Certamente oggi un teatro esaurito è sempre una grande gioia e naturalmente un evento che i responsabili dello stesso non possono e non devono trascurare, non scordando però, allo stesso tempo, che loro precisa responsabilità è di garantire una proposta che accosti, all’irresistibile fascino imposto da una eventuale popolarità, una garanzia di qualità della quale il teatro stesso deve farsi garante di fronte al pubblico .
Il discorso trova proprio il suo esempio nella recente nuova produzione di “Lucia di Lammermoor”, nella quale il teatro Carlo Felice di Genova, con motivazioni indubbiamente buone , ha voluto accostare ad una regia molto interessante e ad un cast, a parte poche eccezioni, nel suo complesso professionalmente studiato , un celebrato nome del panorama pop internazionale quale è Andrea Bocelli, con un risultato che non può non portare a qualche osservazione.
Ma andiamo con ordine.
Lo spettacolo di Lorenzo Marian i(nuova produzione del Teatro Carlo Felice in collaborazione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna e ABAO-OLBE di Bilbao) narra un dramma cupo ed angosciato , dai contorni spessi e ruvidi che non lasciano trapelare alcuna speranza . La tragedia di due famiglie in conflitto, ulteriormente acuita dalla collocazione novecentesca di Mariani che gli attenti costumi creati da Silvia Aymonino sottolineano con eleganza ( in questo mondo conservatore Lucia è l’unica a vestire in modo personale e a compiere azioni di rottura, come fumare ), lascia trapelare mondi sommersi di disperazione, frustrazione ed angoscia . Circondati da un sipario verde che sembra contestualizzare ancor più la dimensione claustrofobica del dramma, i personaggi vivono in un’atmosfera cupa che soffoca e deforma gli stessi vincoli più sacri ( la passione incestuosa di Enrico per la sorella ) ed ingigantisce ogni prospettiva dilatandone i tratti . In questa dimensione la pazzia di Lucia non è improvvisa ma figlia di un malessere famigliare che colpisce e devia sentimenti ed azioni ed anche la figura di Raimondo diventa centrale , responsabile di mantenere equilibrio e borghese decoro in una famiglia che non ha mai posseduto il primo e rischia di perdere irrimediabilmente il secondo . Una Lucia che si apre a molte chiavi di lettura dunque , certo discutibile ma interessante da un punto di vista drammaturgico, che necessiterebbe però per respirare di cantanti-attori completi ed espressivi .
Ottima l’interpretazione del soprano Zuzana Marková che ha saputo ben combinare una vocalità espressiva e tecnicamente corretta ad un’interpretazione attenta del personaggio, mantenendolo sempre sul filo di un rasoio che ne acuiva fragilità e paure , mostri che durante la scena della pazzia, prendevano naturalmente vita ,distruggendo quella sottile barriera costruita dalla fanciulla per difendersi da un ambiente familiare ostile e insidioso.
Cardine di questo mondo il fratello Enrico , qui ben delineato scenicamente dal baritono Stefano Antonucciche , pur con qualche rigidezza espressiva nel registro acuto , disegnava un personaggio a tutto tondo , sempre in bilico tra aggressività e morbosa dipendenza affettiva . Un’interpretazione forte che, in buona sintonia con la collega, ha saputo creare quadri teatral-musicali di interessante spessore.
Su Andrea Bocelli, impegnato nel personaggio di Edgardo, il discorso non è piacevole ma necessario.
Come ben sappiamo si tratta di un professionista serio, si è ben preparato musicalmente e ha studiato la parte in ogni particolare ma questo non fa e non può fare di lui un cantante lirico semplicemente perché non possiede le caratteristiche necessarie (musicali e teatrali) per affrontare il ruolo. Il volume è troppo ridotto, privo di armonici ed il timbro, pur bello, quando sale in acuto tende a perdere ulteriormente volume e si sfibra. Inutile risulta dunque la collocazione a proscenio di sette o otto microfoni in quanto la conseguente ed eventuale registrazione potrà certo aggiustare il tiro ma non cambiare il concetto.
Triste constatare che un teatro dall’importante tradizione e che sta portando avanti un discorso di qualità artistica di buon livello quale il Carlo Felice scelga di scendere a tali compromessi, ci auguriamo questo risulti un caso isolato e si continui a lavorare più sulla qualità che sulla quantità del consenso .
Interessante per il timbro dal bel colore e per giusta intensità espressiva il Raimondo interpretato dal basso Mariano Buccino, mentre non positiva la prova di Marcello Nardis quale Arturo .
Completavano il cast Carlotta Vichi (Alisa) e Didier Pieri (Normanno).
Il M. Andriy Yurkevych dirigeva nervosamente la partitura donizettiana, mantenendo un ritmo febbrile (forse anche troppo) che ben si sposava con la lettura di Mariani e , pur con qualche scollamento di troppo con il palcoscenico , risultava nel suo complesso interessante.
Teatro gremitissimo ed applausi per tutti … ne siamo certo felici anche se forse non fieri …
Silvia Campana