Federico Grazzini, per l’ambientazione del suo Rigoletto a Macerata, ha pensato ad un vecchio Luna Park semi abbandonato, al centro del quale troneggia l’enorme maschera di un inquietante pagliaccio stile Joker posto contro l’apertura di accesso al palcoscenico praticata nel grande muraglione di fondo dello Sferisterio e che consente agli artisti di entrare in scena attraverso la bocca spalancata del pagliaccio stesso. Intorno una serie di logore tende a strisce bianche e rosse, il baracchino dei biglietti, una roulotte, che sarà poi la casa di Gilda, e un camioncino per la vendita di bibite e panini che nel terzo atto, portato al centro del palcoscenico, fungerà in modo molto efficace da taverna di Sparafucile.
In questo contesto degradato, ben sottolineato dalle luci dalle tonalità piuttosto cupe di Alessandro Verazzi e dai bei costumi curati da Valeria Donata Bettella, si aggirano prostitute e masse di festaioli in giacca e cravatta che ricordano molto certe scene de La grande bellezza. Lo spettacolo nel suo complesso funziona bene e, nella sostanza di fondo, non si allontana di molto dalle richieste del libretto, se si eccettua l’idea finale di una Gilda che in punto di morte appare al padre già sotto forma di spirito e non come corpo reale rinchiuso all’interno del sacco. La regia di Federico Grazzini rivela sempre un buon senso del teatro e si dimostra molto efficace soprattutto nel movimento delle masse che risultano naturali e non scontati.
Vladimir Stoyanov é un Rigoletto a Macerata forse non così fortemente caratterizzato, ma che spicca d’altro canto per un colore di voce delicatamente vellutato e una linea di canto fluida e al contempo sempre precisa. Al suo fianco la Gilda di Jessica Nuccio è una fanciulla modesta che dimora all’interno di una vecchia roulotte, abbigliata in modo piuttosto trascurato, totalmente al di fuori dell’ambiente smaliziato e festaiolo che caratterizza il mondo che la circonda: la messa di voce è molto buona, il registro centrale solidissimo e, a fronte di qualche attimo in cui il passaggio di registro appare perfettibile, l’acuto si innalza comunque sicuro e il personaggio risulta totalmente convincente. Celso Albelo è un Duca di Mantova dalla vocalità generosa, il timbro ha un vago retrogusto nasale, ma la potenza del suono e l’intonazione sono ineccepibili. Assolutamente straordinario lo Sparafucile di Gianluca Buratto: la voce è calda, scura, brunita, profonda, la presenza scenica efficacissima. Al suo fianco, nei panni della sexy sorella Maddalena, un’ottima Nino Surguladze, abbigliata al pari delle altre prostitute che frequentano il camioncino dei panini gestito dal fratello, ben caratterizza la figura di una donna spigliata e volitiva: la voce non ha un gran volume, ma gli accenti sono sempre più che appropriati. Fra i comprimari senz’altro degna di nota la Giovanna di Leonora Sofia davvero eccezionale nel tratteggiare l’immagine di una grigia domestica tuttofare dal l’ampio gesticolare e dalla camminata nervosa e frenetica. Poco autorevole e dagli evidenti problemi di intonazione il Monterone di Mauro Corna. Con loro Alessandro Battiato (Marullo), Giacomo Medici (Conte di Ceprano) e Ivan Defabiani (Matteo Borsa).
Bacchetta sicura per Francesco Lanzillotta che ha staccato tempi un po’ distesi e ha cercato di ottenere il massimo di coesione possibile da un’Orchestra Regionale delle Marche che non sempre ha brillato per nitore di suono. Qualche problema di tempi e attacchi anche per il Coro Lirico Marchigiano «Vincenzo Bellini».
Simone Manfredini