Milano, Teatro alla Scala. 31/04/2014 Les Troyens di Hector Berlioz Grand-Opéra in cinque atti Libretto di Hector Berlioz Un trionfo assoluto è risultata essere la messa in scena di Les Troyens, merito in primis di Antonio Pappano che è riuscito a suscitare entusiasmi da tempo sopiti nel teatro milanese. Grande pregio del maestro anglo-italiano è la sua capacità nel tenere l’orchestra compatta come se a suonare fosse un unico strumento, come compatta allo stesso modo risulta essere la sua lettura della partitura, un continuo fluire in cui non si nota mai un stacco fra le varie parti. Maggior merito se questo avviene per un grand-opera di quasi 5 ore (che il maestro ha voluto rappresentare per intero) in cui si alternano vari momenti delle volte senza una vera soluzione di continuità. Il risultato è magico in un continuum di melodie in cui lo spettatore si perde come naufragando dentro quel mare che rappresenta uno dei grandi temi di questa messa in scena. Ma soprattutto è sua la grande capacità di saper far suonare l’orchestra in funzione dei cantanti, modulando il suono ed i tempi in base alle esigenze di ognuno, non solo dei protagonisti ma anche dei comprimari. Esemplare in questo il modo in cui ha accompagnato Paolo Fanale nell’aria di Hylas con cui si apre l’ultimo atto. L’aria risulta bassa per il registro di Fanale, che possiede una pregevole voce di tenore lirico, ma grazie all’accompagnamento di Pappano, è riuscito a fornire un’ottima prova anche nelle note gravi, quasi baritonali. L’orchestra scaligera ha raggiunto vette che da molte stagioni non si erano ascoltate. Ci si domanda come possa essere possibile che questa sia la prima volta in cui Pappano abbia diretto un’opera in questo prestigioso teatro, visto che sono ormai più di 10 anni che si è affermato come una delle primissime bacchette a livello mondiale. Le scene di Es Devlin, grazie anche alle straordinarie luci di Wolfgang Göbbel, hanno impressionato per la loro spettacolarità, ma anche per l’efficacia nel rendere appieno la vicenda. Se nella prima parte dell’opera, quella della caduta di Troia, dominavano le indistruttibili mura di Ilio, cupe e metalliche, che si aprivano e si chiudevano facendo vedere ciò che accadeva all’interno ed all’esterno delle mitiche Porte Scee, nel momento trionfale dell’ingresso del cavallo, nella seconda parte, ambientata in Cartagine, meno movimentata e molto più intimistica della precedente, prevaleva l’ambientazione esotica, ispirata all’iconografia arabeggiante dell’epoca di Berlioz.
In queste scene efficaci, la regia di David McVicar è stata molto suggestiva e di una forza tale, rara da vedere di questi tempi. Soprattutto si notava come McVicar era pienamente padrone del capolavoro virgiliano da cui è stata tratta l’opera, tanto da riuscire a rendere appieno le suggestioni dell’Eneide nonostante la vicenda fosse trasportata in periodo del secondo impero Napoleonico, come facevano intuire i bei costumi realizzati da Moritz Junge. Se poi ad una regia di questo livello si somma come Cassandra Anna Caterina Antonacci, il miracolo è assicurato. La Cassandra dell’Antonacci è stata di una tale intensità sia scenica che vocale, da far pensare che Berlioz abbia creato questo personaggio proprio per lei. La sua capacità di dominare la scena, unita alla sua eccellente tecnica vocale hanno fatto di lei una delle grandi trionfatrici dello spettacolo. La sua interpretazione è risultata talmente intensa da renderla preponderante pure nei momenti in cui il personaggio non canta. Per esempio nella scena in cui si aggira attorno ed Andromaca ed Astianatte preveggendo l’orrenda sorte del fanciullo. Un crescendo da brivido grazie al suo incisivo fraseggio, ha reso appieno tutti gli stati d’animo di questa eroina, uno dei capisaldi della tragedia classica: dalla consapevolezza, alla rassegnazione fino alla danza di menade folle con cui si consegna alla morte. Il tutto segnato da una femminilità quasi animalesca. La sua uscita alla ribalta per gli applausi alla fine della prima parte, “La prise de Troie”, ha scatenato l’entusiasmo del pubblico che le ha decretato un meritato trionfo assoluto.
Eguale successo ha avuto Daniela Barcellona, che ha interpretato il personaggio della triste regina di Cartagine Didone, vittima sacrificale della spietata madre di Enea, la dea Venere. La Barcellona, che debuttava il personaggio, ha dato vita ad una splendida regina, piena di conflitti interiori. La sua voce è risultata adattissima al personaggio, di un calore straordinario e di un eccellente duttilità; capace di passare dalla gioia iniziale, al turbamento, alla passione fino al tragico finale: una delle pagine più note e più belle della letteratura mondiale. Daniela Barcellona ha reso il personaggio con una tragica femminilità ed una poesia meravigliose, aderendo idealmente e come capita di rado al testo ed alla musica. Le è riuscito di trasmettere commozione vera al pubblico, che alla fine della seconda parte, “Les Troyens à Carthage”, le ha tributato una grandissima ovazione.
