La Vedova allegra al San Carlo diventa una diva anni ‘30

La Vedova allegra al San Carlo diventa una diva anni ‘30
La Vedova allegra al San Carlo diventa una diva anni ‘30

Se l’operetta è intrattenimento senza pretese, e questa è la più popolare di tutte, come mai per questo allestimento c’è voluto un intero atto per scaldare il pubblico? Eppure, questa produzione della Vedova Allegra al San Carlo conteneva molte cose gradevoli: la partitura è stata diretta da Alfred Eschwé con tocco leggero e spumeggiante, con qualche punta di malinconia; tutti i personaggi hanno cantato e recitato bene; le scene erano colorate e luminose, le coreografie brillanti. La regia, anche se non ha entusiasmato, ha tuttavia lasciato che la vicenda scorresse libera, senza intoppi cervellotici.

Come si diceva, vocalmente non c’era niente di cui dolersi. La coppia romantica, interpretata dal soprano Maria Pia Piscitelli nel ruolo della protagonista, Hanna Glawari, e il baritono Markus Werba come conte Danilo Danilovic, erano a loro agio nei rispettivi ruoli, anche quando dovevano atteggiarsi a stelle del cinema anni ’30, come da ambientazione voluta dal regista Federico Tiezzi .

Insieme al resto del cast, la Piscitelli e Werba hanno recitato e cantato con i ritmi e la concitazione di un vaudeville. Hanno mantenuto il comando di tutta la performance sia nei dialoghi che nel canto: il loro duetto nel finale del primo atto è stato amabile, e l’aria del soprano nel secondo atto «Vilja», è stata resa con espressione lirica, buona tecnica e ricca musicalità, doti che del resto la Piscitelli non manca mai di esibire. Qui ha anche aggiunto una forte dose di autoironia nella sua interpretazione ispirata a una diva del cinema degli anni ’30, con annessa parrucca biondo platino, tipo Jean Harlow.

Werba ha mantenuto un buon equilibrio tra i due aspetti della personalità del conte Danilo. Fatuo senza essere arrogante, romantico ma evitando di essere melenso, il baritono ha cantato in modo brioso, con un tono baritonale pieno e brillante.

Il basso Filippo Morace era il barone Mirko Zeta, il più importante tra i ruoli di supporto. Anche se il suo personaggio aveva poco da cantare (e quando lo faceva, era dI ottimo livello), Morace si è mostrato efficace, con la sua recitazione vivace, l’ottima dizione e la voce chiara.

Morace aveva come eccellente spalla comica Peppe Barra, notissimo attore e cantante folk napoletano, che ha recitato nel ruolo di Njegus, il segretario dell’ambasciata del Pontevedro. Barra, che rappresenta un pezzo importante della recente storia del teatro della musica popolare a Napoli, ha caratterizzato il suo ruolo con tipica comicità partenopea, e il pubblico ha accolto praticamente ogni sua uscita con risate e applausi.

La Vedova allegra al San Carlo diventa una diva anni ‘30
La Vedova allegra al San Carlo diventa una diva anni ‘30

Nel racconto compare anche un’altra coppia di amanti, i cui interpreti si sono dimostrati ottimi, sia come attori che come cantanti. Il soprano Valeria Esposito era la civettuola moglie del Barone, Valencienne, e il tenore Andrea Giovannini faceva la parte del suo spasimante, Camille de Rossillon. I due erano ben sintonizzati, e alla fine del secondo atto hanno cantato il duetto, «L’amore è nel mio cuore» in maniera eccellente. La Esposito era brillante quando recitava, ma ha anche mostrato un gradevole stile di canto, con un tono sopranile chiaro e una personalità accattivante, danzando perfino con le grisettes nel terzo atto. Giovannini ha dato al ruolo di Rossillon la sua vivacità scenica ed e una ammirevole voce da tenore.

Purtroppo, in certi momenti i cantanti non riuscivano a proiettare la voce in pienamente: a ben vedere, a parte qualche scelta registica poco felice, il vero punto dolente della serata è stato l’udibilità delle linee di canto. La sala del San Carlo è (era) leggendaria per la sua acustica, ma stavolta, per qualche motivo, non ha funzionato, e il pubblico ha dovuto adeguare le proprie aspettative alla situazione.

L’effervescente e affascinante musica di Franz Lehár ha dovuto combattere con questo handicap. I cantanti in alcuni momenti hanno dovuto fare uno sforzo per attraversare le tessiture orchestrali e farsi sentire, alcuni, come la Esposito, più di altri. Ciò era forse dovuto ad uno squilibrio tra la partituta orchestrale di Lehár e il canto nel registro medio, piuttosto che a carenze di interpreti o conduttore (che comunque ha tenuto il volume complessivo troppo alto).

Nonostante ciò, sotto la direzione di Eschwé, l’orchestra ha suonato in modo intelligente e divertente. Anche la compagnia di danza del San Carlo è stata ben utilizzata, e alcune delle idee coreografiche, come ad esempio le danze balcaniche erano vere chicche.

Altri personaggi minori meritano di essere menzionati: tra essi il bravissimo Domenico Colaianni, come visconte Cascada ed Enzo Peroni nel ruolo di Raoul de Saint Briosche. Infine il coro del San Carlo è stato come sempre accade negli ultimi anni, all’altezza delle aspettative.

Lorenzo Fiorito

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