La perfezione inarrivabile delle Nozze di Figaro mozartiane

La perfezione inarrivabile delle Nozze di Figaro mozartiane

Non risultano del  tutto persuasive le Nozze di Figaro allestite al Teatro Regio di Torino: in un allestimento e una direzione musicale segnati dall’assenza di teatralità, emergono soprattutto le prove di Carmela Remigio, Ekaterina Bakanova e Paola Gardina

Approdano sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino come quinto appuntamento della stagione operistica le turbolenti vicissitudini de “La folle journée” di Beaumarchais, portate in musica da Wolfang Amadeus Mozart. Composte nel 1786 su libretto di Da Ponte e primo episodio della trilogia italiana, Le Nozze di Figaro rappresentano ancor più del testo teatrale da cui sono state tratte – avendo eliminati da questo anche tutti gli elementi di satira politica data la censura  –  una  delle più ciniche e beffarde commedie in musica, in cui l’amore che accende ogni singolo personaggio viene magnificamente esplorato dal compositore con ironia e leggerezza in ciascuna delle sue possibili declinazioni. Passioni, delusioni, tradimenti, travestimenti, gelosie: tutto accade come per divertimento in una singola giornata bellissima e allo stesso tempo amara, dalla cui conclusione nessuno né uscirà vincitore.

Diventata tra le opere più famose di Mozart,  Le nozze di Figaro hanno ottenuto anche al Regio di Torino una notevole diffusione, essendo state rappresentate dal 1982 con scadenza praticamente decennale e affiancate quasi sempre nelle stagioni adiacenti dalle altre due opere della trilogia, ossia Don Giovanni e Così fan Tutte

In questa occasione il Regio ha scelto di seguire il percorso a ritroso rispetto ai tempi di composizione delle opere, concludendo per tanto con quest’allestimento il popolare trittico dopo aver allestito dapprima le vicende delle dame ferraresi nel 2012 e a seguire quelle del celebre libertino nel 2013: se per quest’ultime due si erano però recuperate le produzioni già viste di Ettore Scola nel 2003 per il Cosi fan tutte e di Michele Placido nel 2005 per il Don Giovanni, queste “Nozze” sono state  messe in scena non con la regia proposta nel 2004 di Jonathan Miller, ma  con un’altra completamente nuova affidata a Elena Barbalich.

Spiace a questo punto, e anche molto, dover però recensire una rappresentazione di questo terzo tassello mozartiano non del tutto all’altezza degli spettacoli meravigliosi visti nelle ultime stagioni torinesi, che hanno permesso al Regio di diventare uno dei teatri più importanti a livello europeo (dietro infatti un arduo lavoro fatto di competenza e passione, questo teatro si è rivelato esempio di organizzazione virtuosa, capace di mantenere una vita teatrale vivacissima con numero di spettacoli del cosiddetto «repertorio” realizzati sempre ad altissimo livello e con i migliori cantanti, registi e direttori d’orchestra del momento).

Le Nozze di Figaro appartengono alla categoria delle opere perfette, in cui il valore del libretto, la fonte letteraria da cui esso deriva, la musica e la scrittura vocale si fondono grazie al genio assoluto di Mozart in un capolavoro di inarrivabile bellezza: complesso  riuscire a comprenderne tutto il suo spirito.

La perfezione inarrivabile delle Nozze di Figaro mozartiane

La Barbalich insieme alla sua squadra, composta dallo scenografo e costumista Tommaso Lagatolla e dal responsabile delle luci Giuseppe Ruggero,  ha ambientato l’opera nel suo corretto contesto storico, il che avrebbe potuto inquadrare la sua lettura nel solco di una moderna tradizione. Tale scenografia però, se pur con la presenza di pochi elementi sul palcoscenico, di un appena corretto gioco di luci e in pochi momenti visivamente suggestiva, è rimasta solo una sterile cornice di ambientazione, dato un passo teatrale a momenti assente e privo di vita, in altri inefficace e frammentario e in altri ancora generico e superficiale. Rivelatore quindi di una certa approssimazione completamente incapace di far sintonizzare i personaggi con l’atmosfera e la poetica mozartiana. Addio quindi magia, sensualità, senso della situazione teatrale e ….addio Nozze!

A dirigere le compagini artistiche del Regio – con un’orchestra dal suono sempre luminoso e morbido e un coro puntualmente preparato da Claudio Fenoglio – è stato invitato il maestro giapponese Yutaka Sado, la cui bacchetta si ricordava degna di una certa attenzione dopo la direzione della Carmen sentita nel 2012. In questa circostanza, responsabile forse anche una scarsa dimestichezza della lingua italiana, Sado ha proposto una direzione senza particolare fantasia o spiccato carattere, appesantita da tempi letargici e sonorità ipertrofiche, da cui anche un’ inevitabile scarsa attenzione all’organizzazione della struttura musicale poco articolata e fluida. Del tutto sacrificata in questo modo è stata la travolgente e fondamentale vitalità della musica mozartiana e con essa, di conseguenza, la sua marcata teatralità.

