Finalmente il Teatro fiorentino si riscatta producendo un Falstaff degno del titolo. Affidando la regia a Luca Ronconi e la direzione a Zubin Metha era un successo quasi scontato. Ronconi è al suo terzo Falstaff e non finisce di incantare il pubblico con una regia essenziale, crepuscolare, mai grottesca e “caciarona”, ma arguta ed ironica, in cui sir John Falstaff è al crepuscolo della sua vita di bagordi. L’azione è spostata a fine ottocento, periodo abbastanza comune nelle regie di Ronconi, esattamente al 1893, anno in cui l’opera debutta alla Scala. La regia ronconiana si discosta dal classico vedere il Falstaff ma affronta un taglio più drammatico, in cui si percepisce la rivalsa del sesso femminile delle comari di Windsor, allegre perché superiori ai loro ottusi mariti. Ronconi si sbilancia perciò su un lato più drammatico dell’opera a discapito di quello buffo; questo purtroppo è il lato debole di una regia che però si gusta fino all’ultima scena. Scene, opera di Tiziano Santi, che riportano al mondo onirico del Falstaff, semplici teloni bianchi tesi mediante corde e da tre tappeti mobili e funzionali per sottolineare i vari cambi di scena. In questo spazio semplice, quasi ossessivamente statico, una scatola, ogni cosa – peccato per le luci però – assumevano un connotato surrealista e immaginifico, come la vasca da bagno con Alice dentro, la botte/pulpito del dott. Cajus, velocipedi, le locomotive, le oche ecc. Ma poi le pareti composte di telefoni bianchi (neri solo nell’ultima scena) contribuiscono a creare questa dimensione di commedia agrodolce fuori da ogni spazio temporale.
E’ un Falstaff che assiste al suo declino fisico e morale, che vede un mondo correre avanti a lui e non raggiungerlo; è il mondo del progresso e lui, vecchio eroe da osteria, non potrà essere al passo con i tempi e conquistare le audaci comari di Windsor. Ronconi rivela come sempre il suo profondo studio dei personaggi e riesce a darne una nuova lettura, sviscerandone il carattere intrinseco, allontanandosi da cliché ripetitivi. Molto c’è da capire nel non detto di Ronconi, nei costumi, nelle scene e nella posizione dei personaggi: tutto un mondo che ha molto da dire e che si racconta con difficoltà ma altrettanta semplicità. E’ questa la magia della regia di un maestro che da decenni incanta e fa discutere, ma indubbiamente prende e sviscera i significati più reconditi di ogni opera. Un allestimento innovativo ma altrettanto tradizionale, proprio nello stile di Ronconi, che non muta la volontà dell’autore ma la scava e la rende visivamente emotiva e funzionale. Un allestimento che merita ogni minuto e ogni più piccolo particolare. A questa visione si affianca la scelta musicale del maestro Zubin Metha. Poco c’è da dire sulla sua direzione e la guida dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, ogni parola sarebbe superflua e svilirebbe la raffinatezza di un’esecuzione perfetta. Metha ha incantato il pubblico e dato alle note verdiane un colore e una sfumatura unica. Ogni piccolo dettaglio della partitura è stato calibrato e ne è risultata un’interpretazione memorabile rispettosa e genuina. Meritatamente accolto da applausi trionfali, il maestro Metha si dimostra essere uno dei principali direttori contemporanei sulla scena mondiale.
Anche il cast è stato equilibrato; su tutti è emerso – ovviamente – il baritono Ambrogio Maestri, nel ruolo del titolo. Il cantante pavese ha interpretato più di duecento volte il ruolo di Falstaff nei principali teatri del mondo e in questo personaggio ci sguazza a suo agio. Ne risulta un personaggio autentico in cui la voce è generosa e corposa. La grande verve attoriale e il saper cogliere appieno lo spirito del personaggio gli fanno perdonare qualche lieve difetto nei registri acuti. Senza dubbio si può dire che sia il Falstaff di riferimento dei nostri tempi. Prova discreta per Eva Mei che ha interpretato una Alice Ford con poca grinta vocale; da un soprano del suo livello ci si sarebbe aspettato qualcosa di meglio. Ekaterina Sadovnikova non si distingue nel personaggio di Nannetta, la voce non è sempre all’altezza, anche se molto corretta formalmente. Inappuntabile la Mrs. Quickly di Elena Zilio, voce robusta, sicura e matura; convince pienamente e la sua lunga esperienza canora emerge positivamente in ogni nota. Infine l’ultima delle comari, Mrs. Meg, è stata una Laura Polverelli discreta ed elegante. Alessandro Luongo ha dato vita ad un Ford vivace e pienamente nel ruolo, dimostrando sempre un ottimo fraseggio e una tecnica ineccepibile; bella la voce sempre allineata alla direzione musicale: una prova altamente convincente. Più che positivo il giudizio su Yijie Shi; il suo Felton è emerso per la sicurezza di emissione e di registro acuto, voce ben proiettata e ottimo fraseggio. Concludiamo ricordando anche Carlo Bosi, in un ottimo Dr. Cajus, Gianluca Sorrentino (Bardolfo) e Mario Luperi (Pistola).
Teatro esaurito per una rappresentazione – apprezzata dal pubblico – che meritava ogni singolo minuto!
Opera di Firenze, 4 dicembre 2014
Mirko Bertolini