Lady Macbeth del Distretto di Mcensk di Shostakovich. Recensione da Bologna

Lady Macbeth del distretto di Mcensk_ _I4Q2502_ph_Rocco_Casaluci_2014

Quando la discussa opera di Shostakovich, Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, arrivò per la prima volta a Bologna nel 1968, arrivò con il nome di Katerina Izmaijlova, titolo della versione corretta per la censura sovietica. Ora, dopo oltre quarant’anni, il pubblico bolognese ha potuto ascoltare per la prima volta la versione originale del 1932 della Lady Macbeth del Distretto di Mcensk, quella versione che spiacque allo stesso Stalin e che fece cadere in disgrazia l’autore presso il regime sovietico. L’allestimento che ora presenta Bologna proviene dal Teatro Helikon di Mosca, con cantanti madrelingua russi, per la regia di Dmitry Bertman, uno dei maggiori registi russi contemporanei, che per questa sua produzione ha meritato di vincere il Golden Mask Award. Un’opera degna del più acuto espressionismo, ha una trama che riporta nel verismo più spinto. Una trama torbida, degna della cronaca nera: una donna sposata, nella Russia zarista del XIX secolo, si innamora di un servo del suocero gretto e violento; i due amanti uccidono prima il suocero e poi il marito ma, scoperti, finiscono deportati in Siberia. Lì il servo Sergey si innamora di un’altra prigioniera; umiliata e ferita, la Lady (Katerina) si annega nel fiume ghiacciato portando con sé la rivale. Bertman sposta la vicenda in epoca senza tempo, contemporanea, in cui il ricco possidente agricolo Boris si trasforma in un industriale senza scrupoli e il figlio Zinovy un debole e molliccio figlio di papà. La scena diIgor’ Neznyj è cupa, come la storia d’altra parte, e si sposta in un sotterraneo industriale, una caldaia, con tubi e ventole di aerazione, in cui i braccianti si trasformano in aitanti operai seminudi sporchi di olio di macchina e le contadine in cameriere procaci. La regia riesce ottimamente a cogliere e ad insistere sul lato erotico della vicenda, sulla passione che travolge Katerina e Sergey, ma anche quella smania erotica che muove ogni singolo personaggio, a partire dal vecchio Boris fino a ogni singolo bracciante/operaio. Gabbie reali e immaginate o create da improponibili sedie di ferro sono le gabbie in cui Katerina è costretta a vivere per la crudeltà di una società che le è ostile, una società maschilista e machista, ma sono anche le gabbie della prigionia in cui verrà condotta per i suoi delitti. Bertman sembra ovviamente parteggiare per la protagonista e scusare il suo adulterio con Sergey e utilizza il coro in modo spettacolare per questo turbinio di passioni, come nel vortice delle frustate all’adultero. Una regia che, però lascia perplessi in alcuni punti, rivelando una caratura extraeuropea che ci è estranea. L’intervento del Balordo che canta servendosi di un microfono amplificato a mo’ di cantante rock non solo ci spiazza ma ci fa riflettere sul dove può arrivare una regia. Oppure il finale in cui la morte della protagonista è solo un duello di sguardi tra le due rivali… un passo a due letale che però non sembra finire. Un allestimento decisamente forte in cui non solo gli amplessi espliciti emergono ma anche una caratterizzazione esemplare e profonda dei personaggi viene sollecitata agli sguardi degli spettatori. Una regia che lascia pochi non detto ma riesce a trasformare la protagonista in un’autentica eroina del noir, nel suo voluttuoso abito rosso dei primi due atti e che poi verrà indossato dalla rivale nell’ultimo. Una regia che è piaciuta per la sua forza e per la sua crudezza e per avere portato in scena il vero personaggio di Shostakovich.

Lady Macbeth del distretto di Mcensk_ _I4Q2235_ph_Rocco_Casaluci_2014

Vladimir Ponkin ha dimostrato di conoscere fino in fondo la partitura dell’opera, traghettando in modo esemplare l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna in pagine difficili e di alta musicalità. Ponkin è riuscito ad esprime al meglio la violenza e la forza della partitura di Shostakovich, nella sua sensualità graffiante e irruenta.

Il secondo cast in cartellone ha dato una prova di sicurezza e di vocalità adatta ai ruoli, dimostrando, non solo di conoscere bene l’opera, ma di riuscire a penetrarne i minimi particolari. Svetlana Sozdateleva è stata una Katerina seducente e languida, la voce piena e corposa le permette di dare vita ad un personaggio credibile e intenso. Ilya Govzich è un Sergey sicuro di sé, maturo nella voce, un macho seduttore e opportunista. Dmitry Skorikov è un perfetto Boris, il suocero, un perfetto basso russo con una vocalità adatta e possente. Dmitry Ponomarev riesce perfettamente nel ruolo dell’imbelle Zinovy, più per le doti attoriali che per la voce. Ksenia Vyaznikova è un’ammaliante Sonyetka, dalla voce intensa e ricca di coloritura. Maya Barkovskaya è una brillante e vocalmente riuscita Aksin’ya e nel dublice ruolo di una forzata. Alexandr Miminoshvili (il sergente) e Stanislav Shvets (nel prete e poi in un forzato) hanno dato prove veramente notevoli per voce e capacità attoriali. Nikhail Seryshev è il bravo Balordo che irrompe alla festa nuziale come rocker. Bravi anche tutti gli altri numerosi comprimari.

Nota veramente di merito al Coro del Teatro Comunale, preparato dal maestro Andrea Faidutti, non solo per avere ottimamente cantato in russo, ma per avere dato prova di grandi attori poliedrici: una prova che dimostra ancora una volta delle capacità eccezionali di questo coro.

Lady Macbeth del distretto di Mcensk_ _I4Q2972_ph_Rocco_Casaluci_2014

Un allestimento che meritava, un’opera che meritava, cantanti che meritavano ed infatti il pubblico presente ha tributato applausi e ovazioni a tutti meritatamente. Purtroppo il pubblico bolognese ha dimostrato ancora una volta di non sapere apprezzare tutto ciò che esula dai titoli più gettonati del melodramma italiano, troppi posti vuoti! Una grande nota di merito per il Teatro Comunale che ha saputo osare nel proporre questo titolo, nella speranza che ci siano altre sorprese negli anni futuri.

 

Teatro Comunale di Bologna, 5 dicembre 2014

 

Mirko Bertolini