Il teatro…è un museo? Giulio Cesare in Egitto di Handel. Torino

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Adalberto Ruggeri

Non desta grande meraviglia il fatto che un teatro come il Regio di Torino, ad oggi tra le più rilevanti istituzioni nel panorama artistico internazionale, programmi un’opera di un repertorio finora poco frequentato come quello barocco, quasi come per adeguarsi ed uguagliare quella normale programmazione di titoli che oramai in molti teatri d’Europa ha da tempo preso piede, destando il giusto favore e il meritato entusiasmodel pubblico. La scelta per intraprendere questo nuovo progetto non poteva non cadere su uno dei titoli più apprezzati del Settecento operistico – il Giulio Cesare in Egitto di Händel – e la riuscita edizione – soprattutto musicale – ha confermato quanto questo genere ormai non sia più un privilegio degli stranieri, ne sulla scena, ne tanto meno tra il pubblico.

Il Teatro Regio è riuscito infatti a creare una grande aspettativa sullo spettacolo sia per il cast assemblato, dominato da due esperte del canto barocco – Sonia Prina e Sara Mingardo – , ma in cui spiccava la grande curiosità per il debutto nel genere di una belcantista come Jessica Pratt; sia per il direttore d’orchestra, Alessandro De Marchi, tra i più stimati musicisti del panorama internazionale; sia per la curiosità di vedere dal vivo una produzione già immortalata dal video e quindi ormai conosciutissima, di un rinomato regista attivo soprattutto all’estero – Laurent Pelly – e realizzata nel 2011 all’ Opera Garnier di Parigi.

Considerata tra le migliori opere composte da Händel, il Giulio Cesare in Egitto gode di enorme prestigio innanzitutto per la sua grandiosa scrittura vocale – un numero copioso di arie sia alterna armonicamente ai recitativi -, come anche per la sua maestosa orchestrazione e per il suo straordinario impatto drammatico. E’ un’ opera di ambientazione esotica – la vicenda, ambientata ad Alessandria d’Egitto, prende le mosse dalla storica campagna compiuta da Cesare del 48- 47 a. C. – in cui Handel coglie perfettamente sia gli aspetti pubblici, con lo scontro tra due culture differenti – la secolare civiltà egizia contrapposta a quella romana -, sia gli aspetti più intimi e privati. I sentimenti, i moti dell’anima, le passioni umane, espressi certo non dalla parola, ma dalle astratte acrobazie canore dei personaggi la cui voce diviene strumento, non sono mai stati delineati cosi vivi e pregnanti, ed oltre a far brillare il virtuosismo degli interpreti, definiscono inaspettatamente anche caratteri a tutto tondo, con una gerarchia tra i rapporti dei singoli personaggi ben raffigurata.

In questa produzione Pelly e lo scenografo Chantal Thomas, inspirandosi forse al film “Una notte al museo” di Shawn Levy, ambientano l’azione nei magazzini di un museo, in cui i reperti egiziani e romani prendono vita, diventando in chiave ironica i personaggi della drammaturgia handeliana. La storia raccontata rimane sostanzialmente la stessa e lo spettacolo cosi com’ è costruito scorre in modo naturaleper tutte le quattro ore e più dell’opera. La decisione però di descrivere in maniera spiritosa i personaggi, trasfigurando a volte la musica in una sorta di parodia involontaria, rende ridicolo il libretto e si scontra con le esigenze del canto. Questo diverso approccio estetico, che quindi non prende mai troppo sul serio, anzi altera le sfaccettature dei protagonisti, priva gli equilibri musicali e drammatici della loro struttura originale, non porta nessun beneficio e ancor prima rispetto alla poetica barocca, tradisce l’autore ed ancor più imbroglia il pubblico.

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La compagnia di canto che deve allinearsi a questa lettura, ne subisce suo malgrado le conseguenze. Ne soffre in particolar modo il ruolo del protagonista, a cui Händel , avendo la disponibilità del Senesino, donò una complessa produzione vocale ed espressiva della massima varietà. Sonia Prina tratteggia di conseguenza un Giuilo Cesare senza nobiltà e aplomb, risolvendo il personaggio con tratti e atteggiamenti a volte più appropriati ad un’opera di mezzo carattere che ad un nobile patrizio. Avendo affrontato però il ruolo in teatro più di una volta, riesce a compensare un’ interpretazione non perfettamente centrata con una vocalità sicura e precisa, forte di un colore brunito – ancora freddo nelle prime battute, poi però prontamente ripresosi nel volume – di una coloratura rapida agile e graffiante, di una certa duttilità nel fraseggio barocco, variato sempre con classe.

