Requiem. Verdi. Milano e Torino

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Torino 

Teatro Regio, 

30 settembre 2014.

 

Milano

Teatro alla Scala, 

3 ottobre 2014.

 

Premonitrice dei tempi grami che attraversano le fondazioni liriche, ed in generale l’opera in Italia, questa coincidenza della verdiana Messa  di Requiem, a Torino quale austera inaugurazione di stagione, a Milano fuori abbonamento e per tre recite straordinarie in commemorazione di Claudio Abbado, protagonista in Scala di almeno una settantina di repliche del capolavoro religioso di Verdi composto nel 1874, come tutti sanno, a suffragio di Alessandro Manzoni.

Entrambe le istituzioni, il Teatro Regio di Torino e il Teatro alla Scala, pur godendo tra quelle italiane la miglior salute, soprattutto economica, non sono state negli ultimi tempi estranee alle discussioni, anche al petegolezzo mediatico, per due crisi ben individuabili. A Torino la minaccia di abbandono da parte del direttore stabile, Andrea Noseda, che ha ambizioni internazionali e, si dice, in conflitto con il peraltro uscente sovrintendente Walter Vergnano, la cui gestione comunque rimane esemplare per oculatezza, scelte artistiche e funzionamento armonico di tutto il teatro. La “fuga”, a quanto pare, è stata per lo meno rimandata poichè, oltre a questo Requiem, diversi sono gli impegni che il Maestro milanese dovrà ottemperare nel corso della stagione 2014/15 nel teatro che ha contribuito, e notevolmente, al suo lancio.

A Milano, rientrato momentaneamente lo scandalo degli allestimenti prodotti e rivenduti a sé medesimo, salito al rango di nuovo sovrintendente della Scala, da Alexander Pereira -e vien da ridere, se prima non si dovesse piangere, sul fatto che in Italia in quanto a conflitto d’interessi siamo sicuramente ai primi posti nel mondo e pare proprio che chi arriva nel nostro (ex?) Bel Paese non vi si possa sottrarre- la polemica non si spegne per via dei nomi annunciati in un cartellone molto ottimista e poco attendibile. Ovvero, direttori che sono defunti prima di stendere il contratto, altri che si sono nel frattempo infortunati; infine il “caso Alagna” che, a quanto riferisce il diretto interessato, è stato improvvidamente inserito in cartellone a sua insaputa, quando risaputamente il tenore ha deciso di tornare in Italia solo per turismo o, al massimo, per accompagnare sua moglie Alessandra Kurzak, come è avvenuto recentemente, scritturata per Le Comte Ory alla Scala.

A rinfocolare le fiamme di un ambiente surriscaldato ed infuocato, sia a Torino che a Milano, alla vigilia di entrambe le “prime”, nel capoluogo piemontese il 30 di settembre, in quello lombardo il 3 di ottobre, cancellazioni su cancellazioni di alcuni degli artisti chiamati all’onere di sì ardua impresa. A Torino, per fortuna con un po’ di anticipo su tempi già strettissimi, han dato forfait il soprano cinese Hui He ed il tenore spagnolo Jorge De Leon; a Milano il dramma, si fa per dire, è stato provocato da un’improvviso ed improvvido raffreddore del tenore Jonas Kaufmann.

Fortuna vuole che al Regio torinese sia in programmazione un nuovo Otello verdiano con debutto il 14 ottobre prossimo. La prevista Desdemona, l’emergente soprano Erika Grimaldi, è stata catapultata alle prove e, finite le recite di Trovatore alla Fenice, lunedì 29 in tarda mattinata è giunto a Torino, novello salvator della patria e soprattutto del Requiem, l’inossidabile Gregory Kunde. Il quale, va ricordato, ha appena compiuto sessant’anni ma di forza -e voce!- ne ha da vendere, tant’è che in meno di quindici giorni, dopo il considerevole debutto lagunare, affronterà sia le previste prove che tutte le repliche del Requiem, in numero di totali cinque recite. A commento basti una sola parola: fenomenale.

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Alla Scala, delusione a parte per la folla di fans che si erano prenotati – a caro prezzo e con largo anticipo- per riascoltare e rivedere il beniamino Jonas, a tambur battente e dopo aver scartato per motivi vari un paio di nomi nostrani, dagli USA è arrivato in volo il tenore Matthew Polenzani. Con il novello acquisto, se non si è guadagnato, il ché risulta pur sempre artisticamente opinabile, presumibilmente il Teatro ha risparmiato del denaro pubblico.

