Turandot. Puccini. Cagliari

Turandot - 7

Cagliari, Teatro Lirico. 9-27 luglio 2014

Fascino e magia della “Turandot” di Giacomo Puccini, nella suggestiva e onirica “città di pietra” firmata dallo scultore Pinuccio Sciola: dal 27 giugno e fino al 16 agosto al Teatro Lirico di Cagliari riecheggiano le note della felice trasposizione in musica della fiaba teatrale di Carlo Gozzi (nella versione di Schiller), splendida incompiuta del grande compositore lucchese.

L’affascinante mise en scène – per la regia di Pier Francesco Maestrini – nasce come una sfida, o meglio un’intuizione del sovrintendente Mauro Meli, che ha fortemente voluto l’intreccio tra l’esotico mistero della principessa crudele e il genio del maestro delle pietre sonore per creare uno spettacolo unico e insieme universale, un’alchimia preziosa tra la partitura pucciniana e i segni del contemporaneo. Visioni d’artista per la meravigliosa storia – densa di simboli – della feroce Turandot, figlia dell’imperatore della Cina, nemica delle nozze, creatura irraggiungibile e perciò ambita da nobili pretendenti che, sconfitti dall’arguzia di lei e da un difficile indovinello, inevitabilmente periscono sotto i colpi del boia – ma gli spiriti continuano a desiderarla e invocarne il nome. Le alte mura che cingono l’inviolabile “città proibita” e le strade della capitale rimandano alle arcane geometrie da cui scaturisce il canto nascosto nella roccia: la favola amara rivive nel cuore di una “pietra sonora”, in cui brilla ancora, tra il solare Calaf e la lunare Turandot, la limpida stella di Liù, la schiava innamorata e fedele che si immola pur di salvare colui che ama. Il finale dell’opera coincide con l’ultima nota scritta da Puccini, nella versione proposta da Toscanini nella prima al Teatro alla Scala di Milano: svelato il dramma segreto della fanciulla capace di cogliere “l’ombra di un sorriso” e farsene incantare, che sublima la passione inconfessabile in un estremo sacrificio di sé – “Io perdo tutto, persino l’impossibile speranza” – il sipario si chiude sulla morte di Liù e il sommesso compianto che la trasforma in poesia.

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Sogni e aspirazioni dei protagonisti s’intensificano nel candore della pietra – le paratie murarie dell’inizio, con la folla che attende l’ennesimo giudizio, l’ennesimo supplizio, si schiudono a svelare il paesaggio aspro e desertico del cimitero dove risiedono irrequiete e senza pace le vittime dell’algida principessa; e la pavimentazione a scacchiera rompe le sue file geometriche per dar conto di nascondigli e stratificazioni sociali, di una cultura immateriale e di miraggi seducenti. L’antica capitale si trasfigura nel finale, dopo l’apparizione del sovrano “divinizzato” sul trono sospeso a mezz’aria, e il rito dei tre indovinelli con la vittoria di Calaf: l’inquietudine notturna e il terrore dell’ira della principessa, affiorano sullo sfondo dell’immagine moderna e arcaica a un tempo di una città incantata, tra vertiginosi grattacieli e fantastiche architetture che sfidano la gravità, in bilico tra passato e futuro.

Ispirati all’antica Cina, i costumi di Marco Nateri tingono di delicate nuances questa città dei sogni e degli incubi, in un’astrazione fortemente evocativa degli abiti, delle fohge e dei simboli di quella civiltà remota, sottolineando il fasto e l’eleganza degli abiti principeschi, e la lineare sobrietà dei vestiti della gente comune, e ancora il virginale candore delle dame-sacerdotesse di una principessa quasi assurta a divinità feroce e sanguinaria, creatura inumana e dunque, come enunciano i ministri, maschera del Nulla, accanto alla luminescente stoffa di cui s’ammantano i sapienti e dunque la saggezza e la conoscenza… al di là del bene e del male.

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Trionfo di applausi per il debutto – pur tra le lacune del cast: nel ruolo di Calaf, il tenore cagliaritano Francesco Medda sostituisce generosamente in extremis Roberto Aronica la sera della prima, offrendo un’interpretazione comprensibilmente corretta ma non virtuosistica delle celebri arie; ma la meravigliosa musica di Giacomo Puccini, e la direzione di Giampaolo Bisanti alla guida dell’orchestra e del coro della Fondazione, insieme all’iconografia insolita dell’allestimento (con il disegno luci di Simon Corder e campionamenti audio e programmazione dell’ambiente esecutivo di Marcellino Garau) convincono e affascinano il pubblico, che tributa la sua ovazione finale agli artisti. Successo confermato anche nelle successive repliche – le altre sei in cartellone e le recite straordinarie, che proseguiranno fino al 16 agosto, impreziosendo l’estate cagliaritana con le melodie squisite di “Turandot”.

