Modena, Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”
Sul percorso della romana via Emilia, che attraversa diagonalmente la pianura padana e la regione Emilia Romagna, considerata a ragione l’area più “operistica” d’Italia, si affacciano città ricche di storia anche musicale, con teatri importanti, edifici storici, autentici gioielli architettonici. Modena, città che diede i natali tra gli altri a Luciano Pavarotti a cui ora è intitolato l’ottocentesco Teatro Comunale, sala all’italiana capiente di circa 900 posti, occupa una posizione centrale. Vi si offre una stagione ricca, non solo di titoli d’opera (sei titoli nel corso nell‘edizione 2013/14), ma pure un fitto susseguirsi di concerti, ben dieci balletti con ospiti prestigiosi, tra cui la compagnia Nacional de Danza spagnola, tre titoli di Musical, una nutrita attività di diffusione didattica destinata alle scuole e spettacoli per giovani e per le famiglie.
E poi c’è chi pensa che in Italia non si fa cultura musicale o, peggio, che questa non sia una delle nostre tradizioni più radicate e vincolanti anche alla presenza di italiani nel mondo!
Alcuni spettacoli sono creati in loco. Altri importati dai circuiti italiani, quello emiliano specialmente, costituiscono cooproduzioni con prestigiose fondazioni. E’ il caso della mozartiana La clemenza di Tito, a cui si è potuto assistere ad una recita domenicale. Ultima fatica teatrale del “Divino Salisburghese”, su libretto di Caterino Tommaso Mazzolà, abile adattamento del più prolisso originale del Metastasio. La produzione ha debuttato al prestigioso Teatro Petruzzelli di Bari ed è nata in cooproduzione, appunto, coi teatri di Modena e della vicina città di Reggio nell’Emilia. Si tratta di un pregevolissimo lavoro firmato per la regia da Valter Pagliaro, che ci offre immagini di compostezza neoclassica, affini all’epoca in cui si sviluppa la vicenda, ma filtrate in un’ottica “illuministica” settecentesca, dove i rapporti umani tra i personaggi non sono esclusi, ma anzi sottolineati ed esaltati. Bellissima la scena, praticamente fissa, e fastosi i costumi di Luigi Perego, il quale con ammirevole inventiva immagina capovolta la cupola del romano Panteon – di cui a lato della scena si ammira un modellino ligneo- costituita da una sorta di boiserie articolata con botole e scale, e sovrastata da un colonnato praticabile. Elementi utilissimi per agevolare il ritmo narrativo incalzante della vicenda, che culmina alla fine del primo atto con l’incendio di Roma. Le luci di Andrea Ricci hanno segnato un altro punto a favore nel rendere suggestivo uno spettacolo tradizionale, ma non convenzionale.
Ammirevole la prestazione del coro Lirico Amadeus, formazione raccolta per la Fondazione all’uopo e diretta con cura da Stefano Colò. Ottima l’orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, che si è prodotta in una prova rifinita e limpida nella pulizia del suono, con bella evidenza negli interventi solistici dei vari strumenti. Lode in primis al Maestro Eric Hull, che con Mozart ha affinità elettive e che ha mantenuto, oltre che l’ideale rapporto col palcoscenico, dove le voci sono state sempre agevolate, un ritmo incalzante senza trascurare i colori, le nuances, che la musica sublime espande copiosamente.
Il palcoscenico poteva vantare un gruppo di artisti, preparati e musicalmente perfetti, di grande omogeneità. Iniziando dal protagonista, il tenore siciliano Paolo Fanale, dalla figura elegante e dall’incedere nobile nella postura “imperiale”, come si confà, del resto, ad un regnante nell’antica Roma. Il suo canto, prezioso di un timbro piacevole e maschio, è di grande respiro nella perfetta scansione della parola cantata, per la cura del fraseggio, qualità che emergono soprattutto nei bellissimi recitativi accompagnati che il ruolo presenta generosamente. A conclusione delle sue tre arie, in specie nella lunga scena del secondo atto magnificamente vocalizzata, ha ricevuto un meritato e prolungato applauso. Così pure è assai piaciuto Sesto, il personaggio più tormentato psicologicamente dell’opera, cantato con grande e realistica partecipazione dal mezzosoprano Gabriella Sborgi, voce ambrata, vellutata dalla bella discesa nel grave e squillante in acuto. Ha reso appieno la complessità sia vocale che interpretativa spiccando nella celebre scena del primo atto “Parto, parto!” pure accolta da una risposta entusiastica di tutta la sala. Poderosa pure la passionale e vendicativa Vitellia, motore e causa della vicenda, cantata con foga veemente dal soprano Teresa Romano, la quale ha saputo quasi sempre imbrigliare la rigogliosa e gagliarda vocalità a fini espressivi, dando un’immagine forte e precisa della volitiva e cinica principessa. Il temibile rondò “Non più di fiori vaghe catene” le ha garantito l ‘apprezzamento del pubblico. Gli altri ruoli, certo meno impegnativi nell’economia dell’opera, non sono certo marginali né, tanto meno, facili: sono stati resi con ottimi risultati dal valente basso Valerio Caradja, Publio, dal soprano armeno Ruzan Mantashyan, soave Servilia e dal mezzosoprano Aurora Fagioli, perfetta e puntuale nel ruolo del fedele Annio.
Alla recita di domenica 9 febbraio il teatro offriva un consolante “tutto esaurito”, con molte presenze di melomani giunti anche da fuori sede, il ché in Italia e per Mozart non è poi sempre garantito. Un’affluenza notevole e molto partecipe, quella di tanti giovani. Da un palco di prima fila l’illustre concittadina Raina Kabaivanska ha seguito con attenzione quanto avveniva in palcoscenico. Quasi a coronare, lei regina della scena, una splendida festa musicale.
LA CLEMENZA DI TITO
Tito Vespasiano Paolo Fanale
Vitellia Teresa Romano
Servilia Ruzan Mantashyan
Sesto Gabriella Sborgi
Annio Aurora Faggioli
Publio Valeriu Caradja
Direttore Eric Hull
Regia Walter Pagliaro
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Andrea Ricci
Maestro del coro Stefano Colò
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro Lirico Amadeus-Fondazione Teatro Comunale di Modena
Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Allestimento della Fondazione Lirico-Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari
Horacio Castiglione