Grandissimo successo ha riscosso al XLI festival della valle d’Itria di Martina Franca la messa in scena del Don Checco di Nicola De Giosa, opera buffa composta nel 1850 ed andata in scena al Teatro Nuovo di Napoli dove ottenne un successo clamoroso visto che fu rappresentata per 96 repliche e fu l’opera comica preferita da Ferdinando di Borbone che voleva sempre assistere ogni volta che veniva rappresentata.
Il soggetto è tipico della tradizione buffa partenopea: Fiorina, figlia dell’oste Bartolaccio ama, riamata, il garzone del padre, Carletto. Il pittore Roberto esorta inutilmente Bartolaccio a far maritare la figlia, ma egli rifiuta e licenzia il giovane. Nel frattempo, giunge all’osteria un povero diavolo, Don Checco Cerifoglio, sfrattato per morosità ed inseguito da un esattore, Succhiello Scorticone. Per una serie di equivoci, Don Checco viene scambiato per il Conte De’ Ridolfi, signore della zona, travestito, per la gioia di contadini, avventori e dei due giovani fidanzati, i quali sperano che egli possa intercedere con Bartolaccio perché acconsenta al loro matrimonio. L’oste informato della vera identità del suo ospite sta però per cacciarlo e il malcapitato sarebbe di certo arrestato da Succhiello se nel frattempo un fattore non avesse portato un foglio: in esso, firmato dal vero Conte De’ Ridolfi, che si rivela essere il pittore Roberto, ormai lontano, si legge che i debiti di Don Checco vanno considerati estinti e che i due giovani innamorati potranno sposarsi grazie ad una cifra messa a disposizione dal nobiluomo. Tutti esultano e l’opera si chiude con un esilarante elogio dei debiti, che rendono la vita più comoda, da parte di Don Checco.
Grazie alla musica di De Giosa questa divertente farsa diviene un gioiello unico che fa rimpiangere la lunga assenza dalle scene. A far passare all’oblio questa, che fu l’opera buffa più rappresentata durante l’800, ed in cui si alterna il canto al parlato al posto del recitativo secco, fu il successo dell’operetta. Genere che quest’opera assieme al Crispino e la comare dei fratelli Ricci, non a caso coeva, anticipa chiaramente. Grande merito del Teatro San Carlo di Napoli è di aver restituito lo scorso anno al pubblico questo autentico gioiello, in una produzione andata in scena nel teatrino di corte del palazzo reale e che è stata ripresa qui a Martina Franca, per il sollazzo ed il divertimento degli spettatori.
Matteo Beltrami a diretto in modo eccellente l’Orchestra Internazionale d’Italia, riuscendosi a calare alla perfezione nei ritmi dettati da De Giosa restituendo magistralmente tutta la verve dello spartito.
Di pari effetto la regia di Lorenzo Amato, dal ritmo incalzante e divertente che ha reso la farsa scenica in tutta la sua originale freschezza. Grande merito anche quello di essere riuscito a muovere bene l’ottimo coro maschile della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca, riuscendo a dare una caratterizzazione ad ogni corista. Una regia fresca ed allegra che gli spettatori hanno seguito con facilità con risate con applausi a scena aperta. Bello l’interno della locanda in cui si svolge tutta l’azione realizzata da Nicola Rubertelli così come i costumi atemporali ma azzeccati di Giusi Giustino.
Autentico Trionfatore della serata è stato Domenico Colaianni nel ruolo che da il titolo all’opera. Il personaggio di Don Checco sembra che sia stato composto appositamente per lui. In una parte, tutta in napoletano che ha pronunciato in modo perfetto e con tutta la musicalità che questa lingua contiene, dai ritmi serrati, con la difficoltà aggiunta di passare continuamente dal canto al parlato. Colaianni si è rivelato vorticoso anche nei frequenti sillabati eredità Rossiniana e Donizzettiana che infarciscono l’opera culminando nello curioso rondò finale, affidato alla voce di un buffo, che ha suscitato l’entusiasmo del pubblico.
Accanto a lui il Berolaccio di Carmine Monaco, dotato di una voce sonora e scorrevole, si è rivelato la spalla perfetta, interpretando il ruolo dell’oste burbero in modo ottimo, creando col Colaianni dei siparietti divertentissimi.
Carolina Lippo è stata una fresca ed allegra Fiorina, interpretata con verve, malizia e la sfrontatezza necessaria che servono per rendere in modo pieno una primadonna napoletana. Accanto a lei Francesco Castoro ha reso allievo di Colaianni molto bene Carletto, nel classico ruolo del tenore innamorato.
Ottima prova di Rocco Cavalluzzi nel ruolo dell’eccenttrico conte Roberto che si presenta in apertura come pittore ed alla fine addirittura en travesti smanceroso. Divertente infine la caratterizzazione che Paolo Cauteruccio ha dato dell’esattore Succhiello Scorticone.
Trionfo per tutti, in particolare per Domenico Colaianni, ma soprattutto la riscoperta di un gioiello che speriamo continui il suo percorso in altri teatri italiani ed esteri.
Domenico Gatto