Teatro Sociale
15 febbraio 2013
Nuovo progetto Li.Ve., realizzato in collaborazione con la Regione del Veneto e le amministrazioni comunali di Bassano del Grappa e Rovigo, con la Fondazione Teatro G. Verdi di Trieste.
Noto al pubblico per il coro Va, pensiero, il Nabucco vide la luce sul palcoscenico della Scala di Milano il 9 marzo 1842 e fu subito successo: venne ripreso per ben settantacinque volte nello stesso teatro entro la fine dell’anno. Il pubblico scaligero rimase sicuramente estasiato per le coinvolgenti cabalette, le melodie trascinanti e il valore patriottico trasudante dal libretto. Nabucco è la terza opera di Verdi, breve nella sua schematicità librettistica, dove la caratterizzazione dei protagonisti viene riservata a grandi momenti musicali solistici o d’assieme. Ciò non toglie che essa conservi, nel suo complesso, una drammaticità potenziale e scenografica notevoli. Nabucco inizia a Gerusalemme, nel tempio di Salomone invaso dagli Assiri e prosegue in Babilonia, fra i giardini pensili, la reggia, il tempio della divinità pagana Belo. Al netto di qualche divagazione sentimentale affidata a personaggi minori, è una storia spirituale di popolo: la salvezza degli ebrei in cattività passa per la conversione del primo grande personaggio scolpito da Verdi, Nabucco appunto. Al culmine del potere, il re babilonese si auto-proclama divino, viene atterrato da un fulmine e ridotto a vecchio demente, ma infine recupera saggezza e forza quando finalmente si converte alla religione del Dio di Giuda (come dice la sua magnifica, conclusiva invocazione) e decide di rimandare a casa gli ebrei. Nabucco è la rivelazione di Verdi: qui per la prima volta si afferma la ruvida essenzialità di uno stile teatrale unico, mantenuto interamente dentro i confini della forma tradizionale (cori, arie, cabalette) ma capace almeno per due personaggi (Nabucco e Abigaille) di arrivare a una caratterizzazione forte, accesa, che determina il dramma e ne costituisce elemento strutturale.
Regia, luci e costumi, portano la firma di Stefano Poda.
È un Nabucco cupo, sinistro, volutamente introspettivo quello di Poda, che ha deciso di procedere all’eliminazione radicale di ogni elemento rappresentativo e di qualsiasi collocazione cronologica o geografica.
La scena, unica per tutti e quattro i quadri, è spoglia, sinistra, una terra desolata, resa ancora più spettrale dalla schiera di manichini senza volto che, umanoidi mummificati, pendono capovolti dal soffitto. Sono – secondo il regista – lo specchio, l’anima nuda, la dimensione spirituale di ebrei e babilonesi. Ci si è chiesto più volte durante la serata se il pubblico abbia veramente compreso l’intenzione dichiarata dal regista di trasformare in modo così pesante la drammaturgia di quest’opera. Togliere da Nabucco ogni segno e simbolo, ogni riferimento contingente catapultandolo in una dimensione atemporale, annullare ogni caratterizzazione politico religiosa anche con l’uniformità dei costumi, rende faticoso attribuire alla storia il vero senso che trasuda dalle note di Verdi. Certamente è fin troppo banale. Invece Nabucco è un’opera di musica sanguigna e l’azzeramento, voluto da Poda, della visione tradizionale dell’opera a favore di un’introspezione che rende i personaggi identici tra di loro come povere anime nude, parte di una massa tutta uguale, cozza contro il profondo significato storico e mistico che c’è alle spalle del libretto. Le anime nude che pendono tristemente dal soffitto, quasi un’idea fissa delle regie di Poda, fanno da specchio alla quasi totale immobilità di cantanti e coro, in un’opera che è di per sé l’opposto di tutto questo.
L’immobilità è comunque preferibile ai rari momenti nei quali si tenta invano di fare una dramaturgia, come ad esempio vestire Abigaille con un lungo cappotto di pelle nera e farla fumare nervosamente nel duetto Donna chi sei?con movenze da camionista, o nel Va’ pensiero cantato da un coro letteralmente sdraiato a terra.
