Grandi titoli del repertorio classico in versione alternativa, nel teatro più bello del mondo
I primi anni del festival
Il festival delle “Settimane musicali al Teatro Olimpico” nasce nel 1992 con lo scopo di portare la grande musica classica in uno dei teatri più belli del mondo, il Teatro Olimpico di Vicenza, capolavoro di Andrea Palladio. Il grande architetto italiano lo disegnò nel 1580, poco prima di morire, ma il progetto fu portato a compimento da Vincenzo Scamozzi. Inaugurato nel 1585 – negli stessi anni in cui a Firenze veniva ideata l’opera lirica – il Teatro Olimpico è considerato il teatro coperto più antico del mondo.
Nei primi dieci anni di attività, il festival aveva una durata limitata ed era dedicato esclusivamente alla musica da camera: ma già i programmi musicali manifestavano quell’attenzione al repertorio meno noto e meno eseguito che renderanno successivamente il festival un punto di riferimento a livello italiano ed internazionale. Per esempio, nel 1996, le Settimane Musicali furono l’unica istituzione italiana a ricordare la figura di Clara Schumann, nel primo centenario della morte, dedicando l’intero festival a lei e ad altre donne musiciste (Fanny Mendelssohn, Germaine Tailleferre).
L’opera lirica arriva alle Settimane Musicali
Dal 2004, l’opera lirica entra a far parte dei programmi del festival. In quell’anno iniziavamo al festival un progetto triennale, in vista delle celebrazioni mozartiane del 2006, e l’edizione 2004 delle Settimane era dedicata al “Mozart bambino”: il festival si aprì dunque con il Minuetto KV 1 eseguito da un pianista di 7 anni (!), e l’opera prescelta per il debutto non poteva essere che Bastiano e Bastiana, presentato in un graziosissimo allestimento originale firmato da Francesco Esposito.
Per l’edizione 2005, dedicata al Mozart “della maturità”, il festival propose l’accostamento (inedito in Italia) dei “due Don Giovanni”. Si trattò di allestire a pochi giorni di distanza, nello stesso teatro e con un cast il più possibile coincidente, il capolavoro di Mozart – presentato nella versione originale di Praga del 1787 – ed il suo diretto antecedente, quel Don Giovanni di Giuseppe Gazzaniga il cui libretto di Giovanni Bertati influenzò in modo sostanziale Lorenzo Da Ponte.
Alla ricerca delle versioni alternative: Il flauto magico
Dal 2006 ha inizio quel percorso di ricerca di versioni alternative di opere liriche, da presentare se possibile in prima esecuzione assoluta, che ha molto caratterizzato anche l’attività di direttore d’orchestra del sottoscritto (nello stesso anno, inauguravo il Festival di Martina Franca dirigendo la prima in tempi moderni de I giuochi d’Agrigento di Paisiello, opera scritta nel 1792 per l’apertura della Fenice di Venezia).
Quella edizione delle Settimane Musicali era incentrata sulla produzione musicale dell’ultimo anno di vita di Mozart – il 1791 –, e si scelse dunque di allestire Il flauto magico, ma nella versione in italiano che il poeta Giovanni De Gamerra aveva preparato nel 1794 per i teatri di corte di Praga, Dresda e Lipsia. Per essere ammesso nei teatri più importanti, il capolavoro mozartiano doveva infatti essere tradotto nella lingua principe dell’opera, l’italiano: (sia detto per inciso, quanto è distante quel periodo di egemonia culturale italiana dagli attuali tempi di sudditanza allo spread dei titoli di stato, che ci fa sentire quasi un paese del terzo mondo!). Quello che esce dalla penna di De Gamerra è un Flauto magico del tutto inedito, in cui i dialoghi parlati sono musicati come recitativo secco, e il tutto suona come una specie di Don Giovanni, solo con la musica – non una nota viene cambiata rispetto all’originale – della Zauberflȫte. L’allestimento vicentino venne dato con la regia di Marco Gandini che si avvalse di un cast giovane, con Emanuele D’Aguanno nel ruolo di Tamino, Eleonora Cilli in quello di Pamina, e il Papageno di Matteo Ferrara che suonava “sul palco” il glockenspiel. L’opera venne anche registrata e pubblicata successivamente in due cd dall’etichetta tedesca Nuova Era International.
