Il Campiello di Wolf-Ferrari a Trieste

Il Campiello di Wolf-Ferrari a Trieste
Foto di Fabio Parenzan

Torna a Trieste, dopo 13 Anni di assenza, la celebre commedia di Carlo Goldoni “Il Campiello” musicata da Ermanno WolfFerrari nel 1936.

“Il Campiello” di Carlo Goldoni messo in musica da Ermanno WolfFerrari nel 1936 torna a Trieste dopo le edizioni del 1982 e del 1992. Opera corale in cui è fondamentale un avere un cast equilibrato, visto l’assenza di un vero protagonista, e che presenta una serie di Leitmotivs di melodie all’italiana. Fondamentale per la buon riuscita della messa in scena è una direzione musicale di alto livello per evitare scollamenti fra l’orchestra e l’azione drammatica, in quanto come dice lo stesso Carlo Goldoni nelle sue “Memorie”: “bisognava rallegrare le scene, così diedi per la fine dell’autunno una commedia veneziana in versi sciolti, Il campiello; è uno di quel lavori che i romani chiamavano tabernariae, e che noi diremmo popolaresche o plebee. Il campiello, che costituisce la scena invariabile, è circondato di casucce abitate da popolani; è teatro di giuochi, di balli, di chiassate; a volte è convegno dell’allegria, a volte di litigi.”

Questa è stata la pecca maggiore della direzione di Francesco Cilluffo che, alle prese con una partitura complessa, non ha certo dato una prova eccelsa, soprattutto nei tempi e nella tenuta dell’orchestra, che in alcuni momenti è parsa come un cavallo lasciato allo stato brado senza nessuno che tenga le briglia.

Ottima la prestazione di Daniela Mazzucato nel ruolo di Gasparina, un personaggio che ha rappresentato nella sua carriera uno dei suoi cavalli di battaglia e che a Trieste ha interpretato per la terza volta dopo le edizioni del 1982 e 1992. La Mazzucato possiede sempre una voce fresca, un timbro che rende alla perfezione le ansie di una puta, fanciulla e zitella, adolescente. A ciò si somma la figura elegante e seducente che non tradisce le tante primavere ed la verve, da consumata artista che dall’operetta trae la grazie e lo spirito. Grazie a queste qualità oggi rare, e alla dizione veneziana autentica anche nella storpiatura della Esse in Zeta, che Gasparina usa per darsi un tono, ma che infine abbandona nello struggente Addio a Venezia, il finale dell’opera dove è riuscita a commuovere rendendo il momento veramente magico. E’ stata, comprensibilmente, la mattatrice della serata, compensata da un applauso segno pure dell’affetto che il pubblico triestino le riserva.

Ottima la prova del giovane soprano Alessandra Marianelli nel ruolo di Lucietta, sia per la parte vocale che richiede un sostanziale impegno lirico, dove ha potuto esibire delle potenzialità che fanno sperare in ruoli pure di maggior spessore drammatico, e per la solare presenza scenica. Di contro il soprano Rita Cammarano e parsa una Gnese insufficiente, in chiara difficoltà nel ruolo più acuto dello spartito che richiede pure delle puntature a lei estranee e che ha glissato con opportuna furbizia. Il soprano Patrizia Orciani nel ruolo di Dona Orsola la fritolera, ha messo a frutto la sua innegabile e prorompente simpatia sopperendo ad un ruolo che richiederebbe, in verità, la voce grave di un mezzosoprano.

Il Campiello di Wolf-Ferrari a Trieste
Foto di Fabio Parenzan

Peculiari in quest’opera i ruoli en travesti, tributo di Wolff-Ferrari a una tradizione barocca con una galleria gustosa di personaggi, iniziando dall’Arnalta e dalla Nutrice della Poppea monteverdiana. Ottima la caratterizzazione che il tenore Max René Cosotti ha fatto di Dona Cate, madre di Lucieta, una parte che ha avuto modo di eseguire con successo nel corso di una lunga carriera. Meno centrata fisicamente e come carattere la Dona Pasqua del tenore Alessandro D’Acrisa, che pur possiede una voce di qualità e dal timbro gradevole e penetrante, ma è decisamente troppo giovane per rendere credibilmente la parte di una vecja.

Per quanto riguarda le parti maschili tutti hanno fornito una prova più che sufficiente: partendo dal baritono Nicolò Ceriani nel ruolo dello zio “barba” di Gasperina Fabrizio dei Ritorti, rustego e accigliato come la parte esige, e seguendo con il baritono Antonio Dalioti nel ruolo del generoso e spendaccione Cavalier Astolfi, astuto nobile napoletano in caccia di dote e che mette gli occhi su quella di Gasparina. Il basso Filippo Morace ha dato vigore ad Anzoleto, il merciaio fidanzato di Lucietta; così pure il tenore Alessandro Scotto di Luzio nel ruolo di Zorzeto, figlio di Orsola e promesso a Gnese, forte di una aitante presenza scenica.

L’opera si è rappresentata senza intervalli. Il regista Leo Muscato ha immaginato la scena (unica, corporea e molto suggestiva, realizzata da Tiziano Santi. Adeguati i costumi disegnati da Silvia Aymonino e centrate le luci di Alessandro Verazzi) in tre epoche diverse, una per ogni atto, la prima nel 1776, anno in cui Goldoni scrisse la commedia, la seconda nel 1936, anno in cui fu rappresentata per la prima volta l’opera al Teatro alla Scala di Milano, e la terza nei tempi attuali. Il campiello al centro della vicenda si trasforma col passare delle epoche, in cui compaiono e scompaiono botteghe, poste e telegrafi e negozi di souvenir, unica cosa che resta uguale ed immutabile e la locanda-ristorante nel quale entrano ed escono i personaggi, ad unire queste epoche è la presenza dello stesso Goldoni che attraversando i tempi guarda attonito i mutamenti che avvengono nel suo campiello.

Il pubblico triestino ha molto gradito attardandosi in molteplici chiamate alla ribalta con applausi scroscianti e ripetute grida di bravo.

Domenico Gatto