Un peccato, perché il cast avrebbe meritato un supporto strumentale più prezioso e attento, specie con le personalità vocali scritturate e formato quasi del tutto da cantanti italiani, quindi sulla carta garante anche di una teatralità più istintiva ed immediata data la padronanza linguistica. Alla luce dei fatti però – dopo la rinuncia dell’annunciato debutto di Ildebrando D’arcangelo come Conte – soltanto la sezione femminile della compagnia si è dimostrata completamente bilanciata, confermandosi, nonostante le circostanze, il meglio di quanto la generazione attuale di cantanti mozartiane possa offrire, grazie ad un canto personalissimo, un fraseggio fantasioso e un’ accento impeccabile.

La perfezione inarrivabile delle Nozze di Figaro mozartiane

La Contessa di Carmela Remigio è stata ancora una volta un autentico saggio di canto levigato ed omogeneo, che messo al servizio di una musicalità impeccabile le ha permesso di plasmare con luminosa soavità la linea mozartiana – strepitosa la ripresa di “ Dove sono i bei monenti”, tutta sul filo d’una mezza voce dolcissima -. La statura d’interprete l’ha portata poi a delineare un personaggio certo melanconico, ma al contempo vibrante e passionale e quindi per certi versi assai singolare. Le stava accanto la Susanna di Ekaterina Bakanova finalmente affidata non ad un soprano leggero, ma ad una voce lirica dal timbro prezioso. Adoperata in modo eccellente per la sua omogenea morbidezza d’emissione, è riuscita in questo modo ad onorare le scomode discese sotto il rigo (“se l’amano le femmine e “notturna face”), oltre che ad esprimere tutta la femminilità e carnosa sensualità che Mozart ha utilizzato nella musica di questo magnifico personaggio, sottratto allo stereotipo di servetta aggraziata da opera buffa. Si impone anche Paola Gardina stupenda per il timbro morbidissimo e vellutato, capace di una pulizia strumentale e per il canto sempre animato da un fraseggio denso di molteplici sfumature. Dona accenti del tutto insoliti al suo Cherubino, in cui fa passare certo tutte le emozioni e le ambiguità proprie dell’adolescenza, ma con un piglio e una condotta scenica più smargiassa e boriosa –  anche nei confronti del Conte-consapevole quindi di chi sa di attrarre tutte le donne del castello. Sottratto pertanto al cliché di monello birbante, è risultato essere un paggio d’intensa passionalità e d’irresistibile fascino. Preziosi gli interventi di un’aggraziata Barbarina di Arianna Vendittelli così come quelli di Alexandra Zabala, che ha donato a Marcellina un’ insolita vigoria d’accento (sia lei che il tagliente Basilio di Bruno Lazzaretti privati delle rispettive arie del IV atto, soluzione teatralmente più efficace, malgrado la filologia).

Un gradino più in basso invece i protagonisti maschili. Vito Priante è stato un Conte piuttosto generico e poco propenso a far valere quei pregi artistici in altre occasioni espressi. Causa probabilmente l’atmosfera generale o le sonorità e i tempi orchestrali, non è riuscito  a creare un personaggio che per ben figurare necessiterebbe di ben altro canto, finezza e sottigliezza introspettiva. Giusta la differenziazione timbrica della sua voce baritonale con il timbro da basso-baritono di Mirco Palazzi nel ruolo di Figaro, che ha disegnato tuttavia un personaggio dalla linea di canto a tratti ruvida e disomogenea e un caratterizzazione troppo stilizzata e appiattita da un eccessiva timidezza. Affaticato nell’emissione il Bartolo di Abramo Rosalen, mentre adeguati caratteristi i restanti personaggi minori di don Curzio e Antonio interpretati rispettivamente da Luca Casalin e Matteo Peirone. Doveroso menzionare anche la prova delle due artiste del coro Sabrina Amè e Daniela Valdenassi nelle vesti delle Due Contadine.

Un pubblico tanto numeroso quanto però inizialmente poco partecipe e silenzioso –  il primo lungo applauso a scena aperta è stato per la Remigio al terzo atto –  ha decretato alla fine un’accoglienza cordiale a tutti gli artefici dello spettacolo con la distinzione di un franco successo per le tre protagoniste femminili.

Adalberto Ruggeri