Crítica de «Norma». Roma (italiano)

Vincenzo Bellini. NORMA

Direttore   Gabriele Ferro Regia  Andrea De Rosa Impianto scenico  Andrea De Rosa eCarlo Savi con interventi di    Matthew Spende Costumi Ciammarughi Luci  Pasquale Mari Pollione  Fabio Sartori  Oroveso Riccardo Zanellato  Norma   Julianna Di Giacomo  Adalgisa Carmela Remigio  Clotilde  Alessia Nadin  Flavio Enrico Cossutta
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERARoma, Terme di Caracalla 3 Agosto 2012
Roma: da dominatrice  a dominata.

 Grande protagonista alle Terme di Caracalla della stagione lirica estiva capitolina 2012 è la romanità. In cartellone NORMA e ATTILA .

 Titoli inusuali per una stagione che generalmente privilegia il lato turistico e popolare,  presenta due capolavori che mancavano nella monumentale cornice delle terme da decenni.

La scelta non sembra casuale, rappresentando nella prima la Roma dominatrice, e nella seconda gli ultimi bagliori di una potenza  ormai in declino.

E’ una sorta di sfida e di aspettativa quella del Teatro dell’ Opera di Roma rappresentare Norma di Vincenzo Bellini che è sempre stata una sorta di traguardo per le grandi interpreti del presente e del passato , assente alle Terme di Caracalla dal 1955.

Ma le aspettative non sono state pienamente soddisfatte principalmente dall’allestimento, anche se proposti spunti interessanti, ma poco sviluppati, dal regista Andrea De Rosa, ideatore anche dell’impianto scenico insieme a Carlo Savi con interventi di Matthew Spender, che rappresenta una scena con pochissimi elementi in un epoca indefinita dominata da una quercia stilizzata  che viene issata con delle corde al momento della celebrazione del rito dai Drudi, presentati come una sorta di setta segreta religiosa che si muove furtivamente nella foresta. Norma celebra il rito ai piedi della quercia mentre alle sue spalle sorge la luna, un’enorme disco luminoso, che va a posizionarsi in corrispondenza dei rami, elemento che ritroviamo poi nel finale dell’opera come abbagliante disco di fuoco a simboleggiare il rogo sacrificale di Norma e Pollione.

La casa della sacerdotessa è una sorta di corsia di un ospedale da campo delimitata da tende bianche semi trasparenti dove si intravedono due elementi che hanno la funzione di letti su cui dormono i figli rappresentati come neonati (due bambolotti fasciati), il che potrebbe anche essere interessante e realistico facendo intendere che la storia tra Norma e Pollione non sia così consolidata come invece in genere ci viene mostrata con  figli già grandi.

Nel secondo atto troviamo un enorme cerchio in legno con al centro quattro volti posti ai punti cardinali che stanno a rappresentare le varie sfaccettature di Irminsul uniti insieme  dal bronzo che viene percosso da Norma. Una regia con  elementi discutibili ma potenzialmente interessanti se adeguatamente sviluppati, complice anche una scenografia naturale di rara bellezza poco valorizzata dalle luci di  Pasquale Mari e da costumi totalmente anonimi di Alessandro Ciammarughi.

Le cose andavano decisamente meglio invece dal lato musicale, supportato dalle ottime prove del coro, sapientemente diretto da Roberto Gabbiani, e  dell’ orchestra  del Teatro dell’ Opera, che vedeva sul podio Gabriele Ferro che è riuscito a creare quel giusto equilibrio tra golfo mistico e palcoscenico, difficilissimo in una collocazione all’aperto come quella delle terme e con un impianto di amplificazione che lascia molto a desiderare, offrendo una direzione dai tempi decisi nella sinfonia, e un po’ troppo ampi nei momenti più elegiaci che potevano creare qualche piccolo problema nella respirazione dei cantanti ma che riusciva allo stesso tempo a infondere il senso lunare dell’opera.

La versione scelta per questa edizione è quella originale per due soprani come ormai – e giustamente- viene proposta da qualche anno a questa parte.

Come noto il ruolo di Norma è una sorta di sfida per ogni soprano, un banco di prova per tecnica, organizzazione vocale, scuola, interpretazione ed espressione che si distacca in parte dai consueti ruoli belcantistici pur facendone parte. Lo spartito è impervio e si lega, nella storia delle interpretazioni, a nomi inavvicinabili come Maria Callas, Montserrat Caballé, Joan Sutherland.

La sfida è stata  accolta dal soprano statunitense Juliana di Giacomo. Dotata di mezzi vocali non troppo solidi, va sicuramente il merito di aver studiato approfonditamente e  consapevolmente il ruolo in cui andava a cimentarsi. Consapevolezza che l’ha portata ad un inizio cauto e a volte timido nel recitativo della sua sortita, permettendole di affrontare una ‘Casta diva’ all’altezza della situazione e decretandole il giusto applauso.  Timidezza che è andata dissolvendosi in parte durante il corso della serata, dimostrando più sicurezza nei momenti di forza che in quelli di puro belcanto dove a volte venivano a  mancare il legato, le mezze voci , pianissimi e problemi di pronuncia a discapito dell’espressione e dell’interpretazione. Elementi fondamentali in un opera come Norma che da’ poco spazio alla recitazione.

Aspetti questi che venivano ancor più evidenziati nei duetti con Adalgisa, una Carmela Remigio in un particolare stato di grazia che ha designato un personaggio ideale riconsegnandole l’ originale  purezza virginale. Erede della migliore tradizione vocale italiana, la Remigio ha dato sfoggio di tutte le sue qualità vocali e interpretative per purezza nel legato, colore ed eccellente tecnica, cesellando con accuratezza ogni frase, ogni nota ed espressione fin dalla sua sortita – qualità già messe in luce nel Devereux di due stagioni fa al Teatro dell’ Opera- annoverandola tra le migliori professioniste  della scuola italiana odierna.

Sul fronte maschile va a schierarsi l’eccellente Pollione di Fabio Sartori, sicuramente uno dei migliori tenori dei nostri giorni. Voce dotata di notevole squillo, ben appoggiata e proiettata in avanti, ricca di armonici in tutta la gamma,  che nel corso degli ultimi anni sta assumendo un bel colore brunito, doti necessarie per esprimere l’esuberanza, l’arroganza e la sfrontatezza del Proconsole romano fin dalla sua sortita, ed allo stesso tempo evidenziando gli aspetti più interiori –anche se pochi- del personaggio, nei duetti con Adalgisa e Norma, nel terzetto del primo atto e nel finale.

Buona la prova di Riccardo Zanellato nelle vesti di Oroveso, interprete sicuro dotato di bel colore vocale che ha saputo dare la giusta autorevolezza e peso al Gran Sacerdote dei Druidi. Efficaci rispettivamente nei ruoli di Clotilde e Flavio Alessia Nardin ed Enrico Cossutta.

 

Carlo Caprasecca