Crítica de Lucia di Lammermoor de Donizetti

 

Teatro Dante Alighieri Ravenna

13 gennaio 2013

 

Grande capolavoro del teatro musicale romantico, Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti è stato riproposto in apertura della stagione lirica del Teatro Alighieri di Ravenna nell’allestimento dei Teatri del Circuito Lirico Lombardo, con la regia di Henning Brockhaus, Si tratta di uno dei più celebri allestimenti operistici realizzati in Italia dallo scenografo Josef Svoboda, profondo innovatore del teatro del ‘900 e grande maestro della luce e delle illusioni sceniche, di cui ricorrono i dieci anni dalla scomparsa.

L’opera è tratta dal romanzo The Bride of Lammermoor di Sir Walter Scott, pubblicato nel 1819. Il libretto è di Salvatore Cammarano, che proprio con Lucia avvia la sua lunga collaborazione con Donizetti. Prima che, il 26 settembre 1835, l’opera andasse in scena al Teatro San Carlo di Napoli, il trentottenne Donizetti aveva composto, in diciassette anni di attività, quarantatre opere, ma fu proprio con Lucia di Lammermoor, scritta in poco più di un mese, che egli creaò il suo capolavoro

Le scene ideate da Svoboda, di notevole suggestione poetica, sono state fedelmente ricostruite da Benito Leonori, già allievo e collaboratore dell’artista boemo, con la variante, di grande effetto, dell’aggiunta del colore nelle proiezioni, rispetto al bianco e nero originale. Le proiezioni costituiscono infatti l’elemento saliente dell’invenzione scenica, diffuse come sono sull’intero fondale, Svoboda fu infatti pioniere nell’utilizzo delle videoproiezioni, molto tempo prima che la tecnologia digitale facesse il suo ingresso nella realizzazione di spettacoli teatrali e bisogna riconoscere che l’idea originale del famoso scenografo ha sostanzialmente rivoluzionato il modo di rappresentare anche l’opera lirica.

La scena è rappresentata da una grande pergamena stropicciata che abbraccia l’arco del palcoscenico rivelando, nascondendo e riflettendo personaggi ed azioni.

Questa superficie, che si fa alternativamente montagna, nuvole e mare, diviene onirico sudario che avvolge il folle delirio di Lucia: realizzata con materiali essenziali utilizzati con grande genialità, la scenografia è costituita da un tessuto «psicoplastico», come lo chiamava lo stesso Svoboda.

Rispetto all’edizione originale, il nuovo allestimento dell’opera prevede i nuovi costumi di Patricia Toffolutti e le nuove luci di Alessandro Carletti e una regia meno realistica e più poetica ed onirica – come sottolinea Brockhaus – per rendere appieno il complesso mondo di Lucia, una donna che ama e vive le sue emozioni con pienezza in un mondo di uomini che vivono in maniera unilaterale, pensando solo alla vendetta e alla brama di potere; Lucia verrà condotta alla follia da giochi di potere e dagli inganni ad esso legati, ed è una figura ancora attuale e contemporanea.

Dell’allestimento, ripreso già diverse volte tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Marche, si può soltanto ricordare una certa meccanicità, funzionale a restituire atmosfere cupe e tetre brughiere, tutta concentrata sull’azione propriamente musicale. Il velario verticale si presenta leggermente polveroso, per fortuna intervengono video proiezioni ad alleggerire e muovere un po’ la scena, altrimenti interamente dominata da una maestosa scalinata, con campi di margherite e onde marine nei momenti felici e allucinati del canto di Lucia. Anche i costumi dei personaggi e dei figuranti, nella loro varietà cromatica, contrastano felicemente con l’uniformità delle strutture di sfondo, però mescolano troppi generi e stili diversi (da uno pseudo seicento fino al contemporaneo novecento per passare da un ottocento di maniera…) con una resa complessiva piuttosto alienante (in questa ripresa si è persa per volontà dello stesso Brockhaus ogni connotazione storica… con il risultato pessimo che si è visto).

