Verona, 7 Julio 2012
Con la ripresa dell’ allestimento dello scorso anno Roméo et Juliette sembra essere entrata definitivamente nel repertorio dell’Arena di Verona.
Il regista Francesco Micheli complessivamente non delude le aspettative e firma uno spettacolo ricco di idee e sicuramente intelligente nella sua rilettura ed attualizzazione del capolavoro di Shakespeare.
Micheli si concentra non solo sull’amore contrastato di Roméo e Juliette, ma anche e soprattutto sulla divisione di due famiglie che, lottando per il potere, si affrontano in uno spazio che ricorda uno stadio di football, al centro del quale si erge una struttura semicircolare che richiama il Globe Theatre di Londra. Tutto si spacca in due, costantemente, a cominciare dal giallo e dal blu, i colori che insieme costituiscono il gonfalone di Verona e che qui invece spiccano, scissi, l’uno nello stemma dei Montecchi e l’altro in quello dei Capuleti. La comunicazione è negata, la corsa al potere, che opprime l’amore purissimo di due giovani, si estrinseca anche in un continuo salire e scendere di scale, che avvicinano ed allontanano i due amanti ed insieme simboleggiano ascese e cadute politiche delle due famiglie. Molto emotivo il finale, con Roméo e Juliette che, uniti nella morte, si allontanano lungo la platea seguendo un raggio di luce.
Sontuose le scene di Edoardo Sanchi, che in una ambientazione medievale, però arricchita di elementi contemporanei e a tratti futuristici, si pongono quali testimoni dell’universalità della storia di Roméo e Juliette. Geniale l’idea di imprigionare Giulietta in abiti metallici, vere e proprie gabbie che imbrigliano qualunque slancio, così come di grande impatto anche le gigantesche parti di armatura che avvolgono Capulet e il Duca di Verona, amplificandone il soverchio potere ma allo stesso tempo soffocandoli.
Bellissimi nella loro sontuosità i costumi dalle fogge multiformi di Silvia Aymonino.Efficace ci è parso il disegno di luci elegante ed essenziale di Paolo Mazzon, come belle le coreografie di Nikos Lagousakos.
Molto buona l’esecuzione musicale.
La concertazione di Fabio Mastrangelo ci è sembrata molto approfondita nella ricerca delle giuste tensioni dinamiche e nella languida morbidezza degli abbandoni lirici, Apprezzabile la sottolineatura degli aspetti pompier tipici del Grand-Opéra, sempre risolti con misura e eleganza.
John Osborn è un Roméo capace di suscitare intense emozioni. Il tenore americano, forte di una voce magnificamente proiettata e di un fraseggio passionale, rende vive le emozioni, le ansie, i trasporti di Roméo in ogni loro sfumatura. Confessiamo che da parecchio tempo non assistevamo ad una prova tenorile di tale spessore, sia dal punto di vista tecnico che, soprattutto, da quello emotivo.
Al suo debutto nel ruolo Aleksandra Kurzak, dopo un inizio non molto sicuro, interpreta una Juliette teneramente appassionata, a tratti stupita dalla tempesta di sentimenti che la travolgono. La Kurzak padroneggia con sicurezza le agilità e fraseggia con gusto.
Molto buona e stata la prova di Artur Rucinski, che si conferma ottimo Mercutio e si disimpegna con gusto e perizia soprattutto nel couplet della Reine Mab.
Bene anche il Frère Laurent di Giorgio Giuseppini, paterno e protettivo.
Non del tutto convincente ci e sembrato lo Stéphano di Eufemia Tufano, non sempre a suo agio nel fraseggio e non sempre ben intonata.
Buono il Capulet di Enrico Marrucci, autorevole ed al contempo quasi dolce, come buona è risultata la prova di Elena Traversi, Gertrude di ottima voce.
Poco incisivo e sembrato il Tybalt di Francisco Corrujo, mentre ci abbiamo trovato più efficace il Duc de Verone di Deyan Vatchkov.
Completano con onore il cast il Pâris di Nicolò Ceriani, il Grégorio di Dario Giorgelè, ed il Benvolio di Paolo Antognetti.
Ottimo il coro, diretto da Armando Tasso.
Il pubblico ha mostrato ancora una volta di gradire ed ha decretato un successo rotondo e meritato con applausi per tutti ed ovazioni a Osborn e alla Kurzak.
Alessandro CAMMARANO