La fiaba crudele portata sulla scena dal drammaturgo veneziano Carlo Gozzi, strenuo rivale di Carlo Goldoni e in specie della sua rivoluzione teatrale, tradotta da Friedrich Schiller (alla cui versione, nella traduzione italiana di Andrea Maffei, si rifanno i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni) ritorna sul palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari in una nuova veste che non altera in nulla la partitura Giacomo Puccini, anzi la ripropone filologicamente nella forma originale e incompiuta, ma semmai ne ribadisce il carattere universale e il fascino imperituro. La scelta di Pinuccio Sciola – quasi a metter l’accento sulle eccellenze artistiche dell’Isola – scultore conosciuto e ammirato nel mondo ma all’esordio come scenografo del teatro d’opera, aggiunge un carattere peculiare, una nota inedita alla scrittura musicale, l’immateriale natura del canto che s’incarna nella pietra, quasi metafora dell’invenzione delle pietre sonore. Infinite avrebbero potuto essere le scelte e le direzioni di una creazione scenografica: è stata privilegiata la cifra delle sculture e il candore del calcare, declinati nelle molteplici forme di mura, templi e palazzi, paesaggi urbani e segrete celle della tortura, volti icastici di fantasmi consumati dal tempo, e troni imponenti che s’innalzano al di sopra dei mortali. L’immediata riconoscibilità del segno inciso, paradossalmente, si apre a innumerevoli varianti, quelle superfici massicce e chiuse slittano, si addensano e si dilatano, divengono permeabili allo sguardo, come per effetto di un movimento di macchina cinematografico, così da assecondare gli accenti della musica e lo sviluppo della trama. Il segno di Sciola supera il limite del palco, invade il teatro e perfino lo spazio urbano, e intanto, in un intelligente progetto di documentazione, le immagini del backstage e del laboratorio scorrono sugli schermi del foyer, visibili durante l’intervallo insieme a idee e modelli di città future.

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“Turandot” è quintessenza della modernità della musica e dell’arte di Giacomo Puccini, con le scale orientalizzanti e l’effetto straniante e volutamente dissonante delle orchestrazioni, le citazioni da Mo-Li-Hua che variano dal registro drammatico a quello grottesco, e la libertà che il compositore si concede di modificare le forme creando una partitura decisamente novecentesca, che segna – emblematicamente – l’inizio di una nuova era e la fine del melodramma.

La “Turandot” cagliaritana conferma – nella scelta rigorosa di non tradire l’intenzione dell’autore – questo spirito anticipatore dell’opera, e si affida a un cast di alto livello in cui spiccano le voci di Maria Billeri (e Annalena Persson per il secondo cast) nel ruolo dell’algida principessa Turandot (altera e crudele, sgomenta all’idea della resa e appena stupita, più che turbata, per il gesto dell’involontaria “rivale”), accanto al Calaf di Roberto Aronica, che ne dispiega appieno la virtù eroica, il coraggio e il carattere aristocratico, in coloriture piene e ardui virtuosismi fino all’incrinatura fatale davanti al sacrificio di Liù (alternandosi a Francesco Anile). L’opera incompiuta mette ancor più in risalto l’incantevole Liù di Valentina Farcas, intensa e lieve, capace di rendere le più lievi sfumature di un animo sensibile prigioniero di un sogno, nell’interpretare le note squisite che ne tratteggiano il ritratto, tra la dolcezza e la disperazione, l’ansia e il timore (per l’amato) e la trasfigurazione dell’estremo sacrificio (in alternanza con Maria Katzarava). Altoum è un convincente Davide D’Elia, nel ruolo di Timur, Rafal Siwek rende nella voce e nel gesto la fragilità ma anche l’auctoritas del vecchio re in esilio (alternandosi con Carlo Cigni); l’affiatato trio dei ministri schiera Giovanni Guagliardo (e Gezim Myshketa) nel ruolo di Ping, con Massimiliano Chiarolla (Pong) e Gregory Bonfatti (Pang). Il Mandarino ha il timbro solenne di George Andguladze; il morituro Principe di Persia, la voce di Mauro Secci; completano il cast la prima ancella di Graziella Ortu/Loredana Aramu e la seconda ancella di Luana Spinola/Juliana Vivian Carone. Il maestro del coro è Marco Faelli mentre il coro di voci bianche, che ha un ruolo pregnante nel disegnare le atmosfere dell’opera, è istruito da Enrico Di Maira.

