il buffo e il patetico danno immediatezza ad ogni azione, rendendo sensibilmente percettibili gli stati d’animo dei protagonisti; quindi una regia che non vuole essere “moderna” e racconta di un Matrimonio segreto non interpretabile fuori della stringente logica del qui e ora, del come e perché e del quanto e quando, attributi propri della stagione dell’illuminismo.

 

Le voci, tutte ampiamente al di sopra della sufficienza, vanno giudicate con una nota di merito in più per il basso buffo Fabrizio Beggi (Geronimo) a cui seguono la brava Dorela Cela (Carolina) e le altrettanto brave Loriana Castellano (Fidalma) e Giulia Semenzato (Elisetta); un ruolo da buffo, il regista, lo ha inventato più che per l’interprete di Geronimo, per il polimorfico baritono Andrea Zaupa (Conte) districatosi benissimo nella parte che altri vorrebbero più ieratica e nobile. Infine il tenore Filippo Adami (Paolino), si è distinto per un bel timbro chiaro e l’acuto belcantista senza difficoltà. Applausi calorosi per tutti alla fine, con chiamate anche a sipario chiuso, meritatamente.

 

Athos Tromboni