Crítica de Macbeth di Giuseppe Verdi
Teatro Filarmonico di Verona
18 dicembre 2012
Il Teatro Filarmonico di Verona ha aperto la stagione lirica 2012 – 13 all’insegna del bicentenario verdiano, con uno dei titoli più significativi ed emblematici del compositore di Parma: Macbeth.
In un clima gelido non solo esternamente, in un Teatro Filarmonico letteralmente vuoto (lo spettacolo si è svolto davanti ad un centinaio appena di spettatori) ha preso vita questo nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona, per la regia, scene e costumi di Stefano Trespidi, Responsabile dell’Ufficio Regia della Fondazione Arena di Verona. Una produzione perciò casalinga che tenta di sopperire alla crisi finanziaria che si scaglia inesorabile anche contro il prestigioso Ente veronese e che ha visto, purtroppo, cassare all’ultimo la ripresa della discussa regia di Liliana Cavani del 2007.
Lo spettacolo, purtroppo, delude fin dall’inizio quando prende piede l’idea che si stia assistendo a delle prove del vero spettacolo. Qualcosa che finge di essere “work in progress” ma non lo è; che regala le risapute atmosfere del “teatro nel teatro” di ormai passata memoria nelle regie germaniche di qualche decennio fa e che oramai fanno parte dell’archeologia teatrale ampiamente superata.
Sulla scena, allestita con alcuni praticabili, che vorrebbero richiamare lo spazio dei teatri londinesi del sedicesimo secolo, pochi sono gli elementi di scena (il trono, la corona, il pugnale): alcuni scendono dal graticcio e altri si visualizzano sul grande schermo che sale e scende in determinati momenti. Sono in azione – visibili – lo stesso regista, ma anche il Maestro del Coro Armando Tasso o la direttrice del corpo di ballo Maria Grazia Garofoli.
I protagonisti entrano ed escono dai loro personaggi quando mettono piede sulla pedana. Il senso del tragico è per forza evanescente, dove il morto di turno si rialza subito dopo essere stato passato a fil di spada e si fa portare un bicchier d’acqua da un’assistente. Il senso del magico è decorazione semplicistica e fumo in scena. Non c’è tinta verdiana; non c’è atmosfera shakespeariana. La grandiosa scena del sonnambulismo di Lady Macbeth è cantata in platea; mentre la musica racconta la battaglia della Foresta di Birnam si torna al clima della prova, arriva la donna delle pulizie, la scena si riaffolla di tecnici e comparse. Così termina senza un minimo di pathos o di qualcosa che abbia appagato l’incredulo spettatore. Lo scavo dei personaggi è decisamente inconsistente o addirittura inesistente, ciascuno sembra fare un po’ come gli pare. Il gesto scenico è amplificato all’eccesso, ma privo di contenuto, le masse si muovono con certo impaccio e i ballerini, pur bravi, non trovano il loro spazio, grazie anche alle anonime e per nulla pertinenti coreografie del terzo atto, completamente estranee al contesto e che sembrano più adattarsi a un musical di Broadway.
Gli stessi costumi, praticamente inesistenti, non fanno altro che rendere tutto anonimo. Le proiezioni video affidate al montaggio di Amerigo Daveri – che citano i film di Welles, Polanski e D’Anna- sono troppo didascaliche nel voler compensare quello che non avviene in scena; con questo sistema si vorrebbe risolvere il problema delle visioni di Macbeth e delle parti “mancanti”: scorrono sullo schermo che ogni tanto scende a fondo palco. A ciò si deve aggiungere una recitazione che appare inconsistente, per non dire innaturale (come per le coriste che interpretavano delle improbabili streghe con parrucca rossa e frustino sadomaso).
La direzione musicale è affidata al giovane Omer Meir Wellber. Il maestro Wellber è stato più volte apprezzato per la solidità e per la qualità del suo lavoro ed è apprezzato sulla scena internazionale. Purtroppo l’interpretazione di queste pagine verdiane ci è apparsa eccessiva, sia nei toni, nei colori, nei tempi e discontinua.
Nella serata del 18 dicembre si è esibito il secondo cast. Non eccezionale, ma sicuramente la regia non ha aiutato decisamente le voci.
Nel ruolo del titolo Marco Vratogna. Dopo qualche incertezza iniziale riesce ad entrare nella parte, grazie anche alla non indifferente presenza scenica, ha mostrato un pieno controllo della profondità drammatica e vocale del ruolo, note chiare e ponderate.
Tiziana Caruso ci ha presentato una Lady credibile, che mostra fin dalle prime pagine di possedere un volume non indifferente anche se spesso incontrollato; il timbro è piacevolmente scuro ma scarso il fraseggio.
Il Banco di Roberto Tagliavini è convincente, espressivo e localmente autorevole.
Alejandro Roy interpreta un Macduff un po’ sottotono, la voce è di grande volume, anche se poco precisa.
Ricordiamo inoltre Francesca Micarelli (Dama di Lady), Giorgio Misseri (Malcom), Dario Giorgelè (duplice ruolo del Medico e dell’Araldo), Seung Pil Choi (Domestico, Sicario e un’apparizione), Alberto Testa (seconda apparizione), Vittoria Sancassiani (terza apparizione).
Buona la prova del coro, preparato da Armando Tasso.
Applausi freddi e scarsi dal poco pubblico presente.
Questa produzione è stata presentata come un segno per il futuro, come la regia che avrebbe attirato i giovani a teatro. Purtroppo non si sono visti i giovani (anzi il poco pubblico era decisamente … canuto), ma si sono notati i troppi e numerosissimi posti vuoti. Forse un segnale che si debba cambiare rotta…?
Melodramma in quattro atti su musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave
Direttore Omer Meir Wellber
Coordinamento regia/scene/costumi Stefano Trespidi
Assistente alla regia Lucrezia Chionna
Assistente alle scene Allegra Bernacchioni
Regia video Amerigo Daveri
Coreografia Maria Grazia Garofoli
Lighting designer Paolo Mazzon
Personaggi e interpreti
Macbeth Marco Vratogna
Banco Roberto Tagliavini
Lady Macbeth Tiziana Caruso
La Dama Francesca Micarelli
Macduff Alejandro Roy
Malcom Giorgio Misseri
Il Medico/L’Araldo Dario Giorgelè
Un Domestico/Il Sicario Seung Pil Choi
Apparizioni Seung Pil Choi – Alberto Testa – Vittoria Sancassani
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore del Coro Armando Tasso
Nuova produzione della Fondazione Arena di Verona
Mirko Bertolini