Guillaume Tell. Rossini. Bologna

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Bologna, Teatro Comunale. 8 ottobre 2014

Dopo una pausa di ben 57 anni compare al Teatro Comunale di Bologna il Guillaume Tell di Gioachino Rossini, ultima fatica del genio pesarese. Per la prima volta però in lingua originale. La ripresa della stagione lirica, dopo la pausa estiva, è stata un’occasione per avere il teatro pieno con un parterre delle grandi occasioni; il titolo stesso era un ghiotto richiamo per gli amanti della lirica e non solo: le cinque ore di spettacolo hanno spaventato pochi e fino all’ultimo il pubblico si è mostrato entusiasta del cast vocale ma soprattutto della direzione del maestro Michele Mariotti, che debuttava nel suo nuovo ruolo di Direttore musicale del prestigioso Teatro bolognese. Attesa era pure la regia di Grham Vick, qui ripresa da Lorenzo Nencini, soprattutto dopo le polemiche suscitate sia a Pesaro, dove lo spettacolo ha debuttato nel 2013, sia a Torino. La lettura che Vick fa della vicenda dell’eroe nazionale svizzero è quanto mai originale ed esce dagli schemi classici e tradizionali del melodramma. Il regista inglese, solito a queste letture inusuali, ha concepito uno spettacolo in cui la lotta per l’indipendenza della Svizzera nel XIII secolo è stata sostituita dalla utopica idea socialista di una popolazione oppressa dei primi del novecento, su modello del Terzo Stato di Pelizza da Volpedo oppure del cinematografico Novecento di Bertolucci. Non mancano i pugni chiusi, bandiere rosse, fazzoletti rossi e un clima da guerriglia socialista delle campagne emiliano lombarde dei primi anni del XX secolo. Vick, con l’ausilio delle scene e dei costumi di Paul Brown, mescola poco originalmente le epoche e la vicenda, conferendo ad ogni particolare una scontata simbologia poco pertinente, pur nell’originalità estrema delle scelte. La Svizzera del regista è una cartolina e le vicende sono vissute dai protagonisti come un documentario continuo; gli austriaci invasori poi assumo un aspetto estremamente convenzionale, sono i cattivi perciò sadici, ridanciani, feroci, laidi e sprezzanti delle tradizioni altrui. Gli svizzeri invece rappresentano i buoni, poveri e oppressi, gentili, seri, pudichi ed eccellenti. Non si evince se è una lotta di classe oppure una lotta di popoli, in quanto più di una volta questa commistione tra simbolico e realistico crea parecchia confusione. Si capisce che dietro a tutto c’è un’idea registica molto forte, ma spesso ne sfugge l’intero significato tutto sommerso da una serie di situazioni che necessiterebbero di didascalie per comprenderle, come l’enorme scala rossa che cala dall’alto nell’ultima scena e sulla quale sale il picco Jemmy.

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Il primo atto, dopo la leggendaria Ouverture che rende notissima l’opera, si apre su un impianto di parallelepipedi bianchissimi e pulitissimi, quasi in modo ossessivo, su uno dei quali troneggia a lettere cubitali il motto EX TERRA OMNIA (Tutto viene dalla terra) e l’idea della terra, come cosa materiale più che come patria, è presente in tutta l’opera, anche nelle scarpe dei coristi al secondo atto; oppure terra che è sparsa sul pavimento e che deve essere ripulita e cancellate le tracce perché è un concetto o ideologia pericolosa e deve essere tutto riportato alla purezza artificiale di un mondo nitido e bianco. Questa lettura a senso unico ma di difficile chiarezza vede il culmine nelle danze del terzo atto, opera non molto felice del coreografo Ron Howell, che mischiando danze tradizionali svizzere ma in versione grottesca a movimenti coreografici più anticonvenzionali tenta di sottolineare l’umiliazione di questo popolo agli occhi degli oppressori. La scena è unica e in questa scatola ossessiva poco viene mutato se non alcuni particolari mobili per dare un vago senso del cambiarsi di scena o di luogo.