Ma bando alle ciance e si entri, dopo sì lungo preambolo, nei meriti squisitamente musicali, dopo un ascolto comparato e giustificato dalla preve distanza tra una recita e l’altra.

Ovviamente il Teatro alla Scala parte avvantaggiato dalla qualità indiscutibilmente superiore, ma non solo rispetto al torinese Regio bensì anche agli altri teatri italiani, delle sue masse artistiche. In questo caso particolarmente concentrate ed impegnate in un’opera che è a loro congeniale e cui spetta di diritto il primato. E quindi, sia il coro istruito con grande cura da Bruno Casoni, particolarmente omogeneo, ha fornito una prova maiuscola, degna delle lodi più sperticate, sia l’orchestra, che a volte è stata censurata per non rispondere al top che le è richiesto, ha suonato con gloriosa bravura. Il merito va attribuito alla decisa direzione di Riccardo Chailly, milanese doc e già assistente di Abbado, quindi direttore ideale per questa celebrazione, cui vanno ascritte delle preziosità nel cogliere sonorità aeree e intense pur nella loro trasparenza e levità. Ha ceduto a qualche eccesso ritmico di troppo, la mano fugge spesso in avanti con questa musica religiosa, ma sostanzialmente di spirito laico. Insomma, si è compitato benissimo, a dimostrare che si è effettivamente assai  bravi, ma l’emozione e il coinvolgimento a tratti sono mancati.

Nel cast, seppure non in condizioni ottime di salute, è emerso l’unico italiano: il basso Ildebrando D’Arcangelo. Voce timbrata, colore e “tinta” sincero e giusta, linea esemplare: un basso coi controfiocchi, un lusso poter disporre di lui. Il tenore Matthew Polenzani, a cui si è grati per aver salvato la recita e per aver affrontato la prova senza prove, si scusi il bisticcio, non possiede il peso specifico per cantare Verdi, ma seppure con un volume ed timbro più adatti al Tamino de Il flauto magico, di cui è interprete di riferimento, ha cantato assai bene, proponendo belle mezze voci e pianissimo in un apprezzabile “Ingeminisco”. Deludenti, piuttosto, le due dame, pure accompagnate da fama internazionale, ma sicuramente più a loro agio in altro repertorio. Il soprano Anja Harteros ha conosciuto, pure lei, le ansie di un arrivo precipitato (di fatto è arrivata alla “prova generale”) per lo smarrimento dei documenti e non è parsa nella sua migliore forma vocale. Certo, l’artista è notevole, ma in sede concertistica, nella Messa di Requiem, la scenica scienza rimane, ovviamente, in panchina. Le intenzioni, per carità, son parse ottime: la presa in pianissimo degli acuti, con lunghi portamenti, è gratificante quando non suona fissa e pure scarsa di intonazione. Ma quella che è parsa flebile è stata proprio la voce, dal colore così chiaro da far pensare alla Norina del Don Pasquale. Gli affondi in zona grave, poi, inconsistenti. Insomma, e per concludere, è mancata polpa nella voce. Idem la pur brava Elina Ganca, annoverata tra i più acclamati mezzosoprano oggi in circolazione, ma la sua specificità con Verdi, col Requiem nel caso, pare assai discutibile. Voce da mezzo soprano acuto cerca, artificiosamente e con suoni opachi, di gonfiare le note basse. La musicalità non si discute, ma non basta. Pensare a lei come futura Santuzza in Cavalleria rusticana, a fianco dell’eroe in fuga Kaufmann Turiddu, pare un’altra avventurosa sfida. Ma si attenda speranzosi il futuro.

Il pubblico, va detto, ha gradito tutto con grande entusiasmo, attardandosi in lunghi e fragorosi applausi e quindi ogni giudizio del censore viene cassato dalla realtà dei fatti.

A Torino, solo tre giorni prima che a Milano, altro successo clamoroso e fors’anche più mediatico, per la presenza in massa dei notabili locali, sindaco Fassino in testa, per la ripresa in diretta radio e per l’accorrere di un pubblico elegantissimo, con gran sfarzo delle dame, molte in lungo e, alcune, addirittura con l’immancabile stola tolta dalla naftalina.

