Saverio Mercadante compose nel 1831 la Francesca da Rimini per il Teatro de la Cruz di Madrid. Intoppi, malelingue, litigiosità e vanità delle dive dell’epoca impedirono che l’opera venisse rappresentata. Né allora né mai più successivamente
Grande merito quindi al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca per aver fatto si che, finalmente, questo lavoro musicale potesse vedere la luce.
Saverio Mercadante, considerato oggi fra gli autori minori, fu invece nella prima metà del 1800 uno dei compositori più acclamati e ricercati d’Europa. Alla sua fama, però, non giovò l’Unità d’Italia realizzata attraverso la conquista del Regno delle due Sicilie. L’intellighenzia del nuovo stato non ci mise molto a denigrare il regno borbonico ed a descriverlo come arretrato e primitivo cercando di cancellare ogni traccia di quella vivacità che, da sempre, aveva albergato nella città di Napoli facendone per secoli il centro culturale, intellettuale, economico ed anche musicale dell’Europa e dell’Occidente. La grande cultura espressa nella città di Napoli, che fin dai tempi di Federico II e dell’Università da lui voluta era stata per secoli un faro dell’ Europa, venne se non cancellata ignorata. Sull’onda di tale processo di censura culturale il napoletano Mercadante venne “rimosso” a vantaggio del bergamasco Donizetti e soprattutto del parmigiano Giuseppe Verdi che assurgerà al titolo di compositore nazionale.
Di questi sicuramente Mercadante non ebbe mai il genio, ma di certo il suo era vero talento a cui oggi corre l’obbligo di rendere giustizia.
E finalmente, dopo 150 anni dall’Unità d’Italia, siamo arrivati ad un periodo di revisione, ed in questo si inserisce benissimo il festival della Valle d’Itria che, con caparbietà, cerca di togliere dall’oblio tutta una scuola che è stata volutamente dimenticata.
Grande plauso quindi alla decisione di mettere in scena, grazie all’edizione critica curata da Elisabetta Pasquini, per la prima volta nella storia questa sfortunata opera composta da Saverio Mercadante affidandola, per il suo battesimo, ad una coppia di grandissimi del panorama lirico internazionale: Fabio Luisi e Pier Luigi Pizzi.
Opera drammaturgicamente sghemba questa Francesca da Rimini: ad un primo atto in cui si dipana tutta la vicenda ( dal matrimonio della protagonista con Lanciotto al suo incontro col bel Paolo fino alla scoperta del tradimento ) segue un secondo atto senza avvenimenti e sviluppi fino alla repentina e velocissima risoluzione della vicenda col suicidio dei due amanti di fronte a Lanciotto.
Pier Luigi Pizzi rinunciando alle sue grandi costruzione scenografiche ha scelto di allestire un palco vuoto attraversato da un praticabile e incorniciato unicamente da drappeggi di seta tempesta nera. Volumi tessili mossi dal vento che naturalmente si insinua nel cortile del Palazzo Ducale di Martina Franca. Una soluzione semplice ma straordinariamente efficace per rendere l’immagine dantesca del secondo girone dell’Inferno. Girone in cui dove si sentono muggire i venti che sbattono “i peccator carnali / che la ragion sommettono al talento” cioè i lussuriosi. In questa scena così essenziale fondamentale è stato quindi il lavoro di Gheorghe Iancu che ha curato le coreografie e collaborato con il regista nel creare un continuo flusso circolare dell’azione scenica. Quasi una danza costante Infatti il grande fascino della regia è stato quello di creare questo continuo effetto circolare, grazie ad un cast di giovani cantanti che il maestri Pizzi e Luisi hanno voluto giovani e credibili, ma nello stesso tempo fossero dotati delle voci adatte ad affrontare la difficile partitura.
Nel ruolo del titolo Leonor Bonilla: giovane soprano sivigliano che già si era fatta apprezzare come Donna Fiorilla ne Il turco in Italia, andato in scena a Piacenza. La Bonilla è stata una superba Francesca grazie ad una voce sicura sia nei pianissimi che nelle messe in voce. Interpreta dotata di una naturale dolcezza e di un naturale squillo negli acuti che emette senza mai forzare. A questo si aggiunga un’elegante presenza ed una grazia da danzatrice. Presenza e qualità di movimento scenico che hanno permesso a Gheorghe Iancu di creare per lei un assolo di danza prima della grande scena finale del primo atto. E’, la Bonilla, un’artista completa che ha meritato il trionfo riconosciutole dal pubblico. Una interprete che aspettiamo di ascoltare nei grandi ruoli belcantisitici.
Trionfo anche per il mezzosoprano giapponese di scuola italiana Aya Wakizono nel ruolo “en travesti” di Paolo. Dotata di un’ ottima tecnica, con una voce vellutata, calda adatta a ruoli virtuosistici. Voce che le ha permesso di affrontare le grandi pagine presenti nella partitura soprattutto nel secondo atto in cui Mercadante affida all’interprete venti minuti di assolo fra recitativo, aria e cabaletta.
Non è stato da meno Mert Süngü che ha dato vita a Lanciotto. Il tenore turco è uscito vincitore in un ruolo complicatissimo pieno di sovracuti e di rossiniane agilità.
Il basso salernitano Antonio Di Matteo ha reso benissimo il ruolo di Guido, padre di Francesca, grazie alla sua statuaria presenza ed alla voce autorevole.
Ottimi anche i comprimari, a cui Mercadante, nei concertati, ha affidato difficili puntature vocali: Larissa Martinez e Ivan Ayon Rivas rispettivamente nei ruoli di Isaura e Guelfo.
Sublime la direzione di Fabio Luisi che ha trasformato la già notevole Orchestra Internazionale d’Italia in un ensemble di assoluta eccellenza. Il Maestro Luisi è riuscito a creare una straordinaria continuità musicale pur dirigendo un’opera costruita sull’alternanza di momenti intimi e grandi quadri. Meritatissimo il trionfo da lui ottenuto alla fine della serata.
Domenico Gatto