Da quanto si è potuto vedere le idee di Poda sono molto confuse. Oltre a una quasi costante nebbia sulla scena e alla scena claustrofobica, in cui la luce riesce a penetrare a malapena attraverso dei fori quadrati nelle pareti laterali: il tutto dà l’idea del sempre già visto, della finta innovazione fatta per stupire e per far parlare, ma in sostanza l’allestimento in sé è decisamente brutto.
Brutti e anonimi i costumi, che uniformano tutti i personaggi senza caratterizzarne nessuno e che rendono ancora più noiosa la visione. Il solito atemporale già trito e ritrito con i soliti cappottoni e il solito – purtroppo – già visto.
L’uso registico del coro è incongruo: ingiustificati movimenti spasmodici delle braccia accompagnano l’inizio del terzo atto (E’ l’Assiria una regina) mentre il Va, pensiero viene eseguito a terra, con evidenti problemi di emissione dei coristi, vestiti per l’occasione con scuri impermeabili.
Nelle mani di Poda Nabucco diventa un oratorio statico e pesante, dove sparisce anche ogni forza drammatica del testo. Si possono, giustamente, salvare solo le luci in tutta la loro essenza caravaggesca, ma anche queste fuori luogo.
La sensazione reale è dunque quella di un qualcosa di confuso e indefinito, incomprensibile allo spettatore.
La direzione del maestro finlandese Jàri Hämäläinen è stata molto corretta e priva di quegli eccessi che sovente si ascoltano col primo Verdi. La sua capacità di controllare sia gli orchestrali dell’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, sia quella di amalgamare il coro Li.Ve. e Venezze Consort, ci è parsa ottima, in una fusione omogenea di musica e canto.
Elia Fabbian nel ruolo del re di Babilonia, ha fornito un’interpretazione buona, mantenendo costante la tensione psicologica con le sfaccettature della voce baritonale lirica e drammatica. Il suo canto è stato sempre controllato ed espressivo, grazie alla sua bella voce calda e armoniosa.
Armaldo Kllogjeri in Ismaele, ha dato una prova più che discreta, però denota un’imprecisione nell’emissione e poca forza emotiva, dovrebbe poi dedicarsi a perfezionare anche la dizione.
Riccardo Zanellato è stato uno Zaccaria giocato più sulla perizia dell’accento che sul volume di voce che avrebbe necessitato di maggiore autorevolezza. La voce sempre morbida ed omogenea in tutta l’estensione anche se di volume non eccezionalmente ampio, gli ha consentito di esprimere al meglio i vari aspetti del personaggio, nonostante le storture registiche.
Dimitra Theodossiou ha sia la voce che il temperamento per essere in pieno una credibile Abigaille, peccato che il tempo e le scelte di repertorio non molto accorte, abbiano sfaldato il vigoroso registro acuto ed intaccato la zona centrale. La Theodossiou è una grande artista, con grande mestiere si disimpegna anche con momenti onorevoli, peccato gli acuti schiacciati e striduli e certe risoluzioni di mezze voci. Senza dubbio non è un personaggio a lei congeniale.
Romina Tomasoni è una brava ma acerba Fenena, a tratti un po’ stridula in acuto.
Christian Faravelli è stato un ottimo Sacerdote di Belo, di grande presenza scenica e bella voce.
Corretti gli altri interpreti Silvia Celadin in Anna e Massimiliano Chiarolla in Abdallo.
Un prevedibile successo di pubblico, perplesso per la regia, non può non farci riflettere su un uso troppo disinvolto e, ormai vecchio, di innovazione registica. Teatro pieno, apprezzati i cantanti.
Dramma Lirico in quattro parti, libretto di Temistocle Solera.
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco, re di Babilonia Elia Fabbian
Ismaele, nipote di Sedecia, re di Gerusalemme Armaldo Kllogjeri
Zaccaria, gran pontefice degli ebrei Riccardo Zanellato
Abigaille, creduta figlia primogenita di Nabucco Dimitra Theodossiou
Fenena, figlia di Nabucco Romina Tomasoni
Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia Massimiliano Chiarolla
Anna, sorella di Zaccaria Silvia Celadin
Gran sacerdote di Belo Christian Faravalli
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Direttore Jàri Hämäläinen
Coro Li.Ve. e Venezze Consort
Maestro del Coro Giorgio Mazzuccato
Regia, scene, costumi e luci Stefano Poda
Franco Santalba