Dramma per musica in tre atti su libretto di Pietro Metastasio
Teatro Comunale di Bologna
21 maggio 2013
250° ANNIVERSARIO DALL’INAUGURAZIONE DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
14 MAGGIO 1763 – 14 MAGGIO 2013
Lodevolissima l’iniziativa del Teatro Comunale di Bologna, nel 250° anniversario della sua inaugurazione, di rappresentare l’opera che aprì questo tempio della lirica nella città Felsinea; sulla falsa riga di quello che fece la Scala di Milano in occasione della riapertura.
Peccato però che questo progetto ambizioso e ricco di valore simbolico, in un momento in cui il teatro lirico italiano vede riproporre solo e sempre gli stessi titoli, abbia urtato contro una produzione e un allestimento scadente.
Ma vediamo come, quest’opera, emerge dalle nebbie della storia dopo 250 anni di oblio, spezzato solo da un felice e raffinato allestimento di Massimo Gasparon per il Teatro Rossini di Lugo nel 2001, ma non nella sua versione completa e originale (le parti maschili furono trasportate per baritono e tenore, alcune arie furono semplificate o accorciate, i recitativi spesso tagliati).
Dopo l’incendio del febbraio 1745 che distrusse il Teatro Malvezzi, la città di Bologna promosse la costruzione di un nuovo teatro, il Teatro Pubblico, chiamato poi Teatro Comunale. Fu il primo esempio di teatro dell’opera edificato con fondi pubblici e affittato dalla municipalità. L’edificio venne realizzato su progetto di Antonio Galli da Bibbiena. La municipalità bolognese commissionò al grande Christoph Willibald Gluck un’opera che inaugurasse questo nuovo teatro. Gluck avrebbe preferito utilizzare altre opere di Metastasio, ma i committenti scelsero Il trionfo di Clelia, ritenendolo più adatto al pubblico bolognese per la sua maggiore spettacolarità, grazie alla presenza di scene di particolare effetto come il combattimento di Orazio su un ponte, da cui si getta nel fiume, oppure l’attraversamento del Tevere a cavallo da parte della protagonista Clelia (tutti episodi che nell’allestimento odierno non solo non si vedono ma vengono completamente ignorati in questa non – regia che analizzeremo in seguito). Nonostante il 1762 rappresenti per Gluck l’inizio della sua riforma musicale, Il trionfo di Clelia è un’opera piuttosto convenzionale, ma questo non impedì di riscuotere un enorme successo con ben 28 rappresentazioni successive, grazie anche alle spettacolari scene e ai ricchissimi costumi che furono disegnati dal Bibbiena stesso. Però, vuoi perché lavoro di occasione o per la difficoltà della messa in scena e delle parti vocali, l’opera venne subito dimenticata dai palcoscenici fino al 2001. Il ritrovamento, nel 2007, di un manoscritto bolognese della partitura finora sconosciuto, ha fatto sì che il Teatro Comunale scegliesse di festeggiare con questo titolo questo eccezionale compleanno.
Questo nuovo allestimento è stato affidato alle mani del regista Nigel Lowery e alla direzione del maestro Giuseppe Sigismondi De Risio che, incomprensibilmente, ha scelto di non eseguire l’edizione critica dell’opera (pubblicata recentemente), ma quella del manoscritto ritrovato nel 2007, ritenuta più simile all’originale, ma piena di tagli ai vari numeri dell’opera.
