E’ stata una Norma drammaturgicamente e musicalmente di una bellezza totale, forse la migliore messa in scena vista al San Carlo in questi ultimi anni.
La regia di Lorenzo Amato ha rispettato la storia e la poesia del libretto, evitando le banalità (a volte anche involontariamente comiche) che facilmente vengono fuori in questi casi, come comparse in toga romana ed elmi con le corna o, peggio ancora, bislacche trasposizioni in periodi storici e contesti culturali differenti. Questo allestimento è apparso perfettamente radicato nella tradizione per ciò che riguarda il tempo e il luogo dell’azione.
La lotta di liberazione del popolo oppresso era un tema caro alla borghesia colta dei tempi di Bellini ed è uno dei temi cult di ogni opera lirica preunitaria che si rispetti. Ma, mentre di solito gli allestimenti del capolavoro belliniano danno risalto alla determinazione dei Druidi di liberarsi dal giogo di Roma, qui Amato si è concentrato sugli aspetti più intimistici dell’opera, mantenendo molto opportunamente sullo sfondo i venti di guerra tra Galli e Romani.
Lo scenografo Ezio Frigerio, con l’aiuto delle luci di Vincenzo Raponi e delle videoproiezioni di Sergio Metalli , ha realizzato una radura in una foresta, dominata da un enorme tronco di quercia e contornata da ripide rocce, in cui si tiene il culto di Irminsur. A questa suggestiva atmosfera da bosco incantato hanno contribuito anche i bellissimi costumi del già premio Oscar Franca Squarciapino.
Norma è un terreno scivoloso per i tutti i cantanti in scena, ma soprattutto per la protagonista, a cui Bellini ha affidato un ruolo (e una responsabilità) enorme. La riuscita di ogni allestimento dipende quasi totalmente dalla bravura della primadonna; è uno dei ruoli operistici vocalmente più impegnativi, e la parte richiede un ampio registro, unito a grande tecnica ed energia. Il soprano deve prodursi in commoventi pianissimo, improvvisi slanci drammatici ed effetti di coloratura. Ma soprattutto deve ipnotizzare il pubblico con la sua aria più nota e attesa, «Casta Diva».
Il soprano Daniela Schillaci (che si alternava nel ruolo di Norma con la regina italiana del belcanto Mariella Devia) ha sicuramente meritato l’acclamazione finale del pubblico. Ha interpretato la sacerdotessa che per amore tradisce i voti e la sua gente, e che alla fine muore con il suo amante, con una bellissima linea di canto, un fraseggio e un colore di grande suggestione e un volume notevole. La sua interpretazione di «Casta Diva» è stata all’altezza di molte grandi interpreti.
La Schillaci ha trovato in Anna Goryachova la sua deuteragonista perfetta: nel ruolo di Adalgisa, il mezzosoprano russo ha mostrato buone doti di drammatiche e una voce bella e finemente modulata, ed è apparsa a suo agio nel registro acuto richiesto dal suo personaggio.
I duetti tra le due donne sono come un drammatico fil-rouge che corre lungo tutta l’opera. Nel primo, in cui esse non sanno ancora che amano lo stesso uomo, il proconsole romano Pollione, Norma rivela che ha avuto da lui due figli, che ha potuto incredibilmente nascondere ai Druidi e al loro capo e suo padre Oroveso, mentre Adalgisa le apre il proprio cuore e le dichiara il suo amore fraterno con affettuoso candore.
Il secondo, stupendo duetto è nel secondo atto, ed è una delle vette dell’opera: le due cantanti, sostenute da una direzione musicale e da una regia magistrali, ne hanno sfruttato tutte le potenzialità; qui si è avvertito chiaramente che uno dei principali punti di forza registici era la logica precisa nell’interazione dei personaggi e nei movimenti di scena, che erano sempre motivati e ben coordinati.
Il personaggio di Pollione è certo meno sofisticato rispetto alle due donne, e Stefan Pop lo ha cantato con una spinta quasi da tenore eroico. Pop possiede un gradevole colore drammatico, un bel timbro e dizione ed intonazione perfette, e ha saputo trasmettere il pathos di un uomo che vive un conflitto emotivo tra il suo ruolo di capo delle forze di occupazione romane ed il suo amore per l’una e per l’altra sacerdotessa.
Tutti gli altri cantanti hanno mostrato grande sicurezza, contribuendo al successo finale: il bel cast di supporto comprendeva il basso Giacomo Prestia, un autorevole Oroveso che nel finale ha toccato corde drammatiche profonde; il mezzosoprano Clarissa Costanzo, che ha interpretato Clotilde, la devota cameriera di Norma; il tenore Francesco Pittari come Flavio, l’amico di Pollione. Il coro di San Carlo ha fornito un accompagnamento impeccabile.
Una parola conclusiva merita il direttore, il grande Nello Santi, che è un conduttore esperto che sa come accompagnare e valorizzare il belcanto. Santi ha dilatato i tempi secondo il suo costume, e, spremendo ogni goccia lirica dallo spartito, ha evidenziato gli aspetti drammatici della tragedia, facendo battere forte le pulsazioni emotive nei passaggi clou, assistito da una più che affidabile orchestra del San Carlo.
Lorenzo Fiorito