Opera de Roma. Stagione 2013-14

Nabucco.Verdi.Roma
Teatro dell’Opera di Roma
uno spirito nuovo che va incontro al pubblico

Le public romain mesure-t-il la chance d’avoir Riccardo Muti au poste de «directeur musical honoraire» de l’Opéra ? En quarantetrois années de carrière verdienne, l’illustre chef italien n’avait encore jamais dirigé Simon Boccanegra. Il s’en est emparé avec l’énergie et la fl amme qu’on lui connaît depuis toujours, mais également avec ce sens de l’équilibre acquis avec la maturité.
Muti réussit l’exploit de faire converger tous les courants traversant la partition en un point d’accomplissement unique: on entend aussi bien les anticipations d’Otello, propres à la révision de 1881, que les échos des «années de galère», caractéristiques de la première mouture de 1857. À la fois extrêmement moderne et respectueuse de l’héritage du passé, sa lecture enthousiasme et émeut de bout en bout, à la tête d’une phalange qui, sous sa baguette, sonne comme l’un des meilleurs orchestres de fosse en Europe.

Richard Martet in “Opéra Magazine”, gennaio 2013

“Trionfo” è stata la parola più usata nei titoli dei giornali italiani e d’Europa, delle agenzie nazionali e internazionali, delle televisioni italiane ed europee per il Nabucodonosor di Giuseppe Verdi diretto in agosto dal Maestro Riccardo Muti al Festival di Salisburgo con l’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera. Lo stesso entusiasmo che aveva salutato, appena un mese prima, il ritorno dell’opera sulla scena del Costanzi. Un trionfo, appunto, di critica e di pubblico, a Salisburgo e a Roma con il tutto esaurito nelle due città, applausi ininterrotti e ovazioni per salutare l’esecuzione.
Una nuova grande interpretazione del Nabucodonosor, un’opera che il Maestro Muti ha diretto centinaia di volte, ma ogni volta mostra una nuova, originalissima lettura, incanta il pubblico rivelando angoli segreti della partitura. Ci piace ricordare, una per tutte, la cronaca di Paolo Gallarati su “La Stampa” (1).
Un trionfo, nazionale e internazionale dunque, che ha portato il Teatro dell’Opera ad essere oggi una delle Istituzioni musicali più apprezzate nel mondo della musica. Infatti, dopo Salisburgo ecco l’invito in Giappone con una tournée in maggio-giugno del 2014 con due opere: Nabucodonosor e Simon Boccanegra nei due allestimenti applauditi al Costanzi. Il “Teatro dell’Opera di Roma – come è stato scritto sulla stampa in Giappone – con la presenza del Maestro Muti, si è rigenerato e animato da un nuovo spirito”. Uno “spirito nuovo” nato in questi ultimi tre anni che ha portato, o se si vuole riportato, il pubblico al Lirico capitolino, spettatori che vedono e sentono oggi la Fondazione come un punto di riferimento artistico e culturale, di incontro, nella certezza di avere sempre in cartellone spettacoli di alta qualità.

Muti
E’ in questi ultimi tre anni che è avvenuta la conquista da parte dell’Opera di Roma di una eccellenza musicale, l’avvio di un nuovo corso segnato dal prestigio artistico ed organizzativo, economico e amministrativo. E questa nuova immagine del Teatro dell’Opera di Roma è viva soprattutto grazie alla presenza del Maestro Riccardo Muti che affascina, con la sua meravigliosa arte, il pubblico di tutte le età.
A cominciare dai giovani. Ultimo esaltante esempio la lezione-concerto che il direttore d’orchestra ha tenuto lo scorso 8 luglio al Costanzi (nelle passate stagioni sono state tenute nell’Aula Magna de La Sapienza), ha richiamato 2000 giovani (dalle medie, dai licei, dalle università, dai conservatori) che hanno seguito con grande interesse, attenzione e nel massimo silenzio le due ore di presentazione del Nabucodonosor. Sul palcoscenico solamente il Maestro Muti, meraviglioso affabulatore, e il suo pianoforte. Un percorso affascinante, quello narrato dal Maestro, che si è concluso con un lunghissimo, caloroso applauso e un corale “noooo!” di rimpianto quando Muti ha annunciato: “… adesso devo concludere questo incontro”.