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Una regia forte e di impatto notevole ma che ha posto in ombra il versante musicale (i vari rumori sul palcoscenico poi non hanno certo contribuito al contrario!), una regia che non emoziona e che non sembra aver capito la connessione tra il libretto e la parte scenico attoriale, gettando sulle pagine rossiniane una freddezza e un distacco che non gli è proprio.

Il maestro Mariotti non delude il pubblico bolognese. Alla guida dell’Orchestra del Teatro, non sempre allineata, non solo convince, ma regala vere pagine di una forza unica, come la meravigliosa ouverture che lascia incantati. Ogni nota e pagina rossiniana è da Mariotti cesellata e riproposta in modo esemplare, galvanizzando il pubblico.

Molto valido il cast della serata. Tra tutti emerge un magnifico Carlo Alvarez nel ruolo del titolo, al debutto nella parte. Il baritono spagnolo non tradisce le aspettative e si mostra fin da subito pienamente nel ruolo, la bella voce è congeniale a Guillaume e la sua bellezza di fraseggio non fanno che rendere il personaggio tra i migliori della serata.

Il tenore Michael Spyres compone un Arnold corretto, senza forzature e senza eccessi, buona la voce, anche se nell’ultimo atto si fa sentire la fatica per la parte difficile e pesante.

Simone Alberghini è un perfetto Melchtal, calato nel personaggio, peccato che il suo ruolo si esaurisca nel primo atto.

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Ottima esecuzione per la Matilde di Yolanda Auyanet. Il soprano canarino, già presente in stagione a Bologna nel Così fan tutte, ha confermato di essere una delle interpreti più valide nel belcanto sulla scena europea. Un incanto la sua voce corposa, morbida e agile, con acuti perfetti e ponderati: ha giustamente meritato più volte applausi a scena aperta e un’ovazione finale.

Mariangela Sicilia è riuscita a dare voce in modo autentico al piccolo Jemmy, con voce duttile, corposa e naturale. Anche il mezzosoprano albanese Enkeleida Shkoza ha dato una prova egregia nel ruolo di Edwige.

Ricordiamo anche le prove decisamente positive degli altri cantanti: Simon Orfila (Walter), Luca Tittoto (Gessler), Alessandro Luciano (Rodolphe), Giorgio Misseri (Roudi), Marco Filippo Romano (Leuthold).

In piena sintonia con il direttore e in forma smagliante il Coro del Teatro Comunale, preparato dal maestro Andrea Faidutti, in un’opera in cui la fa da padrone ed è riuscito a dare, come sempre, il meglio di sé.

Al termine dei quattro atti, con una vera e propria ovazione per i cantanti e per il maestro Mariotti, questi ha chiamato a salire sul palcoscenico non solo il cast ma il coro, l’orchestra e i tecnici dimostrando , finalmente, una coesione non solo di lavoro ma anche di intenti del Teatro bolognese nel far fronte alle difficoltà che la cultura musicale sta vivendo in questo momento in Italia.

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Guillaume Tell                     Carlo Alvarez


Arnold                                   Michael Spyres


Walter Furst                         Simon Orfila

Melcthal                                Simone Alberghini

Jemmy                                   Mariangela Sicilia

Gessler                                  Luca Tittoto

Ruodi                                    Giorgio Misseri

Rodolphe                              Alessandro Luciano

Leutoldo/ Un Cacciatore    Marco Filippo Romano

Matilde                                 Yolanda Auyanet

Edwige                                  Enkeleida Shkoza

 

Direttore                               Michele Mariotti

Regia                                     Graham Vick ripresa da Lorenzo Nencini

Maestro del Coro                Andrea Faidutti

Scene e costumi                   Paul Brown

Coreografia                          Ron Howell

Luci                                       Giuseppe Di Iorio 

 

Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna     

Allestimento del Rossini Opera Festival di Pesaro in coproduzione col Teatro Regio di Torino

 

Mirko Bertolini