1 giugno 2014. Teatro Lirico, Cagliari
Die Zauberflöte, singspiel in due att. Libretto, Emanuel Schikaneder; musica, Wolfgang Amadeus Mozart
Incantevole gioiello musicale, “Die Zauberflöte” (Il flauto magico) di Wolfgang Amadeus Mozart ritorna al Teatro Lirico di Cagliari (a undici anni dall’ultima rappresentazione) – da venerdì 30 maggio fino all’8 giugno 2014 (con due anteprime e un’originale progetto per le scuole) – nel bell’allestimento firmato da Roberto Andò per il Teatro Massimo di Palermo, ripreso dal Teatro Regio di Torino. «Ho voluto sgombrare il campo, recuperando la leggerezza e la sorpresa, attingendo a quel modello teatrale che voleva in scena attori-cantanti» ha sottolineato il regista siciliano, che ha saputo tradurre la dimensione fiabesca del Singspiel in uno spettacolo prezioso e immaginifico, in cui gli elementi fantastici e magici s’intrecciano con grazia alle riflessioni filosofiche dell’Illuminismo.
L’arte di Mozart dà vita ad un Antico Egitto (re)inventato, in cui si celebra il culto di Iside e Osiride, il mito di amore e resurrezione degli sposi-fratelli figli del Cielo: qui si svolge il romanzo di formazione, e il viaggio iniziatico del pricipe Tamino, cui la misteriosa Astrifiammante, la Regina della Notte, affida il compito di ritrovare e liberare la figlia rapita da Sarastro, promettendogliela in sposa. Insolito compagno di avventure del nobile eroe sarà Papageno, l’uomo-uccello, ciarliero e socievole, amante del buon cibo e del vino, sempre in cerca dell’anima gemella. Armati d’entusiasmo e buona volontà, e di magici strumenti come protezione da pericoli e brutti incontri, il principe, stregato dal ritratto della fanciulla, e il suo buffo amico raggiungono le regioni governate da Sarastro, il re-sacerdote del Sole. Papageno salva Pamina dalle mire dell’infido Monostato, ma è vano ogni tentativo di fuga: i due stranieri dovranno essere sottoposti a riti di purificazione e a varie prove per entrare nel cerchio degli eletti. Solo alla fine i due innamorati potranno riunirsi sotto l’egida della ragione, Papageno troverà la sua Papagena e e il mondo riconquisterà la pace nella conciliazione tra i regni della Luce e delle Tenebre.
“Die Zauberflöte” è una fiaba intricata, densa di simboli e allusioni metafisiche, in cui l’intenzione e l’azione, e il gioco delle passioni si trasfigurano in invenzioni sonore: sulla falsariga del libretto di Emanuel Schikaneder, Mozart ha creato la splendida partitura in cui spicca la vocalità vertiginosa della Regina della Notte, una Cornelia Goetz perfetta nell’intonazione delle celebri arie, da “O zittre nicht, mein lieber Sohn! – Zum Leiden bin ich auserkoren”, sul suo dolore e la disperazione di madre privata della figlia alla stupenda “Der Hölle Rache kocht in meinem Herzen”, terribile invocazione che la trasforma in implacabile dea della vendetta.
La saggezza illuminata di Sarastro trova compimento nel canto rigoroso, con bella pienezza timbrica e una solennità quasi ieratica di Bjarni Thor Kristinsson; e per contrasto la brillante vivacità e la vis comica di Papageno hanno una perfetta incarnazione nell’istrionico Markus Werba, meraviglioso affabulatore in musica e in prosa.
Se il Tamino di Bernhard Berchtold risponde perfettamente ai canoni del futuro eroe romantico, coraggioso e nobile e perdutamente innamorato, l’edizione cagliaritana de “Il flauto magico” regala la magnifica sorpresa di Nadine Sierra, incantevole ed espressiva Pamina, che si rivela eccellente cantante e attrice, interprete intensa e convincente.
Completano il cast l’affiatato ensemble canoro delle tre dame della Regina – Jinkung Park, Lara Rotili e Bettina Ranch; credibile, ironica e giocosa, la Papagena di Francesca Sassu e ben calibrato – tra talento e cattiveria – il Monostato di Kurt Azesberger; Selcuk Cara (oratore, primo sacerdote, terzo sacerdote, secondo armigero) e Rouwen Huther (secondo sacerdote, primo armigero);
Impreziosiscono il cast i tre fanciulli affidati al Tölzer Knaben Chor: Jacob Gopfert, Elias Madler e Valentin Kuchler.
