Crítica di Der fliegende Holländer de Wagner. Bolonia

Teatro Comunale di Bologna
14 marzo 2013
Opera romantica in tre atti di Richard Wagner
Nel Teatro storicamente più wagneriano d’Italia, il Comunale di Bologna, il bicentenario della nascita del compositore tedesco, viene ricordato con la ripresa di un allestimento storico dello stesso Teatro bolognese: Der fliegende Holländer per la regia, scene e costumi del regista greco Yannis Kokkos.
Il Teatro Comunale la ripropone a tredici anni di distanza dal debutto, avvenuto nel novembre 2000.
Nota anche con il titolo de Il vascello fantasma, Der fliegende Holländer segna la presa di distanza di Wagner dall’opera convenzionale per gettare le basi di un rinnovamento del linguaggio musicale. Il quinto titolo wagneriano ebbe il suo debutto italiano proprio al Teatro Comunale di Bologna, il 14 novembre 1877. La storia è ripresa dal mito nordeuropeo dell’olandese volante, il leggendario capitano condannato a navigare sul suo vascello fantasma fino al giorno del giudizio. Wagner sostiene in “Mein Leben” che l’ispirazione per l’opera sia stata in parte autobiografica, dopo aver vissuto i pericoli del mare in tempesta, in occasione di un viaggio in nave verso Londra compiuto tra il luglio e l’agosto del 1839.
Questo allestimento, suggestivo e onirico non sfugge ai tratti distintivi che caratterizzano da sempre il lavoro di Kokkos: la scenografia è costituita da una grande parete inclinata che funge di volta in volta da specchio, allargando così la prospettiva, e da fondale su cui scorrono delle immagini proiettate. Kokkos parte da un’idea dell’Olandese intimista e psicologica, concretizzando tutta la vicenda come una sorta di proiezione psicologica e visiva dei personaggi.
Questo spettacolo può essere considerato, a ragione, ancora oggi di una modernità assoluta, grazie al respiro delle sue prospettive e al vivo contrasto giocato tra realismo e finzione (di forte effetto la scena con l’equipaggio fantasma), all’idea di mare creata con video decisamente efficaci, attuali e di grande trasporto emotivo.
Nel primo atto, il ponte bianco di una nave occupa tutto il palcoscenico con un il fondamentale gioco di  luci, opera di Guido Levi, a dar la sensazione di un mare in tempesta, i marinai lavorano senza sosta. L’Olandese compare da un enorme voragine al centro, come spuntasse dall’ inferno e, dopo il monologo, è notato da Daland che entra ed esce dai lati del palcoscenico. Daland è tratteggiato come un personaggio meschino, concupiscente davanti alle ricchezze dell’Olandese. Il secondo atto si apre in una bianca camera spaziosa, la casa del marinaio. Scena pressoché vuota, con un solo enorme arcolaio bianco, in netto contrasto con le donne vestite di nero. Nel terzo atto l’apparizione dei marinai olandesi come spettri in bianco, visibili attraverso lo specchio, ha un effetto veramente notevole all’occhio. La botola, come all’inizio, riaccoglie il povero marinaio errante che si inabissa non prima di aver abbracciato Senta nell’unico momento di tenerezza dell’opera, mentre Senta spogliatasi del suo abito nero, cade a terra vestita di bianco e illuminata dalla luce color ghiaccio discesa dal cielo; forse la parte registica meno riuscita, mancando l’effetto drammatico della scelta di Senta di morire per salvare l’Olandese.
Se inizialmente la scelta scenografica e registica può lasciare perplessi, l’idea di Kokkos si rivela poi nella sua genialità, come la scena della ballata di Senta che si svolge attorno ad un quadro della nave dell’Olandese dipinta in un mare agitato: Senta sogna e canta il suo sogno vedendo il quadro.
Fedele a questa sua concezione intimista e psicologica dell’opera, il regista chiude con l’Olandese che se ne va scendendo in una stiva nera con un portellone bianco che lentamente si chiude davanti agli occhi di Senta, rubando alla sua mente di fanciulla anche l’ultima illusione dell’amore.
Questa lettura è stata adeguatamente supportata dalle proiezioni di Eric Duranteau che ricordano il mare, sia la mente agitata di Senta, che diventa la vera protagonista dell’opera. È una lettura non facile quella di Kokkos, ma di grande effetto e pienamente riuscita nel suo intento; inoltre il regista dimostra di saper muovere gli attori e le masse. Bellissimi infatti sono i numeri d’insieme, come le ragazze all’arcolaio, del secondo atto, o la festa dei marinai all’inizio del terzo.
Coerenti con l’insieme i costumi che posso riferirsi a un tempo indefinito o alla fine del XIX secolo; Kokkos in questi si è ispirato a Bergman e alla pittura nordica del XIX secolo.
Nordica è l’ambientazione, resa sulla scena con il prevalere dei colori nero, bianco e blu ghiaccio, nordico è il carattere dei personaggi caratterizzati dall’abile mano del regista.
Alla fine è risultato un allestimento di grande stile, che coinvolge lo spettatore avvolgendolo della musica wagneriana e lasciandolo visivamente appassionato. Lo spettacolo firmato Kokkos pur nella sua modernità e stilizzazione, riporta a quelle regie raffinate ed esteticamente pregevoli dei grandi registi del passato, ma è rivolta indubbiamente verso il futuro, rendendola sempre attuale e avvincente.
Buona la mano e la lettura del maestro Stefan Anton Reck, alla guida di una sicura Orchestra del Teatro Comunale,  che ne fa emergere il carattere più gioiosamente ritmato, dei grandi pannelli di massa, tipico del primo Wagner. Reck non lascia nulla al caso, ma le pagine da lui dirette sono avvolgenti come l’ouverture al primo atto.
Un secondo cast di tutto rispetto.
Thomas Hall è stato un ottimo Olandese, bella voce baritonale, a cui ha accompagnato un’ottima prova scenica.
Duccio Dal Monte si è difeso in modo adeguato nel ruolo di Daland.
Elena Popovskaya ha dato vita ad una credibile Senta, dalla voce intimamente drammatica e rigogliosa, dal bel fraseggio e dal colore scuro. Ha una voce importante per volume e per timbro, passa agevolmente dalla densità dei suoni medio gravi alla levità dei suoni acuti con linea di canto morbida, buon dosaggio del fiato.
Charles Workman ha interpretato il ruolo di Erik in modo egregio. Workman ha dimostrato di essere un cantante molto versatile, passando dal repertorio settecentesco, a lui congeniale, ad un’opera non facile per la sua voce, come questa. Ha superato in modo egregio la prova, ne è risultato un Erik altamente drammatico e credibile, con la sua pregnanza interpretativa.
Prova più che discreta per Gabriele Mangione nel Timoniere. Ricordiamo infine Monica Minarelli in Mary.
Ottima la prova del Coro del Teatro Comunale preparato dal maestro Andrea Faidutti.
Teatro Comunale piacevolmente pieno, con un pubblico che ha apprezzato e gradito di poter rivedere un allestimento di grande stile ed ha applaudito con calore il cast.
Der Holländer                      Thomas Hall
Daland                                  Duccio Dal Monte
Senta                                     Elena Popovskaya
Erik                                        Charles Workman
Der Steuermann                   Gabriele Mangione
Mary                                      Monica Minarelli

Direttore                               Stefan Anton Reck
Regia, scene e costumi       Yannis Kokkos
Regia ripresa da                   Stephan Grögler
Luci                                       Guido Levi
Video                                    Eric Duranteau
Maestro del Coro                Andrea Faidutti

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna
Marco Bertolini