Se il tema del XLII festival della Valle d’Itria è il ‘Il gioco di Eros’ nessun titolo è stato più adatto a rappresentarlo che I Baccanali che nel 1695 l’abate Agostino Steffani compose, su libretto scritto da un altro abate Ortensio Mauro, per la corte di Ernesto Augusto di Hannover principe elettore del ducato di Brunswick-Lüneburg.
Dopo due anni ed il trionfo di La lotta di Ercole ed Acheloo, la musica di Agostino Steffani torna a risuonare a Martina Franca.
L’erotismo si è quindi diffuso all’interno dello splendido chiostro di San Domenico, grazie alla regista Cecilia Ligorio, che ha creato con i corpi dei personaggi un gioco di seduzione, reso con rara classe ed eleganza. Senza mai scadere nel volgare, ella è entrata appieno dentro la malizia tipica della musica barocca in cui le voci si staccano dai corpi ed il sesso dei personaggi si confonde fino a scomparire. L’ambiguità bacchica ha così conquistato il pubblico che per le tre recite ha affollato il chiostro che può contenere solo 200 posti a sedere, ma che è stato gremito anche da gente rimasta in piedi.
La scenografa Alessia Colosso ha realizzato una scena semplice, solo una passerella decorata con edera rampicante, pianta sacra al dio del vino, che si è integrata benissimo con le arcate del chiostro, che fungevano da entrate e da fughe per i personaggi. Questi sono stati vestiti in modo semplice ma efficace da Manuel Pedretti. Grazie al disegno luci di Marco Giusti, lo spazio scenico è diventato un ambiente quasi magico, in cui gli spettatori sono diventati parte viva dello spettacolo.
Il questo gioco di seduzione ed ambiguità si sono calati benissimo i giovani allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”, capaci di creare una vera compagnia amalgamata da cui è emanata una tale felicità nel canto e nel gesto, tale da farla quasi toccare.
Tutti bene in parte a cominciare dal controtenore Riccardo Angelo Strano, (che ha dato voce anche al pastore Tirsi) già ammirato nel ruolo di Acheloo due anni fa, il quale grazie alla sua voce asessuata e melliflua riesce a sedurre tutti gli altri protagonisti della vicenda.
L’unica a provare a resistergli è la ninfa Driade, resa efficacemente Barbara Massaro, soprano lirico milanese, dal promettente futuro.
Attorno alle sue ritrosie si sviluppa il gioco seduttivo organizzato dalle ninfe Celia e Clori rispettivamente i soprano Vittoria Magnarello e Paola Leoci, entrambe molto bene in parte.
Esse coinvolgono in questo gioco erotico, i pastori Aminta e Fileno, interpretati dai mezzosoprano Elena Caccamo e Chiara Manese, bravissime ad rendere questi ruoli en travesti, senza cercare una eccessiva mascolinità, ma mantenendo quelle dolcezze femminili che hanno creato quell’ambiguità di fondo, che rappresenta il tessuto dell’opera.
Bene in parte anche il tenore giapponese Yasushi Watanabe, che ha reso tutta la malinconia di Ergasto il pastore timido che alla fine abbatterà le ritrosie di Driade.
In questa atmosfera pastorale ispirata alla letteratura bucolica da Virgilio a Tasso, viene aggiunto il personaggio di Atlante reso da Nicolò Donnini, vero basso nonostante la giovane età, che da Dioniso, per un giorno, viene liberato dal peso di sorreggere il cielo e può partecipare ai giochi erotici del dio.
Per rendere il tutto più mobile ed ambiguo ha contribuito molto la bellissima presenza dei danzatori Daisy Ransom Phillips (che ha curato anche la corografie) e Joseba Yerro Aguirre, che si sono mossi in tutto lo spazio scenico ed anche in mezzo al pubblico, come fossero un elemento liquido.
A dirigere il tutto lo specialista del genere barocco Antonio Greco, Maestro al cembalo, che ha guidato l’ottimo Ensemble “Cremona Antica” armato di strumenti d’epoca. Unica nota le troppe pause fatte per accordare siffatti strumenti, che sono risultate a volte troppo lunghe, tanto che la regista le ha tamponate con delle azione mimiche dei danzatori.
Grazie all’atmosfera magica creata dalla regista Cecilia Ligorio all’interno dei chiostro di San Domenico, il pubblico ha tributato un grandissimo trionfo a tutti. Speriamo di rivedere questo gioiello presto in scena, visti i bassissimi costi ed il fatto che molta gente, a causa della ristrettezza del luogo, non vi ha potuto assistere.
Domenico Gatto