Il secondo titolo scelto dal Festival della valle d’Itria per festeggiare i 200 anni della morte di Giovanni Paisiello, è stato il Don Chisciotte, liberamente tratto dal celebre romanzo di Miguel de Cervantes di cui quest’anno si celebrano i 400 anni della morte.
Opera ambientata in una locanda che ben si armonizza quindi con la scelta del luogo della rappresentazione: la Masseria Fortificata San Francesco, che si trova nella campagna presso Matera.
All’interno del cortile è stato allestito il semplice spazio scenico, trattandosi di un allestimento a costo zero in cui il regista Davide Garattini ha dovuto riciclare dei materiali di allestimenti di altri spettacoli del festival. Garattini è riuscito a trarre dal nulla uno spettacolo godibile e pieno di trovate, come l’utilizzo di un ombrellone da spiaggia per rendere il famoso mulino al vento contro cui combatte il prode cavaliere.
L’opera, ambientata in una locanda, viene così trasportata in un ospedale psichiatrico, dove sono ricoverati dei nobili pazienti che soffrono di dipendenza da telefonino, caratterizzati al limite del surreale e del pacchiano, grazie ai divertentissimi ed eccessivi costumi realizzati da Giada Masi. In questa clinica è pure ricoverato il buffo cavaliere della Mancha che, seduto sulla sedia a rotelle e con in mano una copia dell’Orlando Furioso, libro da cui scaturisce la sua follia, e costantemente accompagnato dal suo infermiere personale: Sancho Panza. La trama è un susseguirsi di scherzi e prese in giro che gli altri personaggi fanno a Don Chisciotte, ora dicendo che un grosso porco è scappato dalla stalla, ora usando il testo del Furioso: facendo credere che la Contessa sia la magica Melissa, la fata protettrice di Bradamante presente nel poema ariostesco.
Il cast è stato composto per la maggior parte dai giovani allievi dell’Accademia del Belcanto «Rodolfo Celletti», che ancora una volta hanno fatto vedere l’ottimo livello di formazione che l’Accademia diretta dal Maestro Fabio Luisi riesce a dare.
Alessandra Della Croce, giovane soprano partenopeo è stata una divertentissima Duchessa vero motore della vicenda, in quanto è lei la mente degli scherzi che i personaggi fanno a Don Chisciotte. Dotata di una di un’ottima tecnica che le ha permesso di affrontare bene le difficili arie di puntatura e di una fisicità prorompente che le ha fatto rendere al meglio il personaggio eccessivo che le è stato cucito addosso.
Accanto a lei il mezzosoprano israeliano Shiri Hershkovitz, che ha affrontato con disinvoltura e vivacità il ruolo della Contessa.
Rosa Garcia Rodriguez, grazie anche ad una spigliata parlata napoletana è stata una Carmosina graziosa e divertente: locandiera, qui trasformata in capo del personale medico, che l’Hidalgo scambia per la sua amata Dulcinea.
Nei ruoli delle altre locandiere-infermiere sono state divertenti anche Alessandra Torriani che ha interpretato Cardolella e Cristina Fanelli nel brevissimo ruolo di Ricciardetta, ma che il regista ha voluto sempre presente in scena.
Bene in parte, il tenore Nico Franchini, nel ruolo di Don Calafone, unico personaggio maschile proveniente dall’Accademia.
A questi giovani promettenti sono stati aggiunti tre altrettanto giovani cantanti che già si muovono sul panorama internazionale.
Il basso basco Iosu Yeregui e stato perfetto per il ruolo del buffo e stralunato filosofo napoletano Don Platone.
Il tenore spagnolo David Ferri Durà, ha dato corpo e voce al protagonista, riuscendo a rendere benissimo la follia del personaggio, sia vocalmente che scenicamente grazie ad uno sguardo al limite della vera follia.
Ottimo il Sancho Panza, del baritono brillante palermitano Salvatore Grigoli, dotato di un bel fraseggio è stato perfetto nel personaggio dello scudiero-badante che si trova sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
Dal punto di vista musicale, a causa della drastica riduzione dell’orchestra, composta da un quintetto d’archi: l’eccellente Ensemble dell’Orchestra ICO della Magna Grecia di Taranto, non è stato possibile al maestro direttore e pianista Ettore Papadia rendere appieno tutta la ricchezza che la partitura di Paisiello possiede, ma, visto il luogo e le ristrettezze economiche con cui è stato prodotto lo spettacolo, il risultato è stato più che buono.
Serata divertente, in un luogo insolito, sperando che a queste serate in masseria si possa assistere anche anni avvenire del festival.
Domenico Gatto