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L’antica fiaba persiana diventata – grazie a Gozzi – patrimonio dell’immaginario occidentale, tanto da ispirare diversi compositori, da Ferruccio Busoni a Carl Maria von Weber, rinasce ancora una volta sulle note della “Turandot” di Puccini sul palco del Teatro Lirico di Cagliari: il dramma lirico in tre atti e cinque quadri racconta con il linguaggio fantastico delle favole, l’enigma dell’animo umano, la genesi misteriosa delle passioni, la seduzione dell’irraggiungibile. In un sapiente gioco di contrasti il compositore toscano definisce i caratteri dei protagonisti scolpendoli nell’architettura armonica e nelle preziose coloriture vocali, scandisce il pathos del dramma con punte d’ironia attraverso le buffe figure dei ministri, comiche e sinistre insieme, e mette in scena il popolo, chiassoso, impaurito e festante della leggendaria Pechino.

La trama è nota: nella capitale della Cina, sotto l’egida di Altoum, sovrano forse amabile e amato ma pure sotto l’imperio della di lui figlia Turandot, crudele principessa, contraria alle (proprie) nozze in nome, si scoprirà poi, di un’antenata trucidata, e avvezza a condurre a morte i molti pretendenti, giunge, sotto mentite spoglie, Calaf, il Principe ignoto. Qui incontra il padre Timur accompagnato dalla giovane Liù, e fatalmente s’innamora di colei che regna, con il suo mistero, sui cuori dei giovani principi defunti; invano il padre e l’ancella, invano i dignitari Ping, Pong e Pang cercano di dissuaderlo, egli temerariamente decide di sottoporsi alla prova. Suona il gong e la città si prepara all’ennesima condanna, ma sorprendentemente Calaf risolve i tre enigmi e non pago, per conquistare al suo amore l’animo restio della principessa, le offre la propria vita in cambio se lei scoprirà il suo nome. Notte d’angoscia e paura nella città, l’ira di Turandot potrebbe riversarsi sui sudditi, si cerca di dissuadere Calaf dal pretendere le nozze, finché qualcuno scopre il padre di lui e la giovane serva fidata: vengono catturati, e la fanciulla s’assume il peso della conoscenza rifiutando però di svelare il segreto. Torturata, per paura di non sopportare i supplizi e cedere al dolore, Liù sceglie il suicidio, non prima d’aver confessato all’incredula principessa l’amore che la spinge a quell’estremo sacrificio. La sua morte risveglia la città, quelli che invocavano ad ogni costo la rivelazione prendono coscienza dell’accaduto, e così Calaf, ma solo il vecchio Timur può piangerla e sperare di raggiungerla; agli altri restano i rimorsi e il rimpianto per quella dolce “poesia” perduta per sempre.

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La mise en scène cagliaritana ruota attorno all’immagine della città di pietra, con effetti speciali e un intrigante disegno luci a enfatizzarne l’aspetto visionario; e dal 30 luglio l’opera di Puccini diventa “interattiva” (e multimediale) grazie all’esperimento con Google Glass, che con la “complicità” di artisti e maestranze trasporta gli spettatori direttamente sul palcoscenico, dietro le quinte e nel golfo mistico, offrendo una miriade di punti di vista – “in diretta” sui social network – su quel che accade, per un esperimento che intreccia tecnologia e arte.

 

Turandot                   Maria Billeri /Annalena Persson 

Altoum                      Davide D’Elia

Timur                        Carlo Cigni /Rafal Siwek

Calaf                        Roberto Aronica /Francesco Anile 

Liù                            Maria Katzarava /Valentina Farcas 

Ping                         Gezim Myshketa /Giovanni Guagliardo

Pong                        Massimiliano Chiarolla

Pang                        Gregory Bonfatti

Un Mandarino          George Andguladze

Il Principe di Persia  Mauro Secci

Prima ancella           Graziella Ortu/Loredana Aramu

Seconda ancella      Luana Spinola/Juliana Vivian Carone

 

maestro concertatore e direttore    Giampaolo Bisanti

maestro del coro                             Marco Faelli

maestro del coro di voci bianche    Enrico Di Maira

regia                                               Pier Francesco Maestrini

scene                                              Pinuccio Sciola

costumi                                           Marco Nateri

luci                                                  Simon Corder

campionamenti audio e programmazione dell’ambiente esecutivo Marcellino Garau

Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari

Coro di voci bianche del Conservatorio Statale di Musica «Giovanni Pierluigi da Palestrina» di Cagliari

nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari

 

 

Anna Brotzu