Recensione: Aida al teatro alla Scala, un’Aida senza Egitto

Recensione: Aida al teatro alla Scala, un’Aida senza Egitto
Scena di Aida al teatro alla Scala

Con l’apertura del canale di Suez la moda dell’Egitto, raggiunge il suo apice ed il paese comincia a divenire meta di turisti europei. Il Viceré d’Egitto decide, per attirare più visitatori, di costruire un teatro d’Opera sul modello della Scala, chiede a Giuseppe Verdi un opera Egizia per inaugurare il teatro, ed egli compone Aida: l’opera nasce come la messa in scena per eccellenza di quell’Egitto che gli europei dell’epoca immaginavano e di cui fino a quel periodo l’unica vera immagine che si poteva ammirare erano gli obelischi che adornavano Roma, portati nella città eterna da Augusto per celebrare il suo trionfo su Cleopatra e che furono poi trasformati dai Papi negli indicatori della via che porta alla Cattedrale di San Pietro. 

Aida quindi si presenta dalla sua nascita come opera pomposa per eccellenza, ricercarvi qualcosa di Egizio vero sarebbe un esercizio inutile, così come le varie ambientazioni: il palazzo reale, l’interno di un tempio (qui Vulcano, sincretismo romano col dio Ptha, il dio creatore dell’antico Egitto e nume tutelare della città di Memphi), la valle del trionfo fuori Memphi (la valle di Ghiza dove si trovano le Piramidi e la Sfinge), la riva del Nilo, e l’interno della grande tomba; rappresentano i quadri che gli spettatori dell’epoca immaginavano di vedere in una storia ambientata (ma anche in un gran tour – nella terra dei faraoni.

Partendo da questo, la nuova produzione di Aida al teatro alla Scala si dimostra piatta, senza infamia né lode: i costumi, realizzati da Nanà Cecchi sono ispirati all’antico Egitto, appaiono troppo vistosi rispetto ad una scena minimalista, creata da Ferdinand Woegerbauer, che non ha nulla a che vedere con lo stile grandeur che Verdi aveva pensato per la realizzazione di questa opera. In questo contesto la regia di Peter Stein si dimostra banale più che classica o tradizionale, nel miglior senso del termine, addirittura “verista” per alcune forzature, come quando Amneris trascina letteralmente Aida tirandola per un braccio al trionfo nel quale sono stati eliminati, senza nessun motivo plausibile, i ballabili.

Recensione: Aida al teatro alla Scala, un’Aida senza Egitto
Scena di Aida al teatro alla Scala

La direzione di Zubin Mehta (in sostituzione di Lorin Maazel), adeguandosi alla messa in scena, è parsa quasi svogliata. In alcuni momenti slentata, palesando forse un po’ di stanchezza da parte del grande maestro che ci ha abituati a ben altre direzioni. Lentezza a cui si sono dovuti adeguare sia l’orchestra scaligera sia l’ottimo coro, preparato da Bruno Casoni.

Kristin Lewis ha offerto una buona prova. In un ruolo massacrante per il soprano, conta avere un’ottima tecnica: è stata brava nell’eseguire soprattutto i filati e le note in pianissimo. In Cieli azzurri ha restituito tutta la morbidezza richiesta ed ha affrontato e tenuto il do acuto preso e poi filato, preteso un po’ sadicamente da Giuseppe Verdi. La sua voce è parsa un po’ scarsa nelle note gravi, tradendo una vocalità più da lirico che da lirico spinto. Da migliorare sicuramente la dizione ed il fraseggio, alquanto artefatto.

Anita Rachvelishvili è stata la grande trionfatrice della serata. La sua Amneris non ha avuto cedimenti per tutta la rappresentazione. Belle le note gravi, brillanti gli acuti, una voce ricca che il mezzosoprano riesce sempre a modulare alla perfezione. A tutto questo va unita una grande capacità interpretativa. Ottima in tutta la recita ha raggiunto l’apice nel quarto atto, dove la principessa Egizia diventa protagonista assoluta. Qui la cantante georgiana ha raggiunto la massima intensità, nonostante l’improbabilità di un costume … medioevale, culminando un poderoso “Anatema su voi!”

Recensione: Aida al teatro alla Scala, un’Aida senza Egitto
Kristin Lewis

Ottimo Fabio Sartori nel ruolo di Radames. Il tenore di Treviso si rivela come uno dei migliori che vi siano in questo momento per questo ruolo ed in Verdi, in genere. Voce morbida, elegante, mai forzata, mai un suono gettato via; una grande facilità negli acuti e nelle mezze voci. Ottima l’esecuzione di Celeste Aida, culminata dal famigerato Si tenuto e ben emesso. Suggestivo nel finale dove, assieme alla Lewis, ha raggiunto l’apice dell’emotività.

George Gagnidze ha dato vita ad un Amonasro di buon livello, sicuro e concreto. Inascoltabile è stato, nel ruolo di Ramfis, Matti Salminen, solo un’ombra dello straordinario basso che è stato, per lui contestazioni alla fine della serata. Il ruolo del Re è stato interpretato dall’ottimo Carlo Colombara: sarebbe stato più logico forse invertire i ruoli, ma motivi legati a una prossima incisione discografica lo hanno impedito

Completavano il cast i solisti dell’Accademia di perfezionamento per Cantanti lirici del Teatro alla Scala: il soprano lirico Chiara Isotton, dalla voce ben emessa, nel ruolo della sacerdotessa e Azer Rza-Zada nel ruolo del messaggero.

Domenico Gatto