Un Oriente che muore di fronte alla rozzezza e alla prevaricazione di un Occidente ormai privo di valori, una tematica certo già presentissima nel testo di Giacosa-Illica e nella musica di Puccini, ma ben sottolineata con crudezza in questa coproduzione maceratese-palermitana di Madama Butterfly, grazie alla regia di Nicola Berloffa.
La scena pensata da Fabio Cherstich è fissa e presenta un cinema-teatro con il palcoscenico rivolto verso il pubblico, alcune panche per gli spettatori e, a lato, due portici su cui si aprono piccole stanze celate da porte scorrevoli. Rumorosi giovani marinai americani assistono alla vicenda di Cio-Cio-San quasi fosse una burla, una commediola, senza leggerne lo spessore umano e psicologico; sotto i portici laterali alcune donne giapponesi sono costrette a prostituirsi indossando abiti occidentali, rinnegando così di fatto, come farà Butterfly, le proprie origini e tradizioni (per convenienza le prime, per cieco amore la seconda).
Splendidi i costumi di Valeria Donata Bettella che si inseriscono perfettamente all’interno di un allestimento tutto sommato tradizionale, ma che ben focalizza la sua attenzione sul tema della prevaricazione di un popolo, privo di storia e principi, su un altro che della tradizione e dei valori ad essa connessi ha per secoli fatto la sua bandiera.
A tratti il teatro lascia posto al cinema ed ecco ad esempio che, durante il coro a bocca chiusa, appare sullo schermo di fondo la figura di Esther Williams coi suoi volteggi acquatici acrobatici: simbolo anch’essa dell’esteriorità artefatta, della forma priva di sostanza proposta dalla cultura occidentale? Non ci è chiaro…
La regia è abilissima nel muovere masse e protagonisti e nel mutare, nonostante la fissità della scena, ambientazioni e situazioni attraverso un sapiente uso delle luci e con piccoli movimenti degli arredi di scena, così che non vi sono momenti morti o cali di tensione per tutto il corso della rappresentazione.
Maria Josè Siri, dopo il suo debutto scaligero nel ruolo, si dimostra una Cio-Cio-San straordinaria per intensità interpretativa e per nitore vocale: il fraseggio è curatissimo e la gestualità del viso e del corpo, studiate nei minimi dettagli, contribuiscono non poco a scandagliare ogni lato del suo personaggio creando in sala, soprattutto nel finale, un silenzio vibrante e attonito, carico di emozioni.
Al suo fianco Antonello Palombi è un convincente Pinkerton, certo non nuovo nel ruolo, dotato di una buona estensione vocale che, solo a tratti, cede leggermente in acuto. Una certa genericità e piattezza nell’emissione penalizzano in parte lo Sharpless di Alberto Mastromarino che supplisce comunque con una prestanza attoriale non da poco. Molto brava anche la Suzuki di Manuela Custer che offre una interpretazione ricca di pathos e sofferenza che ben si affianca a quella della Siri. Adeguati tutti i comprimari.
Buon amalgama e concertazione ricca di chiaroscuri per la bacchetta di Massimo Zanetti alla direzione dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana: l’attenzione della direzione al rapporto buca-palcoscenico ha favorito non poco la buona riuscita del cast vocale. Pregevoli le sottolineature degli aspetti più ‘moderni’ della partitura e gli accenti drammatici privi di qualunque retrogusto stucchevole.
Ottima anche la prova del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”.
Simone Manfredini