Verona, 7 marzo 2013
Quarto titolo d’opera della Stagione Lirica 2012-2013 del Teatro Filarmonico, l’opera Un giorno di regno di Giuseppe Verdi si inserisce in pieno nell’ambito delle celebrazioni verdiane per l’anno bicentenario e ritorna al Teatro Filarmonico dopo quasi trent’anni, dal 1985quando venne proposto nell’allestimento di Sylvano Bussotti.
Viene quest’anno riproposto nella fortunata messa in scena di Pier Luigi Pizzi creata nel 1997 per i teatri di Parma e Bologna.
Un giorno di regnoè ilsecondo titolo di Verdi e cadde alla prima rappresentazione, avvenuta alla Scala il 5 settembre 1840. Si trattò di un insuccesso memorabile e duraturo, nonostante qualche ripresa di successo, come quella di Venezia del 1841 e quella napoletana del 1849. Nel nostro dopoguerra il titolo ricompare alla Rai di Milano nel 1951 all’interno delle celebrazioni per il cinquantenario della nascita di Verdi. Ritorna a Genova nel 1980 e al Filarmonico di Verona nel 1985. In realtà rinasce sulle scene moderne solo grazie al bellissimo allestimento parmigiano del 1997, firmato per le scene, i costumi e la regia da Pier Luigi Pizzi. Nel 2001 questa produzione approda al Comunale di Bologna e alla Scala di Milano e ora al Filarmonico. Un’opera minore, non vi è dubbio, ma verdiana fino all’osso, per quel modo tutto suo dare contenuto melodico popolare all’opera che nessun altro compositore ha mai più eguagliato.
La musica risulta piacevole all’ascolto, ma scollata da un’azione che di buffo ha davvero poco (un aristocratico spensierato viene costretto da ragion di stato a farsi passare per Stanislao, re di Polonia, così da permettere al sovrano di rientrare incolume a Varsavia), con un libretto che per gran parte potrebbe benissimo reggere con un’intonazione musicale da tragedia piuttosto che da commedia.
Tutte queste situazioni, unite al fatto che Verdi è sempre stato estraneo al genere buffo, hanno creato un oblio intorno a questo titolo. Nell’opera però non mancano certo arie molto piacevoli o pagine interessanti, come l’aria di sortita della Marchesa del Poggio, il duetto Belfiore-Edoardo e i due duetti dei bassi buffi, ma in generale però l’opera è zoppa e musicalmente si riscontra un forte divario tra primo e secondo atto e il giovane Verdi pare sommerso da un’ispirazione ancora troppo donizettiana.
Il punto di forza di questo allestimento è indubbiamente il progetto scenografico – sempre nuovo e significativo – di Pier Luigi Pizzi, che ambienta la vicenda tra le eleganti arcate e la suggestiva prospettiva del cortile del palazzo della Pilotta di Parma. Infatti Pizzi, nella sua messa in scena dell’opera, sceglie di staccarsi un poco dal libretto e non collocare la vicenda a Brest, ma a Parma, terra verdiana per eccellenza. Come ebbe modo di dichiarare è una sorta di omaggio a questa città, alla sua eleganza, al suo tono cordiale ed insieme raffinato, al gusto per la buona cucina, per l’ironia e il buonumore. Ho voluto che venisse fuori il tratto della gente di Parma e delle terre di Verdi in accordo con il pensiero di Verdi, che come sappiamo ha sempre tenuto in gran conto la sua terra, traendo da essa continue ispirazioni.
Le scene riportano al Pizzi monumentale, le scalinate, le volte… certamente c’è qualcosa di già visto, ma non ci si stancherebbe mai di ammirare questi allestimenti, che uniscono il gusto, l’eleganza, la raffinatezza, la coerenza e l’amore per l’opera. L’imponente impianto scenografico neoclassico ed i colorati costumi settecenteschi non sembrano affatto invecchiati, godendo ancora della freschezza e dell’eleganza tipiche del regista, che si è avvalso delle luci suggestive diVincenzo Raponi e delle coreografie di Luca Veggetti, riprese da Maria Grazia Garofali.
La regia è leggera ed è tutta impostata su una giocosa ironia che sembra sorridere dell’assurdità delle situazioni del finto re Stanislao e dei suoi ignari amici, tutto secondo lo stile di Pizzi, sempre con grande misura ed eleganza; divertente l’omaggio alla città di Parma nella scena prima del II atto ambientata nella dispensa del palazzo adornata da prosciutti e forme di parmigiano.
Di gran classe gli splendidi costumi che rinfrescano lo stile settecentesco con luminosi colori pastello.
Paolo Panizza riprende la regia con precisione e gusto, non facendo rimpiangere la versione originaria.
Il maestro Stefano Ranzani, alla guida dell’Orchestra dell’Arena di Verona, riesce benissimo a cogliere non solo la vena buffa dell’opera, ma anche quella vena verdiana in fieri che riesce ad essere misurata e senza certe sonorità pesanti che spesso si riscontrano; elegante e con tempi serrati ma non esagerati, equilibrato nonostante qualche discordanza tra palcoscenico e buca.
Complessivamente valido il cast, composto quasi interamente da allievi dell’Accademia di canto del Teatro alla Scala.
Filippo Polinelli è un efficace Cavaliere di Belfiore, ovvero il finto Stanislao. Sicuro, con voce tonda e pastosa.
Simon Lim nel ruolo del Barone si è disimpegnato con maestria, nonostante la voce non sempre precisa.
Teresa Romano ha dato vita ad una Marchesa di Belfiore convincente, non solo vocalmente ma anche scenicamente. Possiede una vocalità degna di rispetto.
Ludmilla Bauerfeldt è stata una più che valida Giulietta. Il soprano ha una voce molto gradevole e duttile e ha reso efficacemente il personaggio.
Jaeyoon Jung in Edoardo di Sanval ha dimostrato di avere una voce interessante e brillante anche se non pienamente sicura. Buona la dizione.
Filippo Fontana è stato un Signor La Rocca convincente e piacevole.
Hanno completato lodevolmente il cast Ian Shin, nel Conte Ivrea e Carlos Cardoso, in Delmonte.
Molto buona la prova del Coro dell’Arena, preparato dal maestro Armando Tasso.
Ancora una volta il Teatro Filarmonico si notava per il vuoto e la scarsità di pubblico, nonostante lo spettacolo veramente meritevole. Il poco pubblico ha mostrato però di gradire tributando giusti applausi.
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani e Temistocle Solera dalla farsa “Le faux Stanislas” di Alexandre-Vincent Pineux-Duval
Musica di Giuseppe Verdi
Il Cavalier Belfiore, sotto il nome di Stanislao Re di Polonia Filippo Polinelli
Il Barone Kelbar Simon Lim
La Marchesa del Poggio Teresa Romano
Giulietta di Kelbar Ludmilla Bauerfeldt
Edoardo di Sanval Jaeyoon Jung
Il signor La Rocca Filippo Fontana
Il Conte di Ivrea Ian Shin
Delmonte Carlos Cardoso
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
ripresa da Paolo Panizza
Luci di Vincenzo Raponi
Coreografie Luca Veggetti
riprese da Maria Grazia Garofoli
Allestimento del Teatro Regio di Parma e Teatro Comunale di Bologna 1997.
Mirko Bertolini