Discutibilissima la regia di Lowery, che ha curato anche la inesistente scenografia. Il giovane regista stravolge completamente l’opera di Gluck, rendendo un incomprensibile insieme di canto e azioni che evidenziano come del testo metastasiano o non si sia capito nulla oppure non si sia voluto rappresentare nulla. La vicenda di Clelia, eroina romana, veniva insegnata fin dai primi anni delle scuole elementari e rappresentava la virtù eroica del popolo italiano stesso. Qui appare solo il vuoto. Secondo le note di regia, Lowery ambienta l’azione in un parallelismo tra il mondo classico e i moti rivoluzionari dei primi decenni del ventesimo secolo. Questo parallelismo non è per nulla evidente e emergono solo alcuni aspetti coreografici che rimandano a certi manifesti di propaganda della rivoluzione culturale maoista. Anche alcuni aspetti pseudo comici che vengo fuori stridono con il testo del libretto e con l’idea drammatico – eroica dell’opera. Molte scelte registiche e azioni dei personaggi sono incongruenti e vorrebbero portare ironicamente al riso lo spettatore in un contesto assolutamente avulso. Ne è risultato un’opera asciutta nel senso più negativo del termine. Nulla trapelava di quell’eroismo, di quella mitologia, di quei riferimenti alla nostra storia di cui l’opera è piena. Queste scremature hanno fatto il loro tempo, ormai sono idee già superate, come lo stesso teatro nel teatro che compare qui. L’idea di avvicinare l’opera al mondo contemporaneo abbruttendola non è certamente una buona ricetta. Peccato che il Teatro Comunale abbia perso un’occasione per ridare smalto a questa produzione che nascerà e morirà in questa occasione, come già lo fu la sua antenata di cui, però, non è nemmeno parente.
Le scene sono praticamente inesistenti, in truciolato che ricorda molto gli arredamenti ikea; lo stesso famoso ponte Sublicio, dove Orazio si getta in mare dopo aver salvato Roma, è un triste accumulo di cartoni. Insignificanti i costumi di Paris Mexis.
Delle scelte del maestro Sigismondi De Risio ne abbiamo già parlato, rimane da dire che, nonostante il direttore abbia già diretto l’opera per una produzione discografica nel 2011, la sua mano era troppo pesante e poco fluida, non riuscendo a differenziare molto le arie nel colore e nello stacco dei tempi. Incomprensibile la scelta di inutili momenti di pausa inseriti a volte tra i recitativi, senza nessuna motivazione plausibile. Alla fine la leggerezza e il colore tipico di Gluck, anche in questa opera pur minore, emergeva ben poco.
Nonostante le difficoltà virtuosistiche dello spartito si sono affidati i ruoli a cantanti dalla voce sostanzialmente modesta.
Brava Maria Grazia Schiavo nel ruolo del titolo. Nonostante qualche inciampo ha saputo affrontare il ruolo con grazia. Buono il volume e gli acuti, che però dovrebbero essere affrontati senza i contorcimenti che ci ha mostrato.
Mary-Ellen Nesi, nel ruolo en travesti di Orazio che fu del famoso castrato Succianoccioli, è stata una delle poche voce emergenti della serata insieme alla Schiavo. È riuscita a rendere con dignità il personaggio con discreti virtuosismi e buona voce.
Valida anche la Larissa di Burçu Uyar, ha dimostrato di essere in linea con il personaggio e ha saputo esprimere al meglio la sua voce.
Inadeguata al ruolo vocale Irini Karaianni en travesti nella parte di Tarquinio.
Deludente Vassilis Kavayias in Porsenna. Troppo acerba la voce del controtenore Daichi Fujiki in Mannio.
Un allestimento che più volte durante la serata ha fatto desiderare una rappresentazione in forma di concerto.
Una pomeridiana con discreto pubblico molto estraniato e poco interessato.
Interpreti
Clelia Maria Grazia Schiavo
Orazio Mary-Ellen Nesi
Larissa Burçu Uyar
Tarquinio Irini Karaianni
Porsenna Vassilis Kavayias
Mannio Daichi Fujiki
Direttore Giuseppe Sigismondi De Risio
Regia e scene Nigel Lowery
Costumi Paris Mexis
Luci George Tellos
Orchestra e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna
Allestimento originale di Et in Arcadia ego nella nuova edizione celebrativa per il 250° dall’inaugurazione del Teatro Comunale di Bologna
Mirko Bertolini