Tre capolavori rossiniani: Italiana, Barbiere, Turco in Italia
Terminato il ciclo mozartiano, l’edizione 2007 del festival fu dedicata alla città di Venezia: cercando una versione inedita de L’italiana in Algeri di Rossini – che proprio a Venezia era stata creata per la prima volta nel 1813 –, mi imbattei con molta fortuna in una versione che lo stesso Rossini aveva allestito e diretto personalmente proprio a Vicenza. Il giovane pesarese, all’epoca poco più che ventenne, dopo il successo del debutto veneziano nel maggio 1813, era stato scritturato dal Teatro Eretenio (nobile palcoscenico, inaugurato nel 1784 da Cimarosa con la sua Olimpiade, purtroppo distrutto da un bombardamento nel 1945) per una ripresa dell’opera. Due le varianti significative, rispetto alla versione solitamente eseguita, entrambe riguardanti le arie di Isabella, la protagonista: nel primo atto la celebre “Cruda sorte” viene sostituita da un’aria molto più nobile, e quasi “seria”, “Cimentando i venti e l’onde”, mentre nel secondo atto “Per lui che adoro” viene presentata in una versione con violoncello obbligato – al posto del flauto – molto più elaborata ed interessante. Questa con il violoncello è in realtà la prima versione di questa aria bellissima, che solo a partire dal 1815, con l’allestimento milanese la cui partitura venne acquistata e pubblicata da Ricordi, entrerà in repertorio con l’assolo affidato al flauto. L’allestimento vicentino venne affidato a Damiano Michieletto, per uno spettacolo minimale ma efficacissimo, che si avvaleva del grande Mustafà di Lorenzo Regazzo, un cantante che da allora è diventato un habitué delle Settimane Musicali.
Sulla scia del successo della versione “vicentina” dell’Italiana in Algeri, nel 2008 decisi di “ricreare” la prima vicentina del Barbiere di Siviglia. Cercando nella stessa biblioteca che conserva il manoscritto dell’Italiana in Algeri – la Biblioteca del Conservatorio di Padova – mi imbattei in un Barbiere che aveva circolato nei teatri veneti all’inizio dell’Ottocento: con ogni probabilità, il manoscritto era servito anche per la première vicentina, sempre al Teatro Eretenio nel 1825, protagonista d’eccezione il grande Giovanni Battista Rubini come Almaviva. Anche in questo caso, il manoscritto presenta significative varianti rispetto alla versione cui siamo tradizionalmente abituati: la più evidente riguarda il rondò del Conte – “Cessa di più resistere” – aria difficilissima ed infatti molto spesso tagliata – che qui viene trascritta un quinta sopra ed affidata, dopo una leggera variazione nel recitativo precedente, non più al Conte ma a Rosina. Sembra che la creatrice del ruolo di Rosina, il mezzosoprano Gertrude Righetti Giorgi, chiedesse esplicitamente a Rossini di adattare per lei quest’aria funambolica, innamorandosene poi a tal punto da far utilizzare lo stesso spunto tematico per il “Non più mesta” della Cenerentola. Altre varianti riguardano l’aria della lezione (Rossini ne scrive una più breve, forse per far risparmiare al mezzosoprano le forze proprio in vista del rondò finale) e quella di Bartolo: nel 1825, all’epoca della prima vicentina, era infatti già entrata nell’uso “Manca un foglio” di Pietro Romani, al posto della più complessa “A un dottor della mia sorte” dell’originale rossiniano, e la partitura padovana, da noi utilizzata come riferimento per l’esecuzione, non fa eccezione. La regia all’Olimpico venne affidata a Roberto Recchia, che ne diede una lettura molto viva e spiritosa, avvalendosi della comicità del Bartolo di Elia Fabbian, del Basilio irresistibile di Lorenzo Regazzo, del Figaro di Cuneyt Unsal, impegnato in una cavatina cantata nel mezzo del pubblico in sala: come Rosina, al debutto la freschissima vocalità di Concetta D’Alessandro.