Jessica Pratt interprete ormai di riferimento per caratteristiche vocali, gusto e formazione in opere di Rossini, Donizetti e Bellini, si è misurata per la prima volta con il ruolo scritto per Francesca Cuzzoni, una delle primedonne della Londra handeliana e conosciuto poi in epoca moderna tramite le interpretazioni di Joan Sutherland, Beverly Sills e Gianna Rolandi. Proprio su questi gloriosi modelli, notevole era l’attesa di sentire finalmente una Cleopatra cantata non da una voce filiforme specialista del repertorio barocco, ma da uno strumento sontuoso di soprano lirico puro, come quello che la Pratt possiede, capace di risolvere agevolmente le mille insidie della scrittura haendeliana, che richiede notevole sicurezza sia nel canto virtuosistico che in quello legato. Tutte doti puntualmente emerse in sede di esecuzione da parte del soprano australiano, a cui a volte però ha fatto difetto un gusto eccessivamente romantico, poco astratto nell’espressione. Anche le variazioni delle arie in sede di daccapo – tra tutte la celeberrima “Da tempeste il legno infranto” vero e proprio simbolo, nonché summa del canto barocco – insistite giustamente in acuto, zona in cui la voce della cantante ha la sua massima espansione, facilità e potenza – , sono state risolte con ornamentazioni fantasiose e spericolate, poco consone e al personaggio e alla scrittura dell’epoca, disturbando cosi la perfetta simmetria musicale handeliana. Un’estraneità quindi più che altro in termini di stile, in una prova per inciso pregevole, da parte di una delle cantanti attualmente più autorevoli dell’attuale panorama lirico.

Sara Mingardo veterana del repertorio barocco ha proposto la sua Cornelia già applaudita in prestigiosi palcoscenici. Forte di un’ omogeneità vocale, di un legato perfetto e di una espressività elegiaca, ha tratteggiato una dama di rango solenne, altera e dolente, espressione di un canto che, per intrinseca qualità e rigore di aderenza stilistica, si colloca ai vertici di un’ eccellenza esecutiva, nonché modello di canto haendeliano. Toccante l’armonia della sua voce in coppia con quella di così diverso colore di Maite Beaumont –interprete di Sesto – nel duetto “Son nato a lagrimar”. Beaumont che però è risultata nel complesso troppo generica e avara di colori, al di la di qualche accento inutilmente veemente e che forse si sarebbe potuta ammirare di più in una sala meno vasta come quella del Regio.

Secondo la tradizione oggi ampiamente consolidata, che prevede di affidare agli attuali controtenori i ruoli composti e pensati per i grandi castrati del passato, a Torino si è scelto di assegnare a due falsettisti i personaggi più di carattere di Tolomeo e di Nireno. Il controtenore Jud Perry , nella parte scritta per il castrato Brenstadt , anche se penalizzato anche lui dalla regia che ne mostra a una personalità più isterica che regale, figura molto bene nei panni del re egizio, con una tecnica solida, ottime capacità espressive ed interpretative. A questo falsettista si è affiancato quello di Riccardo Angelo Strano, dalla voce meno timbrata rispetto a quella del collega, ma efficace nel ruolo di Nireno, caratterizzato soprattutto per la sua presenza scenica pantomimica.

La locandina era completata da Guido Loconsolo, un Achilla dalla prestanza scenica autorevole, la cui voce però ben timbrata è risulta inadeguata allo stile barocco, che si vorrebbe meno grossolano e da Antonio Abete corretto nei suoi interventi.

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Questa edizione di Giulio Cesare in Egitto merita di essere ascoltata soprattutto per la magistrale lettura musicale di Alessandro De Marchi, grande esperto di filologia e di prassi esecutiva barocca. Dal gesto sempre eloquente, il maestro è riuscito a coinvolgere nel suo mondo l’orchestra semplicemente meravigliosa del teatro Regio, qui chiamata ad un compito atipico ed integrata appositamente da strumentisti non presenti normalmente in organico – tiorbe, corni naturali, trombe barocche – dell’ Academia Montis Regalis. Grazie ad una morbidissima stratificazione dei piani sonori, preferita da De Marchi a certe spigolosità care ad altri interpreti di questo repertorio, è risultata pertanto un’ esecuzione di rilievoper l’ agogica mobilissima, per i colori contrastanti, per l ‘ estrema attenzione al rapporto buca– palcoscenico, per la cura costante dell basso continuo – incastonato all’interno del disegno musicale globale – e nel complesso per una coerente lettura d’insieme della laboriosa e lunga partitura.

Acclamato giustamente al suo rientro sul podio al terzo atto e alla fine dell’opera dal numeroso pubblico, il maestro ha coinvolto nel successo generale tutta la compagnia – con apprezzamenti particolari per la Pratt e la Mingardo e alcune contestazioni per il team registico – significativo di uno spettacolo che merita senza dubbio attenzione.

Giulio Cesare Dramma per musica in tre atti
Musica di Georg Friedrich Händel. Libretto di Nicola Francesco Haym

Direttore d’ orchestra: Alessandro De Marchi. Regia e Costumi: Laurent Pelly. Regia ripresa da: Laurie Feldman. Scene: Chantal Thomas. Luci: Joël Adam. Maestro del coro: Claudio Fenoglio.

Personaggi ed Interpreti: Sonia Prina (Giulio Cesare). Jessica Pratt ( Cleopatra). Sara Mingardo ( Cornelia). Maite Beaumont Tolomeo. Jud Perry (Tolomeo). Guido Lo Consolo (Achilla). Riccardo Angelo Strano (Nireno). Antonio Abete (Curio ). Orchestra e Coro del Teatro Regio. Allestimento Opéra national de Paris Teatro Regio Di Torino., 20 Novembre 2014.