 

Lo stesso Brockhaus, pur rimanendo sommariamente fedele alle indicazioni del libretto, inserisce alcune idee molto discutibili e di dubbio effetto, senza veramente inserirsi nel tessuto tragico della trama: da lord Arturo, divenuto gagà alla Petrolini, il coro atteggiato da gran galà ottocentesco o come gruppo godereccio di esponenti della società capitalistica tedesca alla Brecht, la scena che ricorda troppo un film di Ivory con Lucia e amiche mentre giocano a volano oppure la brutta presenza di due signore della società bene che si dimenavano scompostamente come marionette impazzite alla festa di matrimonio, oppure il carattere che si è voluto dare alla scena della follia in cui la protagonista riproduce passi di danza con il fratello Enrico mentre gioca con il cadavere insanguinato di Arturo. Più di una occasione per l’utilizzo della maglia “psicoplastica” è stata trascurata dalla regia: il racconto del fantasma nel primo e nel secondo atto, la tempesta, l’aria e il racconto di  Raimondo, la stessa scena della follia; le scene non sono andate al di là della scontata proiezione sul fondale plastico di vedute marine, margherite, candele e muri sanguinolenti, eludendo le grandi possibilità  del tessuto, che alla fine dell’opera con il suicidio di Edgardo viene calato completamente e il personaggio muore sopra le sue pieghe mentre il coro degli invitati assiste  alla sua morte. Il risultato registico è stato purtroppo grottesco e le potenzialità dello spettacolo sono rimaste inespresse.

Il giovane direttore Matteo Beltrami lascia percepire un lavoro di buona concertazione e di accurato studio della partitura, ha diretto la partitura donizettiana con sicurezza e sensibilità, distinguendosi grazie al gesto preciso e composto e per l’estrema cura con cui ha saputo dosare lo spessore sonoro in funzione dei giovani componenti del cast: il risultato complessivo è molto interessante, perché Beltrami ha modo di sottolineare in continuazione i colori scuri dell’opera e per questo mantiene sempre percepibili (quando non in evidenza) le sonorità del corno e in generale degli ottoni. L’orchestra  I Pomeriggi Musicali risponde in modo adeguato a tali richieste.

Domenica 13 gennaio c’era in scena il secondo cast, molto giovane e complessivamente più che discreto.

Teona Dvali nel difficile e impegnativo ruolo del titolo ha dato il meglio di sé; buona la voce, ottima preparazione, begli acuti, ma avrebbe dovuto avere più forza al personaggio; spesso appare una lucia troppo evanescente.

Serban Vasile è un baritono dalla voce un po’ corta per il ruolo di Enrico; canta con impostazione corretta, dimostra una buon fraseggiare e impeto, ma negli acuti l’emissione è forzata e perde gli armonici; con volume basso e voce spesso coperta dall’orchestra; scenicamente, però, Vasile ha reso molto bene il livore e le paure del personaggio.

Il giovanissimo Alessandro Scotto di Luzio in Edgardo, è anch’egli molto leggero, ma elegante e molto musicale, ben omogeneo nel cantabile. Certamente manca di intensità nell’accento e la difficile aria finale contiene qualche incertezza, compensata dalla bella presenza scenica.

Valido il Raimondo di Giovanni Battista Parodi, nonostante l’indisposizione preannunciata.

Matteo Falcier è un Arturo  intonato e sonoro.

Un po’ spigolosi l’Alisa di Cinzia Chiarini e il Normanno di Alessandro Mundula.

Un grigio e freddo pomeriggio invernale riscaldato da un Teatro Alighieri pieno e caldo degli applausi del pubblico soddisfatto di uno spettacolo con una sua notevole dignità.

 

dramma tragico in tre atti
libretto di Salvatore Cammarano dal romanzo The Bride of Lammermoor di Walter Scott

Lord Enrico: Serban Vasile
Miss Lucia: Teona Dvali
Sir Edgardo di Ravenswood: Alessandro Scotto di Luzio
Lord Arturo Bucklaw: Matteo Falcier
Raimondo Bidebent: Giovanni Battista Parodi
Alisa: Cinzia Chiarini
Normanno: Alessandro Mundula

direttore Matteo Beltrami
regia e luci Henning Brockhaus
scene Josef Svoboda
ricostruzione allestimento scenico Benito Leonori
costumi Patricia Toffolutti
coreografie Emma Scialfa

Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro del Circuito Lirico Lombardo
maestro del coro Antonio Greco

nuovo allestimento
coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo, Fondazione Pergolesi Spontini,
Teatro dell’Aquila di Fermo, Teatro Coccia di Novara, Teatro Alighieri di Ravenna

 

Franco Santalba