L’edizione 2009 del festival era dedicata a Napoli – terzo ed ultimo anno di un ideale “viaggio in Italia” passato prima da Venezia e da Roma – e si pensò dunque di allestire una terza opera rossiniana, quel Turco in Italia per l’appunto di ambientazione napoletana. Alla ricerca – ormai ci avevamo preso gusto, artisti, pubblico e critica, a Vicenza – di qualcosa di “speciale”, decisi di ricostruire la première napoletana del Turco, data al Teatro nuovo sopra Toledo nel 1820 (Rossini era presente a Napoli a quel tempo, anche se non sembra venisse direttamente coinvolto nell’allestimento), che presentava varianti molto significative e “succulente”. Per cominciare, tutti i recitativi non sono cantati “all’italiana” ma recitati in prosa, parlati (curiosamente, saremmo dunque andati a proporre un’operazione inversa a quella fatta col Flauto magico del 2006); vi sono poi arie alternative (per esempio la cavatina di Fiorilla, “Presto andiamo” al posto di “Non si dà follia maggiore”) o aggiunte (il tenore Don Narciso canta un’aria in più, “Languir per una bella” da l’italiana in Algeri), mentre Don Geronio, il personaggio buffo per eccellenza, canta e parla in dialetto napoletano… Insomma, una versione napoletana di un’opera ambientata a Napoli. L’allestimento fu affidato a Francesco Micheli, uno dei registi italiani più originali ed emergenti delle ultime generazioni, che si giovò della collaborazione dei suoi studenti dell’Accademia di belle arti di Brera, creando uno spettacolo elegantissimo e di grande successo. Tra i cantanti, oltre al ritorno di Lorenzo Regazzo impegnato nel ruolo del titolo, l’esilarante napoletanissimo Filippo Morace come Don Geronio, i bravissimi Giulio Mastrototaro, Silvia Dalla Benetta e Daniele Zanfardino, rispettivamente Prosdocimo (il poeta, personaggio chiave del dramma), Fiorilla e Don Narciso: nel ruolo di Zaida tornava invece a Vicenza Concetta D’Alessandro. Il dvd dell’allestimento vicentino del Turco – pubblicato in dvd dall’etichetta Bongiovanni – nel 2011 ha ottenuto il “Premio della critica”.
Don Pasquale, Don Giovanni, Il ratto dal serraglio
Con il 2010, per le Settimane musicali al Teatro Olimpico iniziava un altro ciclo triennale, dedicato stavolta alle capitali europee, e agli italiani – compositori e librettisti – che vi hanno lavorato nel passato: si iniziò con Parigi, e con il Don Pasquale di Donizetti. Non era facile trovare una versione alternativa inedita di quest’opera, di cui Donizetti non fece mai alcuna ripresa, e che entrò in repertorio da subito nella sua veste originale. Venni però a sapere che la parte di Norina era stata interpretata a metà dell’Ottocento da Pauline Viardot – celeberrima mezzosoprano, figlia di Manuel Garcia, primo interprete dell’Almaviva rossiniano, nonché sorella di Maria Malibran – e che era quindi ipotizzabile l’esistenza di un Don Pasquale in cui la protagonista principale fosse non un soprano lirico leggero, come al solito, ma addirittura un mezzosoprano. Dalle cronache risalenti ad alcune recite a San Pietroburgo (siamo attorno al 1845) si evince poi che la Viardot sostituiva il vaudeville finale con un’aria del compositore irlandese Michael William Balfe. Nonostante vari tentativi fatti a Parigi e a San Pietroburgo, non fu possibile recuperare il materiale originale di questa versione, ma partendo da queste indicazioni, piuttosto precise, e conoscendo la prassi dell’epoca (lo stesso Donizetti scrive di aver più volte trasportato la cavatina di Norina in diverse occasioni) tentai io stesso di ricostruire la partitura, avvalendomi del confronto con l’autografo pubblicato da Ricordi. Proprio dal manoscritto recuperai l’assolo iniziale della Sinfonia, originariamente affidato al corno anziché al violoncello (particolare questo che mi era già noto perché citato in un bellissimo libro di Philipp Gosset), mentre la cabaletta di Norina “So anch’io la virtù magica” venne abbassata di un tono e mezzo, ed alcune cadenze cambiate, evitando alcuni acuti di difficile realizzazione per una voce di mezzosoprano: una serie di considerazioni mi portarono poi ad identificare “L’air de Balfe” citata dalle recensioni pietroburghesi con un brano tratto dall’opera The maid of Artois.
