Leo Nucci torna al teatro alla Scala di Milano per l’ennesimo Simone Boccanegra, ed anche questa volta è trionfo, ma a differenza di altre volte, il grande baritono italiano, da un’immagine completamente diversa del doge genovese, grazie alla straordinaria lettura che il maestro Myung-Whun Chung, ha dato della partitura, dilatandone i tempi e soffermandosi sui particolari in modo da far sentire tutte le angosce e le ansie dei personaggi. Ecco così che Boccanegra appare in tutta la sua vecchiaia e solitudine, che ha solo un attimo di gioia nel ritrovare la figlia perduta, ed è proprio nel momento dello svelamento di questa parentela che vi è la sintesi della lettura del maestro coreano, nella frase: “Dinne alcun là non vedesti?” che il doge intona e poi nella seguente “e Giovanna si nomava lei che i fati a te rapir?” vi è un crescendo di emozione ma anche di turbamento, e come lo stesso Nucci ha detto alla fine della recita “Io non l’ho mai fatto in questo modo: egli ha capito che quella è sua figlia, ma è talmente spaventato da questo che quasi si tira indietro e balbetta quelle frasi anche se già conosce la risposta”. Simone così abbandona il suo lato eroico ed entra nella dimensione totalmente umana di uomo smarrito e Nucci si immedesima in questa lettura abbandonando i toni spavaldi e squillanti che lo contraddistinguono riuscendo a far vedere veramente “la mente oppressa e le stanche membra”. Un connubio perfetto quello fra il direttore e l’interprete. Usciti entrambi trionfanti assieme agli ottimi orchestra e coro che alla fine si è unito nell’applaudire il Maestro Chung, cosa che non accade spesso. In Scala l’ultima volta fu per Antonio Pappano nei Les Troyens di Hector Berlioz.
In questa lettura che ha come elemento fondamentale la comprensione della parola cantata è entrato alla perfezione il resto del cast formato da tre giovani talenti italiani, partendo da Carmen Giannattasio dotata di una voce sopranile vibrante, sicura negli acuti e di un accurato fraseggio ha dato vita ad un’Amelia intensa e coinvolgente; continuando col tenore Giorgio Berrugi, che possiede una tecnica ferrata e sicura che gli permette di rendere al meglio Gabriele Adorno “Fra i Liguri il più prode, il più gentile…” e finendo con Massimo Cavalletti che avendo una voce potente, dal timbro assai bello, impersona in modo convincente il personaggio maledetto di Paolo.
Mi si perdoni un po’ di campanilismo, ma con tutti i grandi bassi che abbiamo in Italia e che sono acclamati in tutto il mondo da Furlanetto a Scandiuzzi, da Colombara a Prestia è mai possibile che il massimo teatro del nostro paese scritturi per il nobile ruolo di Fiesco Dmitry Belosselskiy, che sarà anche giovane bello e volenteroso ma si è dimostrato troppo poco basso per rendere bene il ruolo, nel senso che è mancato proprio nelle note gravi. Anche fisicamente, accanto al ‘vecchio’ Nucci stonava totalmente la sua baldanza giovanile (si consideri che Fiesco dovrebbe avere almeno una decina di anni più di Boccanegra).
Quanto alla messa in scena è la solita del 2010, regia di Federico Tiezzi con le scene di Pier Paolo Bisleri ed i costumi di Giovanna Buzzi, che il teatro ritira fuori ad intervalli regolari e che non ha ne infamia ne lode, ma fa solo da cornice alla vicenda.
Però quando entra in scena un personaggio carismatico come Leo Nucci tutto il resto scompare e si entra nella dimensione artistica assoluta, soprattutto se il connubio con la direzione è perfetto come in questo caso col Maestro Myung-Whun Chung che ha portato tutti al trionfo.
Domenico Gatto