Il Teatro dell’Opera di Roma non è un museo della lirica, ma un teatro dove sera dopo sera la musica riprende vita, si rinnova e comunica con migliaia e migliaia di spettatori. Arte, sentimenti, passioni, bellezza, canto, musica passano dal palcoscenico al pubblico con una osmosi continua, vitale. E’ la cultura viva. Da Verdi a Britten, da Rossini a Bernstein gli spettatori hanno mostrato di gradire esecuzioni e regie. Lunghi applausi stanno a testimoniare questo nuovo apprezzamento per le maestranze dell’Opera.
Lo dice il pubblico, attraverso il neo-nato ufficio Funzione Qualità, voluto dal sovrintendente Catello De Martino. Infatti, questo attivissimo ufficio ha già raccolto attraverso questionari distribuiti regolarmente, una serie di risposte che indicano come il pubblico segua e gradisca tutti i miglioramenti artistici e di servizio al pubblico. A parte pubblichiamo quattro grafici che mostrano i risultati delle inchieste tra gli spettatori.

Una crescita costante di qualità nell’offerta. Non si spiegherebbe altrimenti l’incessante aumento di pubblico, la presenza sempre più alta di giovani, dalle scuole medie all’università. Tanto da far registrare un progressivo riempimento del Teatro al 90 per cento (dati del 2012, mentre il primo semestre del 2013 fa registrare già l’88,34 per cento), con un vero e proprio boom di abbonamenti. In particolare quelli per i giovani. Sono stati inoltre creati degli abbonamenti speciali, cioè quelli che permettono a ogni spettatore – soprattutto giovani – di costruire un cartellone a proprio piacimento, scegliendo gli spettacoli di maggiore gradimento tra opere e balletti. Per esempio quello chiamato abbonamento Fantasia. Potremmo dire che ogni spettatore diventa “direttore artistico” e costruisce la propria stagione.

Il Teatro dell’Opera con i giovani. Diciamo “con” perché non sono presenti solamente come spettatori, ma anche e soprattutto con un rispecchiamento tra scena e platea, che permetta al pubblico di ragazzi di ritrovare, ascoltare e seguire sul palcoscenico dei coetanei, degli esecutori giovani che mostrano il loro stesso volto, che lasciano trapelare ansie e desideri, sogni e sorrisi che i giovani spettatori ben conoscono e vivono.
E’ questo uno dei motivi che ha spinto il sovrintendente, Catello De Martino, a dare una forte personalità alla Didattica del Teatro dell’Opera, cioè la Sezione che comprende la Scuola di Danza, la Scuola di Canto Corale e l’Orchestra Giovanile. Spazi nuovi, originali o consolidati, come la Scuola di Danza, per il Teatro dell’Opera, per Roma.
Le idee guida sono presto dette: offrire una scuola d’arte e di vita ai giovani che vogliono intraprendere la carriera musicale; creare un bacino a cui attingere per il futuro stesso delle tre formazioni adulte del Teatro dell’Opera; offrire esecutori giovani a un pubblico giovane in una sorta di “rispecchiamento” che renda ai loro occhi più fresca e leggera la musica classica.

La vita di un Teatro d’Opera è complessa e articolata, e solamente la punta dell’iceberg si mostra. Una vita fatta di prove, ricerca, laboratorio (basti citare la scenografia e la sartoria), che vedono impegnato il Teatro anche quando in apparenza è “chiuso”. La preparazione di uno spettacolo si misura tra i venti e i trenta giorni reali, in teatro. Senza contare la fase ideativa e di programmazione: cioè da quando il direttore artistico costruisce un cartellone. Un lavoro lungo, complesso quello che porta alla qualità, all’eccellenza.
E’ questa la vera scuola per le centinaia di giovani della Sezione Didattica che vivono la vita (e il gioco di parole è quanto mai opportuno) del Teatro, respirano, come si direbbe con una espressione vetusta, la polvere del palcoscenico. L’Orchestra Giovanile è seguita dalle prime parti dell’Orchestra senior, sono presenti alle prove, discutono sulle interpretazioni; la Scuola di Danza e le Voci Bianche sono sempre più chiamate a far parte dei cast delle opere e dei balletti nel cartellone della stagione (a parte pubblichiamo le ultime partecipazioni agli spettacoli). Questa è la vera scuola viva, perché così possono seguire una produzione dall’interno. Non si tratta solamente di una “scuola di musica”, ma anche, e soprattutto, di una accademia di vita: apprendono il rigore del lavoro, il rispetto e seguono il percorso della creazione artistica, della bellezza. Una bellezza che si fa valore etico.