Lo spettacolo fu allestito con la regia di Francesco Bellotto, che trasformò Don Pasquale/Lorenzo Regazzo nel vecchio guardiano/conservatore del Teatro Olimpico, un tempio nel quale la sposina Norina introduce statue dai colori psichedelici, con effetti esilaranti, mentre il “nipotino” Ernesto (Emanuele D’Aguanno) gira con cuffiette e lettore mp3. Anche questo spettacolo venne filmato ed è disponibile in dvd, pubblicato sempre da Bongiovanni.
Nel 2011, seconda tappa del ciclo triennale dedicato alle capitali europee – “Ambasciatori di note”, questo il titolo del progetto – il festival approdava a Praga: non ho resistito, e ho deciso di ri-programare il Don Giovanni di Mozart nella sua primitiva versione, data per l’appunto a Praga nel 1787. Oltre all’amore per questo immenso capolavoro, hanno inciso sulla mia scelta altri fattori: il fatto di avere (ancora una volta) a disposizione un grande cantante come Lorenzo Regazzo, che si era detto disponibile – lui, grande Leporello su tutti i palcoscenici del mondo – a debuttare il ruolo di Don Giovanni; la decisione, presa anche per ragioni di prudenza finanziaria dal consiglio di amministrazione del festival, di avviare un “nuovo corso” nell’allestimento delle opere al Teatro Olimpico, con orchestra sul palco e scenografia minimale, fatto che richiedeva la presenza – almeno nel primo anno – di un titolo di un certo appeal. Come è noto, due sono le versioni autentiche del Don Giovanni: dopo la prima praghese, Mozart allestì un seconda produzione a Vienna nel 1788, apportando alcune modifiche. Avendo a disposizione un tenore con differenti caratteristiche vocali, fedele alla sua affermazione secondo cui “scrivere un’aria per un cantante è come cucirgli addosso un vestito”, Mozart sostituì l’aria del secondo atto “Il mio tesoro intanto” con “Dalla sua pace” nel primo atto; per lo stesso motivo cassò dalla partitura il bellissimo episodio in duetto tra Anna e Ottavio al termine del finale secondo (e ciò dimostra a mio avviso che egli intendesse far eseguire il finale integralmente, non chiudendo deliberatamente l’opera – come alcuni commentatori suppongono – dopo la caduta agli inferi del protagonista). Mozart aggiunse anche un’aria (bellissima) per Elvira, cedendo forse alle richieste dell’interprete, Caterina Cavalieri, ed un duetto per Leporello e Zerlina. Il Don Giovanni che si ascolta normalmente oggi nei teatri è un mix di queste due versioni: è evidente che nessun Ottavio vuol rinunciare ad una delle sue arie, e nessuna Elvira vuol rinunciare ad un capolavoro come “Mi tradì quell’alma ingrata”. Scegliere di eseguire il Don Giovanni di Praga vuol dire certo essere costretti a rinunciare ad alcune pagine bellissime, ma anche optare per una versione drammaturgicamente più snella e “leggera”, oltre che eseguire la versione “originale” voluta da Mozart stesso: personalmente, poi, sono convinto che sarebbe comunque opportuno eseguire sempre una delle due versioni “autentiche”, mai uno dei vari mix (nel quale non compare mai, o quasi mai, il duetto aggiunto tra Leporello e Zerlina!). L’allestimento di Vicenza 2011, come ho già ricordato, si è caratterizzato più come “mise en espace” che come una regia vera e propria, e ne ha avuto la cura lo stesso Regazzo, vero e proprio “perno” dello spettacolo, attorniato da un cast di giovani, tra cui il divertentissimo Leporello di Marco Filippo Romano, la nobile ed energica Donna Anna di Isabel Garcia Rodriguez, il potente commendatore di Abramo Rosalen. Uno dei massimi quotidiani italiani, il Corriere della sera, definì questa nostra produzione “uno dei più bei Don Giovanni degli ultimi anni”.