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Gianandrea Noseda, a capo del pur magnifico organico del Teatro Regio, uno dei migliori in Italia, va sottolineato, lodando anche in questo caso il lavoro del bravissimo Maestro del coro Claudio Fenoglio, ha proceduto con una lettura che potremmo definire “mutiana” del Requiem. Perseguendo, cioè, sonorità a tratti eccessive e, soprattutto, mantenendo tempi molto stretti. Detto ciò il colore, la fatidica “tinta”, erano quelli giusti, ma non contribuisce alla tranquillità dell’ascolto l’agitarsi eccessivo, quasi danzante, del Maestro che sembra tarantolato. Ne hanno risentito alcuni attacchi, non sempre precisi, specie dei solisti, relegati in un angolo, lateralmente a sinistra guardando il palcoscenico e fuori dallo sguardo di buona parte del pubblico, davanti al coro e dietro l’orchestra. Si è percepita la loro difficoltà, poichè in quella posizione erano comprensibilmente assordati dal suono dei coristi dietro e degli orchestrali davanti, mancando loro quel “ritorno” della loro voce e dei suoni indispensabile per essere musicalmente perfetti.

Ciò detto va anche aggiunto che la loro professionalità è a prova di bomba. Iniziando dall’imperturbabile e sicurissimo basso Michele Pertusi, la cui voce non possiede note calafatate ed è piuttosto chiara, essendo lui sostanzialemente un bass-bariton, ma sa cantare benissimo e, quel che è apprezzabile, usando sempre la sua voce senza forzature e suoni stomacali, come a volte capita a suoi colleghi di corda meno dotati… soprattutto d’intelligenza. Rimanendo nel campo delle voci gravi, Daniela Barcellona è pure una garanzia in questo repertorio; la voce scorre ampia, sonora, «in avanti» e con suono carezzevole, vellutato, completo su tutta la gamma. Bello il suo momento solistico nel “Liber scriptus” e suggestivo “Agnus Dei” a cappella in coppia col soprano. Erika Grimaldi è stata la sorpresa della serata, la voce è bella e di lirico pieno, forse non personalissima di timbro, ma franca e ben emessa. Una gioia sentire una voce così “italiana”, anche nel fraseggio e nell’accento: si attende con interesse la prossima prova nel ruolo di Desdemona.

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Di Gregory Kunde si è ormai detto di tutto e di più e solo in bene. Gli aggettivi e le lodi sembrano essere esauriti. Dal vivo risulta sempre emozionante e, va detto, la sua voce è quella che “corre” di più, come si dice in gergo teatrale. Il colore personalissimo, individuabile al volo, compensa il timbro edonisticamente non solare; anzi, in una pagina come “Ingeminisco”, laddove il dolore è misto alla speranza nella redenzione, sottolineato da mezze voci perfette e da un accento volutamente mesto e pure infuocato, è riuscito, ancora una volta, ad emozionare.

Successo, come da manuale, travolgente che ha coinvolto indistintamente tutti.

Nota di colore: il concerto nel concerto dato dal continuo squillare dei cellulari. Molto spesso, e non me ne voglia il gentil sesso, ben nascosti ed introvabili nel fondo di borsette di anziane signore, quasi sempre un po’ assopite e mai pronte, anzi impedite, all’immediato spegnimento.

Il massimo dei massimi si è raggiunto, però, alla Scala, laddove proprio alle spalle di chi firma, è partita una suoneria all’ingresso del direttore e prima dell’applauso di benvenuto, e di nuovo nel momento di raccoglimento che precede l’alzarsi della bacchetta sul pianissimo sussurrato dal coro”Requiem aeternam”. La peculiarità è stata nel motivo scelto dall’improvvida detentrice del ribelle telefonino: la canzone “Nel blu dipinto di blu”. E quindi sotto la severa volta del Piermarini per ben due volte abbiamo inteso Domenico Modugno col suo inconfondibile “Volare, Ohhh! Ohhh! Cantare, Ohhh, ohhh, ohhh!”. Interpretato da alcuni come un estremo omaggio a Claudio Abbado che, volato effettivamente in Cielo nell‘Olimpo musicale, avrà da lassù lanciato uno sguardo irridente e benigno.   

 

Torino

 

Soprano: Erika Grimaldi

Mezzosoprano: Daniela Barcellona

Tenore: Gregory Kunde

Basso: Michele Pertusi

 

Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino. 

Direttore: Gianandrea Noseda

Maestro del Coro: Claudio Fenoglio

 

Milano

 

Soprano: Anja Harteros

Mezzosoprano: Elina Garança

Tenore: Matthew Polenzani

Basso: Ildebrando D’Arcangelo

 

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala. 

Direttore: Riccardo Chailly

 

M° .del Coro: Bruno Casoni

 

Horacio Castiglione