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La stagione 2013/2014 vivrà all’insegna dei capolavori della musica lirica, i classici che il grande pubblico ama. Dominerà soprattutto il binomio amore e morte con piccole parentesi di serenità e sorrisi donizettiani.

L’inaugurazione sarà ancora alla luce del bicentenario verdiano. Il 27 novembre, alle ore 19, il sipario del Teatro Costanzi si alzerà sull’Ernani di Giuseppe Verdi. Un melodramma ricco di bellissime e famose arie, un’opera in cui il grande compositore anticipa caratteri e psicologie che svilupperà nelle creazioni successive, quelle definite “della maturità”. Alla base della storia l’opera teatrale di Victor Hugo “manifesto” del romanticismo francese. Sul podio il Maestro Riccardo Muti; la regia, le scene e i costumi del nuovo allestimento sono firmati da Hugo de Ana, di certo un regista che ama le interpretazioni non classiche e sempre capace di far discutere il pubblico. Sulla scena un cast che il pubblico dell’Opera di Roma ben conosce per averlo applaudito in diversi allestimenti dall’Attila al recentissimo Nabucodonosor, un cast di fama internazionale che sarà presente anche nella tournée in Giappone: Luca Salsi, Tatiana Serjan, Anna Pirozzi, Francesco Meli, Ildar Abdrazakov, Ildebrando D’Arcangelo.

Ballet.Roma

La stagione di danza ha inizio con Il lago dei cigni, in assoluto lo spettacolo di balletto che conta il maggior numero di repliche al Teatro dell’Opera, assicurando una serie infinita di “tutto esaurito”.  Il suo contrasto tra bianco e nero non ha mai smesso di incantare. La nuova versione che viene presentata dalla compagnia di Roma è adattata dal francese Patrice Bart. Ritorna sul palcoscenico del Costanzi, insieme ad altri ospiti internazionali, Svetlana Zakharova con la sua straordinaria eleganza. L’orchestra è affidata alla autorevole bacchetta di Andriy Yurkevich.

In gennaio ritornano le magiche atmosfere evocate in Notes de la Nuit, trittico che prevede la ripresa di Quartetto, visionario affresco creato dal giovane Francesco Nappa proprio per la compagnia capitolina sulle note di Steve Reich e Philip Glass. Segue, per la prima volta all’Opera di Roma, la proposta di una creazione di Jacques Garnier, coreografo francese scomparso nel 1989 a soli quarantotto anni, che in Aunis ha voluto far rivivere i ricordi degli anni infantili cullati dalla brezza marina. Chiude la serata l’onirica visione Aria Tango di Micha van Hoecke, con la presenza di Alessio Carbone. Un teatro vuoto e nudo prende vita alla fine di uno spettacolo con la complicità della musica di Luis Bacalov.

Come ormai consuetudine del cartellone dell’opera l’inizio del nuovo anno (dal 30 gennaio al 6 febbraio) è dedicato al Novecento. Ecco quindi il dittico di Maurice Ravel L’enfat et les sortilèges e L’heure espagnole, due piccoli, deliziosi capolavori di finezza espressiva in scena. Il primo, del 1925, su un malizioso testo di Colette, il secondo del 1911 definito a suo tempo “troppo scabroso”. Alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro dell’Opera Charles Dutoit, nome di prestigio, amato in tutto il mondo e già applaudito interprete nella passata stagione di Samson et Dalila. Alla regia il giovane Laurent Pelly, esperto nel repertorio del Novecento, che debutta al Teatro dell’Opera.

