Palermo, Teatro Massimo. 25/06/2014
Norma
Tragedia lirica in due atti. Libretto di Felice Romani. Musica di Vincenzo Bellini
Entrato in teatro per assistere alla Norma di Bellini, ultimo titolo in programma al Massimo di Palermo prima della pausa estiva, vengo accompagnato al mio posto in fondo alla platea, poco prima che si spengano le luci. Subito dopo l’ingresso del maestro Will Humburg ed un istante prima che inizi la sinfonia, una signora agitatissima si accomoda nel posto avanti il mio, iniziando subito ad armeggiare con la borsa. Tirato fuori il suo telefonino e comincia ad inviare messaggi e ad un certo punto accenna ad una chiamata, tanto che la maschera si avvicina e le chiede di accomodarsi fuori. Nell’alzarsi le cadono le chiavi sotto la poltrona, inizia quindi a cercarle, ma siccome il telefono vibra esce con passo svelto fuori dalla platea. Rientra qualche minuto dopo e si rimette a cercare le chiavi; trovatele, si riaccomoda al suo posto armeggiando ancora con il cellulare. Io e la mia vicina di posto ci guardiamo attoniti: la nostra percezione dell’ouverture e’ stata irrimediabilmente disturbata e compromessa. La maschera torna a richiamarla ed alla signora cade finalmente il telefono dalle mani mettendo fine ai suoi movimenti, proprio nel momento in cui si alza il sipario.
Premetto che, stanco delle motivazioni dei registi che giustificano messe in scena assurde che nella maggior parte dei casi non hanno nulla a che vedere con l’opera che si rappresenta, ho deciso di non leggere più i programmi di sala: una regia si deve capire guardandola, non si deve essere obbligati a comperare il programma, se non si comprende seguendo la vicenda vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato.
La scena (realizzata da Anna Viebrock) è un ambiente volutamente squallido: una sala enorme, coi fili della luce a vista dei banchi, degli armadi ed una balaustra a dividere il proscenio, non si capisce se una chiesa o cosa, forse un obitorio visto che per tutto il tempo viene portato in giro un cadavere in barella, con sopra dei rametti che sembrano di erbe aromatiche, spacciato per il dio Irminsul. Entrano i Druidi vestiti con giacca, velo da suora e grembiulini, non si capisce cosa siano, l’unico riferimento decente che ho potuto cogliere è un rimando ad una loggia massonica, che nei riti di ingresso si doveva indossare il grembiule.
La cosa che risultava comunque paradossale era che, in un impianto scenico di questo tipo, la regia, di Jossi Wieler e Sergio Morabito, risultava essere la cosa più classica e banale che si potesse immaginare, con Norma che taglia anche il vischio (le erbe aromatiche piantate sopra il cadavere in barella) prima del rito. Le uniche cose diverse dal solito erano i druidi-suore-cameriere che ogni tanto strattonavano le donne vere, un effetto che voleva essere di sopraffazione dell’uomo sulla donna ma che con simili costumi diventava ridicolo, ed una scena macchiettistica nel terzetto finale del primo atto, con Norma che lancia le scarpe a Pollione mentre Adalgisa lo colpisce con la giacca e quest’ultimo per difendersi le minaccia togliendosi la cintura dei pantaloni, mentre i bambini compaiono correndo qua e la per la sala, pura commediola.
Csilla Boross che debuttava nel ruolo del titolo ha dato una buona prova, molto omogenea, sicuramente questo si è dimostrato un ruolo adatto a lei che col tempo riuscirà a perfezionare soprattutto le note acute. Dopo un’intensa Casta Diva che ha avuto grandi applausi è riuscita anche molto bene nell’impervia cabaletta seguente.
Molto suggestivo è stato il duetto del secondo atto con Annalisa Stoppa, che ha interpretato molto bene la giovane Adalgisa, sicuramente la migliore della serata, nonostante la ridicola parrucca bionda che ha dovuto indossare. Voce ricca di armonici ed ottima tecnica le permettono di superare indenne i passaggi più acuti.
A causa di un’indisposizione di Aquiles Machado, la parte di Pollione è stata sostenuta da Rubens Pellizzari che ha reso bene il personaggio, mentre Marco Spotti non è stato a suo agio nel ruolo di Pollione.
Completavano il cast Patrizia Gentile ne ruolo di Clotilde e Francesco Parrino nel ruolo di Flavio.
Vocalmente impeccabile la prova del coro del Teatro Massimo, preparato da Piero Monti, peccato che scenicamente sia stato ridotto spesso ad un qualcosa di inspiegabile.
Personalmente ho trovato buona la direzione del maestro Will Humburg, premesso, come già ho fatto intendere all’inizio, che sono stato molto disturbato durante l’overture, ho trovato la sua direzione interessante soprattutto nel rapporto con le vocalità dei cantanti: mai una volta l’orchestra ha sopraffatto le voci, e questo, il collegamento musicale fra quello che avviene in scena e quello che avviene in buca, oggi è uno dei grandi difetti dei direttori d’orchestra che Humburg non ha fatto notare. Sicuramente non è stata una direzione perfetta ed in alcuni momenti è sembrata divisa in blocchi, però nel complesso il maestro coadiuvato dall’ottima orchestra del Teatro Massimo, non ha di certo demeritato. Un’altra sua nota di merito è stato il suo atteggiamento quando, nel duetto fra Norma e Pollione, al momento dell’intonazione: “Dunque alfin io posso farti infelice al par di me” è squillato in sala un telefono (non quello della signora di prima). Hamburg, nel mentre le maschere giravano per la platea per capire di chi fosse, ha fermato tutto si è rivolto verso il pubblico dicendo: “Lo vogliamo spegnere?” per poi riprendere l’esecuzione una volta cessato lo squillo.
Alla fine applausi per tutti e contestazioni evitate, in quanto nessuno degli autori della messa in scena era presente.
Pollione Rubens Pelizzari
Oroveso Marco Spotti
Norma Csilla Boross
Adalgisa Annalisa Stroppa
Clotilde Patrizia Gentile
Flavio Francesco Parrino
Direttore Will Humburg
Maestro del coro Piero Monti
Regia Jossi Wieler, Sergio Morabito
Scene e costumi Anna Viebrock
Luci Mario Fleck
Assistente alla regia Samantha Seymour
Orchestra e Coro del Teatro Massimo
Allestimento dell’Opera di Stoccarda
Domenico Gatto