Raffinata e onirica, la mise en scène di Roberto Andò (ripresa da Riccardo Massa) svela le meraviglie dell’opera mozartiana: dall’apertura di sipario quasi in medias res, con lo sventurato Tamino imprigionato tra le spire del drago-serpente, alla composizione dei vari quadri che si susseguono, sapientemente disegnati dallo scenografo Giovanni Carluccio in cui la dimensione fantastica dominata dalla Regina della Notte, che si manifesta in tutta la sua divinità e mistero, si contrappone allo spazio metafisico governato da Sarastro. Identico dualismo nei costumi pensati da Nanà Cecchi, tra cura filologica e sottili rimandi e citazioni, da cui affiorano i differenti livelli di lettura e riferimenti alla temperie culturale settecentesca: le vesti succinte delle tre-dame guerriere si contrappongono all’abito orientalizzante del principe, buffa e senza tempo è la mise di Papageno – come quella della sua amata; preziose son le vesti di Pamina e dei tre fanciulli sapienti; e i simboli della regalità ammantano la Regina e Sarastro, in una chiara contrapposizione dell’oscurità della notte e del sole raggiante e gli adepti al culto di Iside e Osiride, rigenerato in chiave massonica, son avvolti in tuniche e mantelli, drappeggiati come nell’antica statuaria classica.
Le atmosfere ora lievi e sognanti, ora cupamente drammatiche, ma con un sottofondo volutamente fiabesco che risolve quasi in scherzo le ardue prove iniziatiche, e guarisce le ferite dell’animo, son messe in risalto dal disegno luci di Giovanni Carluccio (ripreso da Giuseppe Di Iorio).
La scelta di privilegiare la leggerezza e lo stupore si rivela felicissima: la forza evocativa della musica basta da sola per far materializzare sul palco le creature di un curioso immaginario, in cui il Paese del Nilo si confonde con le raffinate architetture viennesi, e un’antica religione custodisce i semi del pensiero dell’età dei lumi. In un delizioso gioco di dissolvenze, appaiono dal nulla il feroce serpente e le tre dame fiammeggianti, novelle Diane cacciatrici che sconfiggono il mostro salvando la vita all’eroe; alberi e uccelli abitano il regno incantato, compaiono richiamati dal racconto un po’ millantatore di Papageno, e d’improvviso scompaiono all’ingresso dell’Astrifiammante sovrana che incombe sul principe come un astro notturno, proiettando il cupo riflesso di una luce di tenebra. Templi e santuari, sacre porte e esili architetture rappresentano il regno di Sarastro, tra simboli del divino mentre la natura nell’estrema prova ha immaterialità di fuoco e fluidità d’acqua, così come un telo, o una nuvola, in un oscuro turbinio di forme, trascina via la Regina e i suoi complici nell’ultimo atto. La solennità dei riti, e l’inquietudine suscitata dall’ambiguità della Regina – dea spodestata e madre dolente ma anche spietata vendicatrice – si contrappongono al ludico e spensierato atteggiamento di Papageno che rappresenta l’ingenua malizia, squisitamente mozartiana, di un eterno fanciullo (e in questo si esplica felicemente il talento Markus Werba). La rottura della quarta parete e le incursioni in platea dei vari personaggi – Papageno in primis – rendono più movimentata e soprattutto coinvolgente la rappresentazione, già piena di sorprese visive (dall’orrida testa di drago ai fanciulli volanti, fino al beckettiano albero del suicidio a cui un desolato Papageno minaccia di appendersi se neppure una ragazza si accorgerà di lui).
“Die Zauberflöte” – nella versione di Andò, con la direzione musicale di Christopher Franklin che, alla guida dell’orchestra e del coro della Fondazione cagliaritana, asseconda e concede ampio respiro alle voci soliste – restituisce la bellezza della musica di Mozart, apparentemente scherzosa e insieme profonda, mirabilmente scritta e capace di riflettere mutevoli e molteplici stati d’animo, in un colorito affresco di varia umanità. Il Singspiel fonde il carattere popolare e l’arte più raffinata, e coglie lo spirito dei tempi con un’intuizione di futuro: la storia d’amore tra due giovani diventa, nel simbolico contrasto tra luce e tenebre, strumento di redenzione e speranza per l’avvenire sul fondamento delle dottrine illuministe e dei principi della Massoneria. Trionfano l’arte e la filosofia, in un difficile cammino verso la purezza, oltre le tentazioni e le distrazioni del mondo, narrato con tutta la magia – e la poesia – di una antica fiaba.
Sarastro Bjarni Thor Kristinsson
Tamino Bernhard Berchtold
Oratore, Primo sacerdote, Terzo sacerdote, Secondo armigero Selcuk Cara
Secondo sacerdote, Primo armigero Rouwen Huther
La Regina della Notte Cornelia Goetz
Pamina Nadine Sierra
Prima dama Jinkung Park
Seconda dama Lara Rotili
Terza dama Bettina Ranch
Papageno Markus Werba
Una vecchia (Papagena) Francesca Sassu
Monostato Kurt Azesberger
Tre fanciulli Jacob Gopfert, Elias Madler, Valentin Kuchler
maestro concertatore e direttore Christopher Franklin
maestro del coro Marco Faelli
regia Roberto Andò,
ripresa da Riccardo Massa
scene Giovanni Carluccio
costumi Nanà Cecchi
luci Giovanni Carluccio,
riprese da Giuseppe Di Iorio
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
allestimento del Teatro Regio di Torino
(produzione originale del Teatro Massimo di Palermo)
Anna Brotzu