Manon Lescaut è uno dei più amati capolavori, forse il primo capolavoro di Giacomo Puccini (in scena il 27 febbraio), di certo l’opera in cui il compositore traccia i fondamentali caratteri delle sue eroine gentili e dolorose che svilupperà pienamente in Bohème. La bacchetta è quella del Maestro Riccardo Muti; alla regia Chiara Muti che questa estate, per la stagione di Caracalla, ha firmato una applaudita edizione del Dido and Aeneas di Purcell. Sulla scena un cast composto da voci di fama internazionale, a cominciare da Anna Netrebko, un soprano amato dal pubblico e dalla critica, una vera star che con la propria arte ha conquistato il pubblico dei maggiori teatri del mondo. Una cantante che riesce in modo unico a dare forza e passionalità ai personaggi che interpreta. E così sarà per Manon. Accanto a lei nomi nuovi come quelli Yusif Eyvazov e Simone Piazzolla. Il nuovo allestimento porta inoltre le firme di Carlo Centolavigna per le scene e Alessandro Lai per i costumi.

E’ stato certamente Pier Luigi Pizzi uno dei più importanti registi che hanno riportato nel repertorio il Maometto II di Gioachino Rossini. Uno dei suoi prestigiosi allestimenti arriva al Teatro dell’Opera dal 28 marzo. Opera drammatica, carica di tensione e bellissime arie fu composta da un giovane Rossini nel 1842. La regia di Pizzi mette in luce il dolore dei personaggi, potremmo dire la loro vocazione alla morte in una ambientazione di rispetto storico. Dirige l’Orchestra Roberto Abbado. Si ricostruisce così la coppia Abbado-Pizzi, applaudita lo scorso anno per l’allestimento de La Gioconda.

I ballabili tratti da opere verdiane come Macbeth, I vespri siciliani sono il nucleo principale attorno al quale Micha van Hoecke costruisce Verdi Danse, la sua nuova visione teatrale danzante. “Tutto ha inizio con qualche nota di musica al pianoforte, da qui si sviluppano paesaggi, pitture, danze musicali“. Non c’è una vera storia, ma solo evocazioni della mente che si fanno concrete nei corpi di Dinu Tamazlacaru, Gaia Straccamore, Alessandra Amato, Riccardo Di Cosmo e Alessandro Tiburzi. Sul podio lo specialista della danza David Garforth.

Un felice ritorno, l’8 maggio, quello de L’elisir d’amore di Donizetti. Applaudito nel 2011 segnò il debutto al Teatro dell’Opera del regista Ruggero Cappuccio. Spettacolo allegro, solare, mediterraneo che mostra tutta la gioia di vivere che contiene l’opera donizettiana. Un allestimento di successo con le scene di Nicola Rubertelli e i costumi di Carlo Poggioli. Sul podio il Maestro Donato Renzetti, attento esecutori di opere buffe, il cast ha il prestigio della qualità e il fascino della giovinezza, da Rosa Feola a Francesco Meli e Antonio Poli, da Alessandro Luongo a Adrian Sampetrean.

La bella addormentata nel bosco nella versione realizzata da Paul Chalmer nel 2003 per il Teatro dell’Opera conserva intatti i sapori della magica favola di Perrault, rinnovati con gusto ed estro. Lo stile floreale dell’allestimento pensato da Aldo Buti contribuisce a sollecitare il sentimento dell’infanzia. A dare corpo alla delicata e sognante Principessa Aurora, per la prima volta sul palcoscenico del Costanzi, Jurgita Dronina, Prima Ballerina del Het Nationale Ballet, in coppia con Evan Mckie dello Stuttgart Ballett. Sul podio ancora una volta Andriy Yurkevich.

Ancora un classico, un capolavoro che è nella mente del grande pubblico, anche di coloro che non frequentano i teatri d’opera. E’ Carmen di Georges Bizet in scena dal 18 giugno. Un’opera che segna due debutti all’Opera di Roma: il direttore Emmanuel Villaume e il regista Emilio Sagi. Il pubblico romano potrà scoprire l’arte vocale e la grinta di Anita Rashvesvili e poi Clementine Margaine, due cantanti capaci di dare a Carmen una personalità carica di passione. Infatti, per le dieci repliche di Carmen saranno impegnati due prestigiosi cast: Aleksandrs Antonenko/Andeka Gorrotxategui, Kyle Ketelsen/Simon Orfila, Maria Agresta/Eleonora Buratto. Il Coro del Teatro dell’Opera è diretto dal Maestro Roberto Gabbiani.