Accanto a queste due eccellenti interpreti, Gregory Kunde ha dato vita ad un grandissimo Enea. In questo scabroso e acutissimo ruolo, che alla Scala rivestì per primo Mario Del Monaco eseguendolo ai tempi in italiano, Kunde è oggi probabilmente il tenore migliore a disposizione. Possiede una solidità vocale impressionante unita ad un carisma da far si che sul palco sia sempre una luce ed un punto di riferimento. Sfolgorante nell’acuto, che incredibilmente rimane splendente ad un’età in cui molti suoi colleghi hanno iniziato da tempo il percorso del viale del tramonto, il suo esempio non finisce di stupire. E ciò si somma al rispetto assoluto della nota, ad una musicalità adamantina. Nell’ascoltarlo si capisce che per suscitare l’entusiasmo del pubblico non è necessario emettere urla, ma basta semplicemente saper cantare bene, cosa che il tenore americano riesce spontaneo e con naturalezza. In più il suo sodalizio con Pappano, dopo lo straordinario Peter Grimes, con cui i due hanno inaugurato la stagione di Santa Cecilia, risulta essere estremamente proficuo.
Qui ha reso il personaggio dell’unico eroe troiano che, essendo figlio della dea dell’amore, “Non può morire”, in maniera superlativa. Bellissimo il duetto d’amore del quarto atto con la Barcellona, cantato da entrambi con suadente delicatezza, così come struggente è stato l’arioso in cui annuncia la partenza da Cartagine, sottolineato da un’autentica e prolungata ovazione. Accompagnati dalla grandissima bacchetta di Pappano, si sono avvantaggiati tutti, anche nei ruoli minori. Prima fra tutti Paola Gardina nel ruolo del giovane Ascanio, figlio di Enea, nipote di Venere e progenitore della Gens Julia da cui un giorno sarebbe disceso Augusto, per onorare il quale la stessa Eneide fu scritta. La Gardina è stata assai credibile scenicamente in questo ruolo en travesti; alla voce adatta al ruolo si è sommata pure un’insospettabile abilità di ballerina, visto che nel quarto atto la coreografa Lynne Page ha ideato delle danze in cui Ascanio è sostituito, per volere della sua immortale nonna, in Cupido armato di frecce saettate per far innamorare la restia Didone. Buona la prova di Fabio Capitanucci nel ruolo di Corebo, l’innamorato e sfortunato fidanzato di Cassandra. Ottime le prestazioni di Giacomo Prestia, autorevole Narbal, di Alexandre Duhamel, sonoro Penteo e di Shalva Mukeria, lirico Jopas. Maria Radner, Anna sorella di Didone, possiede voce di soprano quando il ruolo risulterebbe addirittura da contralto. Ovviamente è parsa troppo leggera per il personaggio che però ha realizzato con un’apprezzabile tenuta scenica. Cupo ed inquietante, come dev’essere, Deyan Vatchkov ha dato vita all’ombra di Ettore. Al citato Paolo Fanale, nel cameo-rol di Ilias, vanno aggiunti Mario Luperi, Priamo, Ernesto Panariello, un capo greco, Oreste Cosimo, Heleno, Guillermo Esteban Bussolini, primo soldato troiano, Alberto Rota, secondo soldato troiano, Luciano Andreoli, un soldato, Emidio Guidotti, il dio Mercurio e l’attrice Sara Catellani, Polissena.
Menzione speciale a Elena Zilio, che in quest’edizione rivestiva i regali abiti di Ecuba, ricordando nella gestualità l’imperatrice Eugenia del Secondo Impero francese, mentre nella precedente edizione fu un impagabile Ascanio. Ruolo che fu interpretato anche dalla giovane Cossotto quando Didone era nientemeno che Giulietta Siomionato. Molto belle le coreografie di Lynne Page che hanno ottenuto il primo applauso a scana aperta grazie pure all’ottimo corpo di ballo a cui si sono uniti dei mimi particolarmente atletici ed altrettanto ottimi attori. Straordinario il coro, preparato da Bruno Casoni, che in quest’opera assurge al ruolo di autentico protagonista, cantando in apertura la gioia dei Troiani, che possono finalmente uscire dalle Porte Scee, per la creduta fuga dei Greci e nel finale la maledizione e l’odio eterno dei Cartaginesi, assiepati attorno alla pira di Didone, verso la stirpe di Enea. Quasi cinque ore di musica, dalle 17.30 alle 23 passate, contando i tre intervalli, che hanno inchiodato il pubblico alle poltrone. Fortunato chi ha avuto modo di assistervi: speriamo che in futuro spettacoli del genere, finalmente di livello scaligero, possano essere la regola. Per finire in modo campanilistico sono felice che un tale trionfo sia avvenuto con un’opera che rappresenta uno dei punti più alti della musica francese e il cui tema portante ruota sulla parola: “Italie!”
Enée Gregory Kunde Chorèbe Fabio Capitanucci Panthée Alexandre Dudamel Narbal Giacomo Prestia Iopas Shalva Mukeria Ascagne Paola Gardina Cassandre Anna Caterina Antonacci Didon Daniela Barcellona Anna Maria Radner Hylas Paolo Fanale Priam Mario Luperi Un chef Grec Ernesto Panariello L’ombre d’Hector Deyan Vatchkov Hèlénus Oreste Cosimo 1er soldat Troyen Guillermo Esteban Bussolini 2eme soldat Troyen Alberto Rota Un soldat Luciano Andreoli Le Dieu Mercure Emidio Guidotti Hécuba Elena Zilio Direttore Antonio Pappano Regia David McVicar Scene Es Devlin Costumi Moritz Junge Luci Wolfgang Göbbel Coreografia Lynne Page Orchestra e Coro del Teatro alla Scala di Milano Nuova produzione In coproduzione con Royal Opera House, Londra; San Francisco Opera e Wiener Staatsoper
Domenico Gatto