Arriviamo dunque al 2012, e all’ultimo, fortunato allestimento delle Settimane Musicali al Teatro Olimpico. Dopo Parigi e Praga, il festival fa tappa a Vienna ed il titolo prescelto, ancora mozartiano, è quell’Entführung auf dem Serail che segna nel 1782 il debutto viennese del grande Amadé, da poco trasferitosi nella capitale austriaca. Da anni tenevo nel cassetto un manoscritto a mio avviso molto interessante, in attesa che arrivasse la giusta occasione per allestirlo: l’occasione era arrivata. Si tratta dell’adattamento in lingua italiana, intitolato Il ratto dal serraglio, preparato da Peter Lichtenthal nel 1838 per il Teatro alla Scala di Milano e mai eseguito prima d’ora: non parliamo dunque di una première in tempi moderni, ma addirittura di una prima esecuzione assoluta! Amico di Karl Mozart, figlio del grande Amadé, e come lui residente a Milano nella prima metà dell’Ottocento, Lichtenthal è una figura chiave per la divulgazione della musica mozartiana in Italia: a lui dobbiamo la prima esecuzione italiana di molte opere – Don Giovanni, Flauto magico, Clemenza di Tito, tutte alla Scala – nonché alcune trascrizioni – del Requiem KV 626, del concerto KV 466… – che egli faceva eseguire in organico cameristico nei salotti milanesi. Nel caso del Ratto, Lichtenthal – che opera, non dobbiamo dimenticarlo, a più di cinquant’anni di distanza dalla prima viennese dell’Entführung – realizza un vero e proprio adattamento “all’odierno uso teatrale”, inserendo nuovi numeri musicali (per esempio la celeberrima Marcia turca dalla sonata KV 331, o l’aria da concerto “Ch’io mi scordi di te” KV 505) di cui cura una nuova strumentazione, accorpando altri numeri della partitura originale per ottenere l’Introduzione e i due grandi Finali d’atto richiesti dalla prassi rossiniana dell’epoca, o musicando interamente, a mo’ di recitativo, tutti i dialoghi originali del Singspiel tedesco. Questa versione è molto interessante anche perché consente l’ascolto due brani staccati – il Terzetto KV 480 ed il Quartetto KV 479, scritta da Mozart per essere inseriti nell’opera La villanella rapita di Francesco Bianchi (1782-1810) – che Lichtenthal recupera, riadatta nel testo e nella musica ed inserisce in questo Ratto-pastiche: è il “grande” Mozart degli stessi anni del Don Giovanni, e significativamente terzetto e quartetto sono nella stessa tonalità del terzetto e del sestetto del capolavoro praghese.
La mise en espace è stata affidata questa volta ad Antonio Petris, che l’ha resa più ricca con l’utilizzo dei costumi di Marco Nateri, ricavati rigorosamente dalla carta, dato che di carta e di giornali era riempito il palcoscenico dell’Olimpico. Estremamente equilibrato il cast, con la nobile coppia di Costanza/Sandra Pastrana e Belmonte/Francesco Marsiglia a far da contrappeso alla comicità di Pedrillo/Carlos Natale e Bionda/Tatiana Aguiar. Esilarante l’Osmino di Filippo Morace e nobilissimo il Selim (un vero e proprio debutto del ruolo, perché come tutti sanno il Selim dell’Entführung è una semplice voce recitante!) del bravissimo Gabriele Sagona. Lo spettacolo ha riscosso un grande interesse da parte del mondo musicale italiano, e gli sono state dedicate alcune trasmissioni da parte della radio italiana e della radio svizzera.
Giovanni BATTISTA RIGON
(direttore d’orchestra e direttore artistico delle Settimane musicali al Teatro Olimpico)