La stagione di danza si conclude con un classico del Novecento che ritorna sulle tavole del Costanzi, Cenerentola, musicata da Sergej Prokof’ev nel 1945. “Quel che volevo sottolineare nella partitura – scrive il compositore – è l’amore di Cenerentola per il Principe, il sorgere e lo svilupparsi di questo sentimento, gli ostacoli, poi la realizzazione del sogno”. La versione di questo capolavoro è quella creata da David Bintley nel 2010 per celebrare il ventesimo anniversario del Birmingham Royal Ballet, compagnia da lui diretta. L’allestimento porta la firma di John Mcfarlane, apprezzato a Roma per Il flauto magico lo scorso marzo. Dirige l’orchestra Nir Kabaretti.

Rigoletto è certamente una delle opere più eseguite al mondo, accanto a La Traviata. Un capolavoro assoluto conosciuto universalmente per le arie e i cori. Sulla scena del Teatro dell’Opera torna Luca Salsi, ora nei panni di Rigoletto, con Albina Shagimuratova, Giorgio Berrugi. Alla regia Leo Muscato, sul podio Renato Palumbo reduce dal recente successo a Caracalla con Tosca. Debutto il 21 di ottobre e poi dieci repliche sino al 31 di ottobre.

Il pubblico ha interrotto, l’altra sera, all’Opera di Roma, la rappresentazione di Nabucco. Dopo Va’ pensiero gli applausi e le richieste di bis non finiscono più. Riccardo Muti, dal podio si volta e fa cenno di parlare: «Forse non sapete che alla prima di Nabucco, alla Scala, presente Verdi, furono bissati altri pezzi dell’opera, ma non Va’ pensiero». La risposta giunge lapidaria dalla galleria: «Perché non c’era Muti!». Il direttore si copre il volto in un gesto d’imbarazzo e dice: «Va bene, ripetiamo» mentre scende dalla galleria una pioggia di bigliettini bianchi rossi e verdi, inneggianti a Verdi, Napolitano e a Muti, identificati, evidentemente, come salvatori della patria.
Ascoltare Nabucco diretto da Muti non è certo una novità. Ma quel che ci interessava verificare era il grado di raffinamento cui sta giungendo il lavoro che questo direttore, unico tra i sommi, porta avanti sulle opere del primo Verdi, fino a rovesciarne, in pratica, l’immagine comune. Lo scavo nella strumentazione è dettagliatissimo. Si sentono così tante cose solitamente non percepite che quasi si sospettano ritocchi alla partitura. Invece no, ovviamente. Semplicemente, Muti, per sua stessa dichiarazione, applica alle opere degli «anni di galera» la stessa cura analitica che gli hanno imposto, negli anni, le esecuzioni di Aida, Otello e Falstaff: mettere in rilievo sfumature continue, disegni interni, piccoli tocchi strumentali, articolazioni minute di sonorità e fraseggio, che danno a Nabucco un aspetto così mosso, articolato, e fine che par di sentirlo per la prima volta. Magnifica l’orchestra, altrettanto il coro.
Crolla, così, l’immagine del Verdi paesano, ingenuo e selvatico genio del teatro, destinato ad affinarsi con gli anni. Crolla l’immagine letteraria del «contadino eroe» (Barilli), dall’ «alito vinoso» (Saba), del genio «capace di far vedere un oriente nell’interno di un frutto nostrano come il cocomero» (Barilli). Di «nostrano» il Nabucco di Muti ha ben poco e, ascoltandolo, la nostra recezione regredisce felicemente al parere di Théophile Gautier che salutava la prima esecuzione a Parigi (1845) come una sorprendente sintesi di musica francese (drammaticità) tedesca (sapienza strumentale) e italiana (bellezza del canto). Così un interprete può riscrivere la storia della recezione. E i cantanti – Luca Salsi (Nabucco) Francesco Meli (Ismaele) Riccardo Zanellato (Zaccaria) Tatiana Serjan (Abigaille) Sonia Ganassi (Fenena) – assecondarlo egregiamente, come il regista e scenografo Jean Paul Scarpitta, in uno spettacolo ben cantato, sobrio, pulito, visivamente un po’ anonimo, ma subito comprensibile. Un Nabucco esemplare. Se Verdi lo potesse vedere, correggerebbe l’amara confidenza fatta un giorno a Ricordi: «Io mi accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che è scritto: il male sta che non si eseguisce mai quello che è scritto!». Il contrario di ciò che è avvenuto a Roma.
Paolo Gallarati, “La Stampa” del 18 luglio 2013